Un nuovo documento svela una pista su chi ha ordinato l'attentato del 2 agosto 1980. L'ipotesi porta a Licio Gelli e Federico D’Amato, membri della P2 legati ai servizi. Controinchiesta in due puntate
- Il 2 agosto 1980 una bomba è esplosa alla stazione di Bologna, facendo 85 morti e 200 feriti. Sono trascorsi quarant'anni e un documento ritrovato di recente svela una possibile pista sui mandanti.
- Esiste una verità giudiziaria: gli esecutori materiali dell’eccidio sono stati i Nuclei armati rivoluzionari, il gruppo della destra eversiva responsabile anche dell’omicidio del giudice Mario Amato.
- La nuova inchiesta sui mandanti e finanziatori dell’attentato è partita dal documento “Bologna 525779”. Coinvolge Licio Gelli e Federico Umberto D’Amato, membri della loggia massonica P2 e legati ai servizi segreti italiani. Entrambi sono morti.
I quarant'anni della strage di Bologna saranno ricordati non soltanto per la pandemia, che limiterà le manifestazioni in ricordo delle vittime. E non solo per l’intitolazione della principale stazione della città, che cambierà nome in “Bologna 2 agosto”. Saranno ricordati piuttosto per avere riportato in superficie frammenti di verità sulla strage sepolti per quattro decenni in archivi impolverati. Tasselli rimasti fuori dai processi fin qui celebrati.
C’è, ad esempio, la cartellina con l’intestazione “Bologna – 525779 – x.s”. Il fascicolo, con gli appunti scritti a mano e le operazioni bancarie, lega il luogo della strage e il conto svizzero numero 525779, intestato a Licio Gelli, il capo della P2, la loggia massonica che riuniva ministri, industriali, editori, generali e cardinali. Uno stato parallelo, intrecciato al potere ufficiale, ma che ha dirottato le decisioni verso sedi diverse da quelle istituzionali.
Dalla P2 si snodano i misteri italiani sulla strategia della tensione: il disegno politico che mirava a contenere con il terrore la crescita dei movimenti e dei partiti della sinistra.
I documenti ritrovati da chi indaga sui mandanti della strage di Bologna riportano nel presente responsabilità dello stato parallelo che tramava contro le istituzioni democratiche, architrave di un progetto che ha usato l’eversione delle bande armate per accrescere il proprio potere.
Le ultime inchieste della procura sulla strage hanno individuato il vertice dei mandanti occulti, gli organizzatori infiltrati nelle istituzioni, che hanno finanziato e coperto la base della piramide: i gruppi neofascisti, esecutori materiali dell’attentato.
I processi
A quarant'anni dalla bomba della stazione conosciamo certamente la matrice dell’attentato e i nomi di chi ha creato false piste per indirizzare le indagini fuori dal recinto neofascista.
A queste certezze giudiziarie, cristallizzate in sentenze definitive, si aggiungono le tesi investigative della procura generale di Bologna, che con l’indagine sui mandanti ha individuato un possibile livello superiore di responsabilità. In pratica la regia politica che ha finanziato e armato i Nuclei armati rivoluzionari.
Come esecutori materiali dell’attentato sono stati condannati, dopo tre gradi di giudizio, i vertici dei Nar: Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Ergastolo, ma solo in primo grado, anche per Gilberto Cavallini, il quarto del gruppo. Tutti colonnelli dei nuclei armati, la banda nera responsabile di almeno trentatré omicidi. Tra questi anche il giudice Mario Amato, ucciso il 23 giugno 1980: un mese e dieci giorni prima dell’attentato alla stazione di Bologna.
La verità processuale è stata raggiunta anche sugli autori dei depistaggi: Gelli è stato condannato insieme a Francesco Pazienza, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, uomini dei servizi segreti, nomi che i magistrati di Milano hanno ritrovato negli elenchi della P2 sequestrati il 17 marzo 1981.
L’indagine sui mandanti
Sulla lapide in marmo, nella sala d’aspetto della stazione di Bologna, campeggia la scritta “vittime del terrorismo fascista”. Francesco è il primo nome dell’elenco, aveva appena 14 anni. Morirono anche il padre e la madre. Si salvò soltanto la sorella, non era partita con la famiglia.
