- «Giarrusso non può entrare nel Pd. Al di là delle scuse per ciò che ha detto su di noi, per il nostro regolamento non può essere tesserato perché fa parte di un gruppo diverso dal nostro al parlamento europeo. Le regole che evitano le porte girevoli ci sono già. Basta applicarle»
- «Gli iscritti sono un dato che evolve ogni settimana e farlo sapere prima di cominciare il procedimento congressuale serve solo ad alimentare polemiche. Ma rimarranno delusi quelli che annunciano il tracollo».
- «Troppa ipocrisia sul potere degli iscritti. Che, ad esempio si incazzano molto quando non vedono pagate le quote obbligatorie da parte degli eletti. Lo statuto dice che per questa ragione quegli eletti devono decadere da iscritti al Pd. Ci sono casi sia al Nord che al Sud».
Non capita spesso o, meglio, capita quasi mai che un capo dell’organizzazione parli pubblicamente del suo lavoro. In genere custodisce gelosamente gli interna corporis di un partito, esce dal riserbo solo per smentire le incursioni degli altri nel suo regno riservatissimo, i numeri delle tessere e gli ingranaggi sensibili della macchina. Così ha fatto fin qui Stefano Vaccari: ha negato i numeri unofficial del crollo delle tessere Pd. Ora però, spiega, si è seccato di «chi parla di cose che non sa».
Modenese due volte sindaco della sua Nonantola (poi senatore, oggi deputato), classe ‘67, già zingarettiano (è stato nella segreteria di Zingaretti e di Letta), area sinistra, è uno degli emiliani sfuggito a Stefano Bonaccini: anzi è stato fra i primi a schierarsi con Elly Schlein.
Onorevole Vaccari, il convento passa la polemica sull’annuncio di iscrizione al Pd da parte dell’ex iena M5s Dino Giarrusso. Ci dia lumi.
Al di là di come sia davvero andata, e al di là delle scuse eventuali per ciò che ha detto su di noi, secondo il nostro regolamento Giarrusso non può essere tesserato perché fa parte di un gruppo diverso dal nostro al parlamento europeo, anche se è il suo è il misto, cioè quello dei non iscritti. Le regole che evitano le porte girevoli sia nazionalmente che sul territorio ci sono già. Basta applicarle.
Ma siete in grado di dire dei no? Si parla di un crollo di iscritti al Pd da un milione a 70mila. Lei ha negato, ma non ha detto quanti iscritti ha il Pd. Qual è il numero, e perché è così misterioso?
Nessun mistero. Quest’anno per la prima volta il tesseramento poteva essere effettuato con una piattaforma on line oltre che con il metodo tradizionale, quello cartaceo. In occasione dello svolgimento delle primarie saremo in grado di fornire i dati, anche divisi per regioni e province, perché il regolamento che ha adottato la direzione per il congresso e le primarie prevede la possibilità di iscrizione fino al 31 gennaio per i nuovi iscritti e la possibilità di conferma di iscrizione per gli iscritti del 2021 fino allo svolgimento dei congressi di circoli. Gli iscritti sono un dato che evolve ogni settimana e farlo sapere prima di cominciare il procedimento congressuale serve solo ad alimentare polemiche. I dati degli altri anni sono noti. Nel 2021 gli iscritti erano 320mila. E raccontano che siamo il partito più grande del Paese, non solo quello che raccoglie il maggiore consenso tra i contribuenti con il 2 per mille. E che siamo un partito che risente della difficoltà di tradurre la partecipazione e il consenso nelle urne in adesione e militanza. Nonostante tutto ciò che sul territorio siamo ancora capaci di realizzare.
Alcuni suoi colleghi raccontano riservatamente che il numero degli iscritti è rimasto basso perché così i circoli e le federazioni sono più facilmente scalabili. È così?
Quando sarà possibile, dopo i controlli e la certificazione, fornire i dati ufficiali del tesseramento avremo delle sorprese. Rimarranno delusi quelli che annunciano il tracollo. È interesse di tutti anche nel partito avere una base associativa forte e ben distribuita. Rafforza l’idea che il Pd è baricentro per costruire l’alternativa alle destre.
Lei è il responsabile dell’organizzazione di un partito che in molti casi, anche dai dirigenti, viene descritto sfrangiato, disorganizzato, disunito.
Il Pd è un partito che deve essere rimotivato prima ancora che rifondato. Per farlo c’è bisogno di innovare sul progetto e di radicalità, di allargare la partecipazione partendo dalle questioni che attraversano la vita delle persone che hanno meno opportunità. Con responsabilità, siamo stati al governo del Paese anche quando era difficile far parte di coalizioni troppo eterogenee. Si è data l’impressione che il governo fosse un fine e non un mezzo per cambiare le cose. Un loop in cui non dobbiamo più entrare. Ma per farlo serve cambiare testa e corpo al partito.
