«La raccolta delle fragole a Verona l’abbiamo già persa», dicono dalla CIA Agricoltori Italiani. «Il settore alberghiero necessità di 50 mila persone da Pasqua in poi: tra una settimana insomma. Poi per l’estate almeno il doppio», dice Elvira Massimiliano di Confesercenti commentando un decreto flussi che parte a marzo invece che a ottobre, come nel 2021, con numeri molto minori rispetto ai bisogni.

Ieri era il click day per “accaparrarsi” gli 82.705 lavoratori non comunitari che dovrebbero arrivare in Italia, di cui 44 mila stagionali ripartiti tra settore turistico alberghiero e agricoltura. Di questi 44 mila stagionali, 22 mila sono stati blindati dalle associazioni datoriali dell’agricoltura, Confagricoltura, Coldiretti, CIA, Copagri, e Alleanza delle cooperative (Lega cooperative e Confcooperative) con una sola regola: chi arriva prima vince il posto per il lavoratore.

Coldiretti vuole già un nuovo decreto

«Noi stimiamo che le domande presentate siano state 150 mila – spiega Cristiano Fini presidente Cia-Agricoltori italiani – considerando che l’anno scorso le domande, a fronte di 42 mila posti stagionali, furono 98 mila, ma succedeva ad ottobre ora siamo già in ritardo quindi la necessità di lavoratori secondo noi è più alta».  Già alle dieci della mattina, dopo appena un’ora, si contavano  238.335, il triplo di quelle previste. «Domani chiederemo immediatamente un decreto flussi bis – spiega Romano Magrini, responsabile lavoro Coldiretti – che aprano almeno per i lavoratori certificati dalle associazioni». 

Le associazioni datoriali infatti, per avere quei 22 mila posti, hanno firmato un protocollo con il governo per cui si sono impegnate ad asseverare una serie di condizioni che prima erano certificate dal datore di lavoro stesso - e controllate dallo stato - la regolarità contributiva dell’azienda, la capacità economica del datore di lavoro.
E da quest’anno, per i 38 mila posti di lavoro subordinati, prima di accedere ai posti del decreto flussi le aziende avrebbero dovuto fare un passaggio da un Centro per l’impiego, aspettare 15 giorni se si presentava qualcuno già presente sul territorio, fare colloqui in caso questo avvenisse, e solo se questi non erano ritenuti idonei dall’azienda si arrivava ad accedere al decreto flussi. «I centri per l’impiego sono dei fantasmi, si tratta solo di perdere altri giorni preziosi», chiosa Elvira Massimiliano.

L’asseverazione da parte delle associazioni datoriali arriva anche perché, soprattutto in agricoltura, c’è il rischio che il decreto flussi venga invece utilizzato per la trasformazione di rapporti che prima erano in nero di persone già in Italia ma senza documenti. «Per quanto riguarda contratti di lavoro subordinato secondo noi nel 90 per cento dei casi si tratta di regolarizzazioni», dice Jean René Bilongo, Flai Cgil, «per i contratti stagionali forse l’investimento è troppo grosso perché comunque è necessario tornare nel paese di provenienza, poiché il nulla osta al lavoro in Italia arriva all’ambasciata o al consolato italiano». Marco Omizzolo presidente di Tempi Moderni, ong che lavora nell’agro pontino invece racconta di un sistema molto ben oliato: «La prima volta che ho studiato la tratta internazionale dal Punjab si inseriva proprio nel decreto flussi. Anche perché come fa un’azienda italiana ad assumere un signor Singh in India? O questo era già presente sul territorio oppure c’è un’intermediario, connazionale spesso, che implica un pagamento o un debito».

I problemi oltre le quote

«In agricoltura ci sono circa 900 mila stagionali che svolgono il 75 per cento delle giornate lavorative in agricoltura – spiega Stefano Mantegazza segretario generale di Uila - di questi 900 mila circa 600 mila svolgono questa attività per più di 51 giorni all’anno. È del tutto evidente che in un contesto in cui il lavoro stagionale è di gran lunga maggioritario rispetto a quello stabile mettere in trasparenza il settore è un percorso è molto lungo». Anche se ammette che il coinvolgimento delle associazioni datoriali è un passo in avanti.

Ma per alcuni territori il decreto flussi non ha nessuna importanza come per Ragusa dove lavora Michele Melilli di Usb: «Il decreto flussi è una goccia nel mare – dice – solo nella nostra provincia abbiamo 22 mila lavoratori stranieri in campagna. Secondo i nostri calcoli 2/3 hanno il contratto e un terzo sono in nero, vivono in capannoni fatiscenti dentro le aziende spesso con minori appresso che non vanno neanche a scuola, vengono da Magreb e Romania. Ma di decreto flussi qui non si parla nemmeno e francamente anche questo mito che mancano i lavoratori, qui non risulta. Il problema è che i datori di lavoro non vogliono lavoratori vogliono schiavi».

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