Il generale Antonio Pappalardo dei gilet arancioni, il vice segretario del partito neofascista Forza Nuova, Giuseppe Provenzale e Paolo Gulisano – giornalista cattolico coautore di un saggio sul mondo di Narnia con il direttore dell’Osservatore romano -, tutti uniti contro la campagna vaccinale. La risposta di Altobelli, operatore sanitario tra i primi vaccinati: «Il vaccino va fatto. Non riesco neanche a parlare di quello che ho visto in reparto»
Il giorno del vaccino ha scatenato i no vax e i loro leader. Alle 7:20 del 27 dicembre l’infermiera Claudia Alivernini ha accolto con un sorriso la prima vaccinazione anti Covid-19 in Italia, già il giorno prima il vice segretario del partito neo fascista Forza Nuova Giuseppe Provenzale (confluito in Italia libera) attaccava su Twitter «il prodotto sospetto di una qualunque multinazionale del farmaco». Per lui il vaccino «non può essere in alcun modo "luce di speranza”». Quello che lo ha fatto arrabbiare di più è stata la presunta «pseudo sacralità» del siero: « Un vaccino - che poi vaccino non è - NON è come un messia da attendere». Messaggio prontamente rilanciato dalla chat di Telegram di Forza Nuova.
Oltre ai tweet di commento, la menzione di un articolo di Paolo Gulisano, giornalista e medico autore nel 2005 con l’attuale direttore dell’Osservatore Romano, Andrea Monda, del saggio «Il mondo di Narnia», collaboratore di varie testate cattoliche più volte ospite a tv2000, la tv della Conferenza episcopale italiana. Gulisano, sulla testata online di «giornalisti cattolici» La bussola quotidiana si scaglia contro «il sacro vaccino» e punta il dito su un presunto complotto internazionale: «Il V Day è dunque un evento anzitutto di grande valore simbolico, funzionale ad una colossale operazione propagandistica. Sappiamo bene che la propaganda, la strategia comunicativa, è uno dei cardini del Great Reset» ovvero la rifondazione di un nuovo sistema economico che per Gulisano è al centro di un grande accordo sovranazionale: «Con il V Day si giunge alla conclusione di un lungo, capillare lavoro fatto dai media e dai social, per conto dei singoli governi e ora dalla stessa Ue, per dare una precisa e univoca lettura dell’epidemia».
I gilet arancioni
Tra i primi interventi contro il vaccino, anche quello del generale Antonio Pappalardo, leader dei gilet arancioni. Animatore delle piazze contro la “dittatura sanitaria”, adesso torna alla carica sollevando dubbi sulla campagna vaccinale: «Ancora una volta il governo si avvale di immagini, che mistificano fatti e circostanze, per ingannare il popolo, che viene ritenuto bue e sottomesso». I dubbi per lui partono dal trasporto: «Abbiamo visto i vaccini prelevati in aeroporto e trasportati in luoghi militari da automezzi dei carabinieri. Perché non con mezzi degli ospedali o della protezione civile e portati in luoghi di cura? Che messaggi debbono essere dati alla popolazione? Se ci sono di mezzo i carabinieri, uomini che si pongono al di fuori della menzogna e dell’inganno, allora i vaccini sono una cosa seria e vanno accettati?», ha detto all’agenzia giornalistica Adnkronos. Anche la temperatura di conservazione per lui solleva altri interrogativi: «Perché conservare il vaccino a -70 gradi Celsius e persino chiusi in cartoni? Una temperatura che sulla Terra non si raggiunge nemmeno in Antartide. Che cosa si vuole conservare? Quali elementi contenuti nel vaccino non si debbono deteriorare? Va inoltre detto che il virus muta continuamente».
Pappalardo conclude: «Si può continuare a credere in un governo che continua ad ingannare il popolo e che viene sconfessato da sentenze di magistrati che cominciano a voler vedere chiaro in una situazione abnorme, che ormai il popolo considera una vera e propria dittatura sanitaria, terapeutica e tecnocratica, sostenuta da un odioso terrorismo mediatico?».
A loro ha risposto Omar Altobelli, l’operatore socio sanitario tra i primi cinque ad essere vaccinato allo Spallanzani di Roma: «Ai no Vax dico che oggi è importante vaccinarsi, è stato un anno difficile e non riesco neanche a parlare di quello che ho visto in reparto». Lui è contento: «sono contento di essere stato una “cavia” se pensano questo, ma sbagliano: il vaccino va fatto». Ha detto ancora che «è andata bene, non ho sentito nemmeno dolore. È stato davvero un bel momento, un’emozione unica. L’ho fatto per la mia famiglia, per me stesso e per i miei pazienti. Abbiamo lavorato in trincea per mesi, visto sofferenza e dolore».
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