Il premier Conte continua a perdere tempo ma l’indice di contagio Rt è già arrivato a 1,5 e si riferisce a dati vecchi di una settimana. Gli accademici dei Lincei mettono sotto accusa la gestione dell’estate: mancano i dati
- Che fare? Il governo lo sa anche se ancora non osa dirlo: il piano del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità indica la via verso il lockdown.
- Il report di ieri del ministero, relativo ai dati di una settimana fa, indica che siamo già nello scenario 3, un gradino sotto lo scenario 4 che è quello che porta al lockdown nazionale (ma visto che il contagio ha continuato a correre, forse ci siamo già dentro). Tra l’1 e il 14 ottobre – già un’era geologica fa – l’indice Rt che misura la trasmissione del virus era in media 1,50.
- Lo scenario 4 scatta quando l’Rt regionale sta sopra 1,5 per tre settimane e “si rendono molto probabilmente necessarie misure di contenimento molto aggressive”.
Adesso è troppo tardi per evitare il peggio, nessuno ha una strategia, gli errori commessi negli ultimi quattro mesi stanno facendo precipitare l’Italia verso un altro lockdown. I contagi giornalieri salgono da 16mila a oltre 19mila mentre la Feltrinelli rinvia un libro del ministro della Salute Roberto Speranza dal titolo poco appropriato: Perché Guariremo. Motivazione ufficiale: Speranza ora non ha tempo per le presentazioni. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte promette che non ci sarà un secondo lockdown e rassicura tutti che loro, al governo, sono «vigili, prudenti, pronti a intervenire nuovamente in qualsiasi momento, ove fosse necessario».
Mentre Conte vigila e riflette, arriva però il rapporto settimanale del ministero della Salute dove si legge che la situazione «evidenzia segnali di criticità dei servizi territoriali e del raggiungimento imminente di soglie critiche dei servizi assistenziali di diverse Regioni e pubbliche amministrazioni». Attenzione: il report si basa sui dati raccolti tra il 12 e il 18 ottobre, cioè si riferisce all’Italia precedente l’ultimo decreto del presidente del Consiglio, emanato proprio domenica 18 ottobre, prima della chiusura delle scuole in Campania, prima del coprifuoco in Lombardia e nel Lazio, quando i contagi erano circa 10mila al giorno.
«Molti continuano a non capire come si sviluppa una crescita esponenziale che parte lenta e poi accelera in modo esplosivo: le autorità fanno valutazioni sui dati di oggi, ma le misure che prendono sono già inadeguate perché riferite a una fotografia superata dalla realtà», dice il matematico Alfio Quarteroni, professore al politecnico di Milano, uno dei 100 scienziati che hanno firmato una lettera senza precedenti diretta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
«Se andiamo avanti con lo stesso ritmo di aumento, fra tre settimane ci troveremo con quasi centomila casi al giorno, cinquecento morti al giorno e con la stessa crisi sanitaria del marzo scorso», si legge nella lettera firmata dal fisico Giorgio Parisi, da Quarteroni e altri 98 accademici dei Lincei e pubblicata da Huffington Post. Dall’inizio della pandemia è l’atto di accusa più duro della comunità scientifica all’operato del governo, non tanto per come ha gestito la prima fase, quella tra febbraio e maggio, ma per come ha sprecato la parentesi che l’estate ci aveva concesso.
Non va tutto bene
La struttura del commissario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri, ha presentato venerdì 11 slide che vogliono ancora trasmettere messaggi rassicuranti. Con una sapiente scelta di dati, Arcuri dimostra che l’Italia è soltanto quindicesima al mondo per contagi, con lo 0,77 per cento della popolazione infetta contro il 2,52 degli Stati Uniti e che oggi le cose vanno molto meglio che a marzo, visto che i ricoveri in terapia intensiva sono 992 invece che 2.857. Sono soddisfazioni effimere e che illudono di avere a disposizione un tempo che si è già esaurito.
«Sentiamo il bollettino quotidiano e pensiamo che un nuovo contagio indichi una persona che oggi è diventata positiva, ma non è così. Ci vogliono due o tre giorni perché si manifestino i sintomi, almeno altri due o tre per ottenere un tampone, poi bisogna aspettare il risultato che dopo un altro paio di giorni viene inserito nelle statistiche», dice il matematico Quarteroni. Siamo sempre indietro.
Per anticipare il virus servono i dati rapidi e precisi, che il governo non ha mai raccolto. «Chiudiamo le scuole, chiudiamo le metropolitane, fermiamo la movida, tutte cose giuste per contenere il virus ma con un impatto sociale enorme e noi le stiamo facendo al buio. Sappiamo quanto contagia la scuola e quanto i trasporti? No, spariamo col cannone a uno stormo di uccellini e non sappiamo neppure se centriamo il bersaglio», dice Quarteroni.
Non c’è mai stato un vero monitoraggio, la app Immuni è rimasta incompiuta: la segnalazione del contagio è automatica, ma tutto il resto è analogico, ci sono mille passaggi burocratici che, ormai lo sappiamo, non hanno permesso di fare un vero tracciamento dell’epidemia. Il paradosso è che i 170.000 tamponi al giorno (il record di ieri) rischiano di diventare inutili e addirittura dannosi: il contagio si è diffuso tanto che ormai non si riesce più a ricostruire tutta la rete di contatti e a prevenire la creazione di focolai, sarebbe servito durante l’estate per prevenire che i comportamenti disinvolti facessero ripartire la pandemia.
L’unica opzione rimasta
Che fare dunque? Il governo lo sa anche se ancora non osa dirlo: il piano del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità indica la via verso il lockdown. Il report di ieri, relativo ai dati di una settimana fa, indica che siamo già nello scenario 3, un gradino sotto lo scenario 4 che è quello che porta al lockdown nazionale (ma visto che il contagio ha continuato a correre, forse ci siamo già dentro). Tra l’1 e il 14 ottobre – già un’era geologica fa – l’indice Rt che misura la trasmissione del virus era in media 1,50. Lo scenario 4 scatta quando l’Rt regionale sta sopra 1,5 per tre settimane e «si rendono molto probabilmente necessarie misure di contenimento molto aggressive».
Il lockdown funziona, lo sappiamo, a marzo ha ridotto Rt a valori compresi tra 0,5 e 0,7. Però è una soluzione temporanea: a marzo la prospettiva era di stare in casa fino a quando l’estate avrebbe ridotto la velocità di trasmissione del virus (non le temperature ma i raggi ultravioletti), se si inizia un lockdown a novembre, qual è l’orizzonte?
«Se anche accettassimo un confinamento assoluto oggi per sei mesi, avremmo un beneficio dal punto di vista del contenimento dell’epidemia, ma a prezzi altissimi, e se quando uscissimo di casa ci fosse in giro anche un solo positivo, si ricomincerebbe da capo», dice il matematico Quarteroni. Senza la prevenzione, cioè senza i dati e senza una capacità di intervento tempestiva, ogni soluzione sarà temporanea. Tra giugno e settembre abbiamo avuto l’occasione di prevenire il peggio e l’abbiamo sprecata.
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