- «La Chiesa è per il disarmo: ma in un conflitto è difficile capire quando scatta il diritto a difendersi».
- Per il porporato «gli uomini si distruggono quando si credono Dio», la guerra di Putin «è una bestemmia, la violenza fa perdere qualsiasi possibile ragione».
- «Dobbiamo chiederci: potevamo evitare la tragedia di centinaia di persone uccise? Cosa non abbiamo fatto? Quanti rimandi e ipocrisie, quanti calcoli e convenienze?» Giovedì prossimo parlerà davanti al congresso dei partigiani dell’Anpi a Riccione.
Il cardinale metropolita di Bologna Matteo Maria Zuppi sa in concreto di cosa si parla quando si tratta di convincere due nemici irriducibili a sedere allo stesso tavolo di trattativa. Era il 1990 quando con Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di sant’Egidio, e il vescovo Jaime Pedro Gonçalves e al sottosegretario Mario Raffaelli ha fatto da mediatore nelle trattative nel Mozambico insanguinato da quindici anni di guerra civile fra i socialisti del Fronte di liberazione, al governo, e il partito della Resistenza nazionale vicino al Sudafrica dell’apartheid. Ventisette mesi di trattative, alla fine arrivarono gli accordi di pace di Roma. Il prossimo giovedì 24 marzo parlerà davanti al congresso dei partigiani dell’Anpi a Riccione.
«Mi hanno invitato», spiega schermendosi. Eppure è una presenza significativa per l’associazione, a cui in questi giorni viene contestato duramente il «pacifismo disarmista» che porta a dire no alle armi alla resistenza ucraina decise dal governo italiano. Un uomo forse non di questo mondo ma in questo mondo, verrebbe da dire con Paolo di Tarso. Lo scorso gennaio ha dovuto celebrare, nella chiesa di santa Maria degli Angeli a Roma, i funerali per un suo compagno di scuola David Sassoli, rimpianto presidente del parlamento europeo.
La sua omelia è suonata come un rigoroso manifesto di impegno sociale, oltreché di cattolicesimo democratico, la cultura che univa i due amici di una vita. Domenica scorsa a Bologna il cardinale Zuppi ha guidato un intenso pellegrinaggio contro la guerra.
Sua Eminenza, alla processione per la pace, lei ha detto: «Bestemmia contro Dio chi fa del male al proprio fratello». Il presidente Putin dunque bestemmia contro Dio?
La guerra è una bestemmia, certo. Dio è sempre il nome della pace. Uccidere, scatenare una guerra, fare soffrire chiunque, peggio civili inermi, insomma alzare le mani contro il proprio fratello è bestemmiare Dio, autore della vita. Non c’è giustificazione. Per i cristiani la guerra è ancora più insultante, perché Gesù chiede loro di non aver nemici, di amarli. La guerra della Russia all’Ucraina è una guerra fra cristiani. Per noi ogni guerra è fratricida.
Quanto a Putin: la violenza fa perdere qualsiasi possibile ragione. Quindi è doppiamente sbagliata. Il papa ha ricordato che non c’è nessuna motivazione che possa giustificare il ricorso alla violenza e l’uccisione di innocenti. E non dimentichiamo che il Vangelo ammonisce che chi di spada ferisce di spada perisce.
La Chiesa chiede il disarmo, eppure neanche Gandhi, che è considerato uno dei padri della non violenza, arrivava a chiedere all’aggredito di non difendersi. Dobbiamo chiedere agli ucraini di non reagire all’invasione?
Sono due cose diverse. Una è la scelta del disarmo, che la Chiesa, troppo inascoltata e a volte derisa, non si stanca di chiedere a tutti. Certo è difficile da capire quando c’è un conflitto, quando scatta il diritto a difendersi. Come afferma l’enciclica Fratelli tutti, però, la pace non può essere l’equilibrio della paura. Bisogna trovare altri modi per rendere stabile la pace e per risolvere i conflitti. La Chiesa ribadisce che l’unica soluzione vera e solida è il dialogo. È quello che, con fatica e difficoltà, sta avvenendo, anche fra Russia e Ucraina. Speriamo che questi primi segnali di pace trovino pieno compimento. Solo nel dialogo si può uscire dalla guerra. Capiremo mai la lezione?
Giovedì prossimo sarà ospite del congresso dell’Anpi, l’associazione dei partigiani. La sua prima messa da Arcivescovo di Bologna è stata proprio nei luoghi degli eccidi dei civili, Montesole e Marzabotto. Cosa è per lei la resistenza?
La resistenza è quella che ci ha regalato il paese in cui sono cresciuto, con i valori su cui è fondata la nostra costituzione e la nostra Repubblica. E per questo la festa della Liberazione è la festa di tutti. Un tempo si parlava dell’arco costituzionale nelle cerimonie pubbliche. Sarebbe sbagliato farne una festa di parte, sia con appropriazioni indebite sia con auto esclusioni e distinguo pericolosi.