Alcuni candidati, come Paola De Micheli, chiedono di dare potere agli iscritti. Lo dice anche Goffredo Bettini, e in fondo era anche l’ambizione delle Agorà di Letta. Siete un partito in cui comanda il vertice?
Ruoli e funzioni degli iscritti sono definiti dallo statuto. Per cambiarli serve cambiare lo statuto. La nuova assemblea potrà farlo. La prima volta che lo si è fatto veramente nella storia del Pd è stato nel 2019 durante la segreteria di Nicola Zingaretti, aggiungendo nuove opportunità per favorire la partecipazione e introdurre principi di federalismo nella gestione delle risorse. Però io credo che il tema vero sia la partecipazione. E che conti molto di più la pratica reale, che applicare o no lo statuto. Ad esempio gli iscritti si incazzano molto quando non vedono pagate le quote obbligatorie da parte degli eletti. Lo statuto dice che per questa ragione quegli eletti devono decadere da iscritti al Pd.
Adesso allora faccia i nomi.
Ci sono caso di questo genere, soprattutto in ambito regionale, sia al Nord che al Sud. Ma confido che si risolvano presto.
Dica la verità: cosa scoprirà il suo successore all’organizzazione?
Abbiamo fatto tanto lavoro grazie soprattutto a migliaia di volontari che in ogni parte d’Italia tengono in vita una rete e rendono possibile una interlocuzione con i cittadini e le realtà produttive. Vanno ringraziati sempre. E chi parla del Pd dovrebbe tenere soprattutto in testa loro.
Lascio un partito più consapevole di sé stesso, che ha saputo ripensarsi durante e dopo la pandemia tornando più vicino alle persone sui territori. Poi quella vicinanza veniva vanificata dalle “non scelte” di quando siamo stati al governo del Paese, e diventava in un attimo lontananza. Perché, come ha scritto un caro amico in un bel libro su ambiente e bellezza, noi siamo la storia anche quando non scegliamo. E quella storia, il 25 settembre ci si è rivoltata contro.
L’organizzazione non ha nessuna responsabilità nella sconfitta?
In questa fase va molto di moda criticare per accreditarsi come innovatori. Spesso chi lo fa però non ha la consapevolezza degli effetti distruttivi che hanno dichiarazioni e giudizi liquidatori. E tanto più da parte di dirigenti che spesso non sanno di cosa parlano, perché non è il mestiere loro. Spiace che non ci sia questa consapevolezza. E questa responsabilità. Comunque, la richiesta di rinnovamento io la prendo sul serio. Dopo il congresso sarò il primo che si farà da parte.
È un fatto che molti scelgono Bonaccini perché universalmente viene descritto come più solido di Schlein, anche nella conoscenza del partito.
Stefano è un amico, abbiamo cominciato a fare politica assieme più di 35 anni fa (io prima di lui in verità), è stato dirigente regionale e nazionale, è stato un bravo amministratore e in questo ruolo ha avuto modo di girare l’Italia. Se penso al futuro del Pd e della sinistra in questo Paese credo che serva una figura come Elly per rivoluzionare entrambi, scardinando meccanismi e prassi consociative interne. E riuscire a tornare ad essere credibili agli occhi delle persone.
Ma è augurabile una segretaria neoiscritta, che conosce poco il partito?
Elly sta girando l’Italia come aveva fatto durante la campagna elettorale, e sta toccando con mano la voglia di partecipazione e cambiamento. Non si dirige un partito da soli, serve avere attorno persone che, dal territorio alla segreteria nazionale, sappiano cosa fare per cambiarlo. E comunque parliamo di una dirigente che è stata europarlamentare e vicepresidente dell’Emilia Romagna. La nuova fase si è già aperta, serve un mix di competenze ed empatia. E lei lo incarna bene.
L’attacco contro le correnti è un classico di questo congresso. Quanta ipocrisia contiene?
Troppa. Perché il tema è capire quando servono le correnti. Se servono quando devi essere eletto oppure se sono soggetti politici con cui vive il pluralismo interno. Oppure se si prova a scardinare tutti assieme questo metodo che ha fatto saltare un segretario e condizionato malamente quello che è venuto dopo. Il nodo sta qui.
Anche lei è emiliano. Ma perché questo congresso parla così tanto con l’accento emiliano?
Sono legato a tutti i candidati da rapporti di militanza e amicizia, sono certo che chiunque vincerà lavorerà per il bene del Pd. Ma è un fatto, non solo una coincidenza, che nel tempo da noi si sono formati gruppi dirigenti che hanno prodotto persone in grado di avere i numeri per potersi candidare.
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