Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, parla di transizione ecologica. «Mantenere il motore endotermico significa permettere ancora investimenti nella attuale filiera dell’automotive, pur sviluppando l’elettrico. Ma allora bisogna essere disposti a riaprire le miniere italiane di cobalto»
La transizione energetica non sarà un pranzo di gala. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, al festival Tempi radicali di Domani ha affrontato a tutto campo tutti i temi in agenda, del governo ma soprattutto in Unione Europea: il futuro dell’automotive, la via della Seta, il cibo sintetico.
La via della Seta
Il primo scetticismo del ministro ha riguardato la via della Seta, ovvero il progetto cinese di sviluppo industriale del colosso asiatico verso occidente e che l’Italia ora dovrebbe nuovamente sottoscrivere.
«Il mondo è cambiato negli ultimi vent’anni e l’Italia ha le potenzialità per svolgere un ruolo geopolitico significativo, in particolare sull’approvvigionamento di gas in Europa», è la premessa di Urso. Di conseguenza, «i dossier vanno valutati nella loro complessità» perchè la nostra «collocazione geografica strategica anhe per il flusso dei commerci globali non si espande più vero Oriente, mentre sta tornando centrale il flusso sull’asse meridionale attraverso il Mediterraneo».
Il motore endotermico
Uno dei temi caldi di questa fase è quello dello sviluppo dell’automotive: abbandonare o meno il motore endotermico in favore dell’elettricità e dunque passare dai combustibili fossili all’energia rinnovabile è uno degli snodi nevralgici della programmazione industriale in Europa.
Il governo Meloni si è posto su posizioni minoritarie, puntando sui biocarburanti come soluzione di compromesso per non spegnere immediatamente lo sviluppo dei motori endotermici.
«In questa fase il problema non era il combustibile ma lasciare la strada aperta al motore endotermico. Il successo del governo è stato quello di far certificare questo: l’Italia ha aperto la strada e la Germania, che è altro paese grande produttore di auto, ha posto lo stesso problema», ha spiegato Urso, che ha rivendicato come vittoria italiana quella di lasciare in vita il motore endotermico per essere alimentato dal combustibile sintetico, «in questo modo le aziende possono programmare investimenti fino al 2026 anche su piattaforme endotermiche, anche se è chiaro a tutti che lo sviluppo su cui puntare in via principale è l’elettrico».
In sostanza, il governo avrebbe conquistato tempo in vista del 2026 – data entro la quale il dossier ritornerà – perchè «in vista di quella data «possiamo dimostrare che altri combuistibili hanno effetti positivi: per fare biocombustibile bisognerà piantare un milione di alberi, che consumeranno anidride carbonica per quindici anni prima di diventare combustibile».
Le terre rare
La transizione energetica, tuttavia, è anche una battaglia generazionale e i movimenti animati dai più giovani non sono disposti a battaglie di retroguardia ma chiedono che il cambio di paradigma venga abbracciato. «Va loro spiegato che il costo della transizione ecologica va detta la verità: non è in pranzo di gala e va valutata nel suo complesso», ha detto Urso. In altre parole, il rischio è quello di passare dalla dipendenza al carbonfossile di provenienza russa alla dipendenza alle materie prime critiche, controllate dalla Cina. Sono le cosiddette terre rare, ovvero i minerali che servono per la componentistica della tecnologia green, che viene in gran parte prodotta in Cina.
La Commissione europea ha posto l’obiettivo di diminuire la dipendenza di queste materie prime dalla Cina e, delle 34 terre rare individuate, alcune sono disponibili in Italia. «Ai ragazzi di Ultima Generazione andrà spiegato che dovremo riaprire nei prossimi mesi i giacimenti estrattivi di cobalto, che oggi importiamo dal Congo pur essendo l’Italia il primo detentore in Ue», ha detto Urso, indicando l’obiettivo europeo di raggiungere il 10 per cento di materie prime critiche da estrarre in Europa entro il 2030, «Noi non estraiamo cobalto da vent’anni, non ci può piacere la transizione green ma importando le materie prime raccolte in Africa».
Cibo sintetico
Il ministro ha toccato anche la questione dei cibi sintetici, cavallo di battaglia del suo collega al ministero dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. Urso ha giustificato la contrarietà del governo a questa produzione spiegando che il valore aggiunto del made in Italy è data dalla consapevolezza del consumatore che «la forza italiana non è nel luogo di produzione, ma nel modello di produzione. Questo vale soprattutto per l’enogastronomia». Quindi l’obiettivo della battaglia per le etichette è quella di «permettere al consumatore di essere consapevole se nel prodotto ci sono insetti, poi deciderà se acquistarlo, anche perchè esistono ragioni di tipo sanitario che lo giustificano».
Il senso del progetto del governo in materia di politica industriale, però, è emerso chiaramente: sfruttare i punti di forza delle imprese italiane in un momento di forte anomalia di mercato. «I dati mostrano che le nostre imprese, medio piccole, di eccellenza e con una filiera corta, hanno maggiori doti di resilienza e reattività rispetto ai colossi francesi e tedeschi» e dunque rispondono meglio a questa epoca storica fatta di stravolgimenti geopolitici. «Le regole del commercio internazionale si stanno riscrivendo e questa può essere la forza italiana», ha concluso Urso.
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