Dalla Liberazione nascono i fondamenti del nostro paese. Poi ci sono stati dei problemi? Sì, ma quei valori sono fondanti e a maggiore ragione bisogna difenderli. Se non si comprendono anche nella loro storia dolorosissima si capiscono meno. E la costituzione, non a caso, ripudia la guerra proprio perché è nata da quella tragedia. E consente alle limitazioni di sovranità per un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni. Facciamolo.
Il segretario del Pd Enrico Letta, nel dire sì all’invio delle armi in Ucraina, ha citato il teologo luterano Bonhoeffer, impiccato dai nazisti nel 1945: «Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Devo saltare e afferrare il conducente al suo volante. È il mio dovere». La resistenza è un dovere?
In Ucraina assistiamo a un intero popolo che resiste. L’invasione ottiene l’effetto esattamente contrario alle sue presunte intenzioni dichiarate. Resta però la vera domanda, drammatica e decisiva: come fermare la violenza, quali strumenti per risparmiare vite umane, come costringere a trovare una via di composizione negoziale del conflitto?
Lei ha scritto un libro, “Odierai il prossimo tuo come te stesso”, che è una profonda riflessione sull’odio. Ed è stato considerato un manifesto contro la Lega. Come si smonta l’odio?
L’odio non è mai inerte, è sempre generativo di divisioni, sofferenze, pregiudizi, isolamento che sono tutti elementi che nutrono il terreno di cultura della violenza. Si smonta non solo, non tanto, con la tolleranza, ma con il riconoscere nell’altro il mio fratello e imparare a vivere con lui.
Si combatte l’odio e le sue ragioni con Fratelli tutti, riconoscersi cioè della stessa famiglia. Non possiamo accontentarci di contenere l’odio, come abbiamo fatto a lungo anche con tanti conflitti, rimandando le soluzioni e non scegliendo una vera educazione alla pace. Solo la fraternità ci libera dal suo veleno così inquinante e pericoloso.
Anche con chi “bestemmia”, con chi fa la guerra?
Anche con chi bestemmia. È l’unica via che aiuta a ritrovare l’altro, il prossimo cioè il più vicino, un estraneo che scopro in realtà essere uno dei miei cari. San Francesco andò a parlare con il lupo, rischiando di essere visto come pericoloso fiancheggiatore oppure ingenuo idealista. Lo chiamò “fratello”, in fondo riconoscendo in lui quello che nessuno vedeva e ammettendo che in ogni persona c’è un lupo. Ma fu san Francesco a affrancare il lupo e gli abitanti di Gubbio dalla violenza, tanto che furono loro a sfamarlo finché visse. Perché lo faceva per fame. Non fu un pericoloso ingenuo ma il più realista: vide il lupo come era per davvero e sconfisse la violenza.
Oggi c’è il tema dei profughi ucraini, e della loro accoglienza. La questione ha puntualmente riaperto una discussione fra profughi veri e presunti falsi. Esiste questa differenza?
In termini evangelici non c’è differenza. Il vangelo dice «ero forestiero e mi avete accolto». Ero nudo, non avevo più niente, e mi avete vestito. Non dice che deve essere buono, di una certa età o provenienza. Basta questa qualifica - forestiero - perché i cristiani vedano in lui il fratello più piccolo di Gesù nel quale si identifica tanto che ogni cosa che facciamo al loro la facciamo in realtà a lui. Sono Gesù, insomma! Detto questo dovrebbe essere garantito a tutti il diritto a essere esaminato, non quello di essere respinto. Uno che sta in pericolo in mezzo al mare deve essere salvato.
Infine, la distinzione fra profughi in moltissimi casi è anche impossibile da farsi. La povertà, la fame, l’assenza di prospettive cioè la disperazione sono tutte figlie spesso di guerre, le cui conseguenze sono terribili anche a distanza di anni.
I pacifisti della piazza di Roma hanno chiesto “neutralità attiva”, e sono stati contestati da quasi tutto il mondo politico italiano che invece ha deciso e votato di mandare le armi in Ucraina. È possibile che due strade così diverse portino entrambe alla pace? O per i cristiani ce n’è una vera e una falsa, illusoria?
Le estremizzazioni non aiutano certo a capire i problemi e a trovare le soluzioni. Ripudiare la guerra cosa ci chiede? Da cristiano affermo il rifiuto di ogni violenza e strumento di morte. La questione è imporre la pace e subito. Farlo in una situazione di conflitto aperto e tragico come quello che stiamo vedendo è molto complicato e c’è il diritto a difendersi.