La bomba al plastico esplosa alle 10.25 la mattina del 2 agosto 1980 era un ordigno di fattura militare. E ha trasformato lo scalo ferroviario in una trappola mortale: ottantacinque persone uccise, duecento i feriti. Cittadini, pompieri, infermieri, caricavano i corpi dilaniati sull'autobus di linea numero 37 per trasportarli all'obitorio. Le ambulanze non erano sufficienti per quella carneficina. A febbraio scorso la procura generale di Bologna ha chiuso l’inchiesta sui mandanti.
I magistrati hanno individuato il canale di finanziamento del gruppo neofascista e gli uomini all'interno dei servizi segreti che hanno organizzato e protetto i Nuclei armati rivoluzionari.
Si tratta di un’ipotesi che solo un processo potrà confermare o smentire. Secondo gli inquirenti le menti di quel massacro sono Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, tutti deceduti e ritenuti mandanti, finanziatori o organizzatori.
Tra gli indagati, ancora in vita, con il ruolo di quinto esecutore materiale, insieme al gruppo dei Nar già condannato, c’è anche Paolo Bellini, un sicario al servizio di mafie e destra eversiva. Era un militante di Avanguardia nazionale, il movimento fondato da Stefano Delle Chiaie, un nome che ritroveremo più avanti in questa storia.
Bellini è stato un collaboratore di giustizia, e ha avuto un ruolo nella trattativa stato-mafia, il negoziato tra Cosa nostra e alcuni uomini delle istituzioni con l’obiettivo di far cessare le stragi ordinate del boss Totò Riina.
“Bologna 525779-x.s”
Il rapporto tra il gruppo di Gelli e la destra eversiva è certificato dalle sentenze sul depistaggio per la strage di Bologna e da relazioni top secret dei servizi segreti, ora agli atti dell’inchiesta sui mandanti. Il legame consisteva in coperture, garanzie di impunità e generosi finanziamenti.
Seguendo i flussi di denaro, gli investigatori della guardia di finanza hanno individuato il possibile canale di finanziamento della strage.
“Esito accertamenti svolti in ordine ai flussi finanziari riportati nel documento “Bologna 525779-x.s. sequestrato a Licio Gelli al momento del suo arresto in Svizzera avvenuto in data 13 settembre 1982 mentre si trovava nella sede di Ginevra di Ubs (la più nota delle banche svizzere ndr)”, è la premessa dell’informativa scritta dai detective della fiamme gialle.
Il numero impresso sul “documento Bologna” è riferito al conto corrente svizzero intestato a Gelli. I fogli archiviati nella cartellina tracciano il percorso del denaro dai conti dell'istituto bancario elvetico a quelli di un misterioso “Zaf”, che gli investigatori delle fiamme gialle hanno identificato in Federico Umberto D’Amato, responsabile dell’ufficio affari riservati del ministero dell’Interno, anche lui iscritto alla P2 e morto nel 1996. “Noto peraltro per la sua fama di poliziotto gourmet e per la passione per lo zafferano”, scrivono i finanzieri.
La consegna delle somme a “Zaf” è avvenuta “a Ginevra e in Italia”, si legge nel documento sequestrato al capo della P2. In tutto sono 850mila dollari, che sarebbero stati consegnati in due tranche.
La fase preparatoria della strategia stragista inizia nel 1979, è la convinzione degli inquirenti. E’ l’anno effettivamente in cui sono iniziati i trasferimenti di soldi a D’Amato.
In quell'anno D’Amato non è più il capo degli Affari riservati, perché l’ufficio è stato soppresso nel 1974. Nel 1980, però, lo ritroviamo collaboratore del Sismi, il servizio segreto militare, lo stesso in cui prestavano servizio gli ufficiali poi condannati per il depistaggio insieme a Gelli.
I rapporti con l’estrema destra di D’Amato nascono sul campo. Uno dei confidenti-infiltrati arruolati da D’Amato era Stefano Delle Chiaie, fondatore del movimento neofascista Avanguardia nazionale, lo stesso in cui si è formato militarmente Paolo Bellini, il quinto attentatore, secondo l’ipotesi degli inquirenti di Bologna. “Si trattava di un rapporto personale ed esclusivo di D’Amato: un contatto rischioso ma ritenuto indispensabile”. Sono le parole di Guglielmo Carlucci, ex dirigente degli Affari riservati, riportate in una relazione parlamentare che ha scavato sull'intreccio tra i neofascisti e gli apparati dello stato.
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