Ma siamo sicuri che le sanzioni, comprese quelle che causerebbero conseguenze gravi per noi, sono state imposte? Il conto lo facciamo pagare solo all’Ucraina o dobbiamo pagarlo un po’ anche noi se vogliamo difendere la loro e nostra democrazia? E poi quante persone debbono essere uccise perché finalmente capiamo la risposta, come cantava Bob Dylan, nascosta nel vento? Questo ci deve preoccupare, ed è un bene che qualcuno lo ricordi con forza a tutti. Speriamo che quanto prima finisca questo pezzo di guerra mondiale per cercare con determinazione rigorosa gli strumenti per fermare i tanti altri pezzi di guerra mondiale che ci sono in questo momento al mondo.
Dopo l’invasione dell’Ucraina è tornata la corsa al riarmo in molti paesi occidentali. Un balzo indietro nel tempo. La strada per evitare altri conflitti non le sembra oggi più lontana?
Il rischio certo che c’è. Per questo dobbiamo fermare il riarmo. E anzi bisogna usare la grande sapienza, la grande sofferta saggezza che avevano tanti soprattutto in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Proprio la guerra deve portare al disarmo. Se non sappiamo trarre da questo male le indispensabili occasioni di cambiamento, torneremo indietro. Si è addirittura parlato di conflitto nucleare. Dovrebbe terrorizzarci solo l’idea di arrivarci così vicini. Basta una scintilla. Come dalla pandemia abbiamo cercato tutti insieme i vaccini e la prevenzione, a maggior ragione dalla pandemia della guerra dobbiamo uscire cercando tutti protezioni efficaci contro la guerra.
In queste ore di guerra lei vede leader mondiali all’altezza del rischio nucleare?
I leader si rivelano nelle situazioni. Ce ne sono alcuni presunti tali che si sono rivelati incerti e mediocri e altri che hanno mostrato una capacità e una determinazione impressionanti. Le manifestazioni per la pace devono e possono spingere a costruire l’architettura del dialogo tra i paesi e le nazioni. Dobbiamo chiederci: potevamo evitare la tragedia di centinaia di persone uccise? Cosa non abbiamo fatto? Quanti rimandi e ipocrisie, quanti calcoli e convenienze?
L’invasione della Russia ha aperto ferite anche fra cristiani, il patriarca Kirill ha detto che la guerra di Putin è giusta perché combatte chi vuole imporre «i gay pride». Quello religioso è un pezzo di questo conflitto?
Il papa ha ricordato, direi quasi gridato, che nessuna guerra è giusta. Dobbiamo percorrere con nuovo coraggio il dialogo fra credenti perché le Chiese svolgano il loro ruolo di pace, e mai siano utilizzate per giustificare la violenza.
A gennaio lei ha celebrato i funerali di stato di David Sassoli. Nell’omelia ha detto: «Beati gli operatori, gli artigiani della pace, che si sporcano le mani con la ricerca della pace con il prossimo». Oggi quella frase in cosa si traduce?
Si traduce innanzitutto nell’accoglienza, nel favorire la vittoria sulla guerra cominciando ad aiutare chi ne paga le conseguenze. E poi si traduce, penso proprio all’impegno di Sassoli, per guarire dai nazionalismi che non comunicano e si contrappongono per tessere un concerto di nazioni che si pensano assieme. Se ne esce insieme.
Il futuro è solo insieme nella piccola stanza del mondo, quell’astronave delicatissima che rischiamo di distruggere. È un impegno di tutti. Etty Hillesum avrebbe detto che bisogna sconfiggere anche il più piccolo atomo di odio nel nostro cuore perché inquina il mondo.
Cardinale, non le chiederò cosa fa Dio mentre a Kiev si muore.
Io le rispondo lo stesso: Dio soffre. Piange, come se pietà non è morta piangiamo a vedere una famiglia distrutta per strada, un papà che stringe al petto il figlio adolescente morto, una donna con il suo bambino in grembo su una barella in una distruzione generale. Piange e cerca di toccare il cuore degli uomini, ricordando loro che in ognuna di quelle vittime c’è lui. Gli uomini si distruggono quando si credono Dio.
Le chiedo invece cosa fa la Chiesa, anzi il Vaticano, per fermare questo conflitto.
Cerca di spiegare proprio questo, tessendo fraternità, stando dalla parte delle vittime, cercando di trasformare le lance in falci e di svuotare gli arsenali perché diventino ospedali e scuole. Non è ingenuo: è l’unico realismo possibile. Finché siamo ancora in tempo.
La Chiesa si riconosce quando è madre, peccatrice com’è, ma resta accanto alla croce del figlio e che cerca di ricostruire la fraternità umana e fa di tutto per riparare i legami che uniscono le persone per vivere non da bruti. Perché è proprio vero che non siamo stati fatti per vivere abbrutiti dalla violenza, dalla guerra, dall’odio, dalla sub cultura dei pregiudizi e del nemico peggio nella variante digitale. Solo Fratelli tutti permette il futuro.
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