- La Regione Lombardia ha informato il Ministero della Salute che «stanno giungendo con intensità crescente» alle aziende sanitarie richieste di indennizzo per danni a seguito di somministrazione di vaccino anti-Covid.
- La normativa vigente prevede un riconoscimento economico a favore di chi abbia riportato lesioni permanenti da vaccini obbligatori. Negli anni, la Corte Costituzionale ha esteso la indennizzabilità anche a specifici vaccini raccomandati, in base a principi costituzionali.
- Come avvenuto per altre vaccinazioni non obbligatorie, e riconosciute come indennizzabili, anche per quella anti Covid potrebbe essere necessario l’intervento della Consulta, a seguito di ricorsi nell’ambito dei quali sia sollevata la questione di legittimità costituzionale della legge sull’indennizzo.
Qualche giorno fa è stata divulgata una nota con la quale la Regione Lombardia ha comunicato al Ministero della Salute che «stanno giungendo con intensità crescente» alle aziende sanitarie lombarde, e a quelle di tutto il territorio nazionale, «richieste per indennizzo/risarcimento a seguito di somministrazione di vaccino» anti Covid. La Regione Lombardia ha chiesto al Ministero «di farsi carico del riscontro ai cittadini e comunque di condividere il percorso da attuarsi». La questione dell’indennizzabilità dei danni permanenti da vaccinazioni necessita di chiarimenti.
Le regole sugli indennizzi da vaccino
La normativa in tema di indennizzi (l. n. 210/1992) - come ricorda la nota della Regione Lombardia - prevede un riconoscimento economico a favore di chiunque, a seguito di vaccinazioni, abbia riportato «lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica» pur non riferibile a responsabilità di alcuno. L’indennizzo è disposto riguardo a vaccinazioni «obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria»; oppure «non obbligatorie», ma “necessarie” - come quelle effettuate per poter accedere ad uno stato estero o per motivi di lavoro o d’incarico - o riconosciute come indennizzabili dalla Corte Costituzionale (vaccinazioni contro morbillo, parotite e rosolia; antiepatite B; antiepatite A; antinfluenzale). La vaccinazione anti SARS-CoV-2 è obbligatoria dal 1° aprile 2021 solo «solo per le categorie degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario». Negli altri casi invece - come afferma la Regione – essa è «fortemente raccomandata», quindi, non rientra ad oggi tra quelle per cui la legge prevede la possibilità di indennizzo in caso di danni permanenti. «Tuttavia, poiché la giurisprudenza ha progressivamente ampliato il novero delle vaccinazioni non obbligatorie ammesse alla tutela indennitaria, sulla base dei principi di solidarietà sociale, di tutela della salute, anche collettiva, e di ragionevolezza - scrive la Regione Lombardia - pare opportuno procedere a istruire comunque le pratiche relative a tali istanze».
La Corte Costituzionale e gli indennizzi
La giurisprudenza richiamata dalla Regione Lombardia è quella della Corte Costituzionale che, nel corso degli anni, di volta in volta, ha esteso la indennizzabilità anche a specifiche vaccinazioni raccomandate – quelle sopra citate, contro morbillo, parotite e rosolia, antiepatite B, antiepatite A, antinfluenzale - dichiarando l’illegittimità costituzionale della citata legge del 1992 nella parte in cui non ha previsto la tutela per tali vaccinazioni.
In tali pronunce la Consulta ha, innanzitutto, sottolineato il principio di solidarietà sociale che impronta la legge sull’indennizzo: «in difetto di una prestazione indennitaria, il soggetto danneggiato sarebbe costretto a sopportare, da solo, tutte le conseguenze negative di un trattamento sanitario effettuato non solo nell’interesse dell’individuo, ma anche dell’intera società» (sent. n. 107/2012). In questa prospettiva, non avrebbe senso «differenziare il trattamento tra quanti hanno subìto la vaccinazione per imposizione di legge e quanti vi si sono sottoposti aderendo ad un appello alla collaborazione». Infatti, come già affermato nel 1998 (sent. n. 27), ciò significherebbe riconoscere «a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione». Vi sarebbe, insomma, «un’irragionevole differenziazione» tra chi si è sottoposto a vaccinazione in osservanza di un obbligo giuridico e chi, invece, si è vaccinato aderendo alle raccomandazioni delle autorità sanitarie. «L’irragionevolezza deriverebbe dal riconoscimento solo ai primi, in caso di menomazioni permanenti, del diritto all’indennizzo, a fronte del medesimo rilievo che raccomandazione e obbligo assumono al fine della tutela della salute collettiva» (sent. n. 268/2017).
Questo concetto è stato ribadito dalla Consulta anche di recente (sent. n. 118/2020): «non vi è differenza qualitativa tra obbligo e raccomandazione: l’obbligatorietà del trattamento vaccinale è semplicemente uno degli strumenti a disposizione delle autorità sanitarie pubbliche per il perseguimento della tutela della salute collettiva, al pari della raccomandazione». La ragione che fonda il diritto all’indennizzo non sta, quindi, nell’obbligatorietà, ma nell’adempimento di un dovere di solidarietà, cioè nel sottoporsi a una vaccinazione «nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale».
La Corte Costituzionale ha affrontato anche un altro tema essenziale: riconoscere l’indennizzo non significa dare «valutazioni negative sul grado di affidabilità scientifica» delle vaccinazioni. Al contrario, tale riconoscimento, originariamente riservato a quelle obbligatorie, e la sua estensione, a opera della Corte, ai citati casi di vaccinazioni raccomandate «completano il “patto di solidarietà” tra individuo e collettività in tema di tutela della salute e rendono più serio e affidabile ogni programma sanitario volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali, al fine della più ampia copertura della popolazione» (sent. n. 268/2017).
Vaccino anti Covid e indennizzo
La vaccinazione anti Covid sembra rientrare tra quelle “fortemente raccomandate” – come affermato anche dalla Regione Lombardia - in quanto caratterizzata da alcuni elementi individuati dalla Corte Costituzionale (sent. n. 268/2017): è oggetto di «insistite ed ampie campagne, anche straordinarie, di informazione e raccomandazione da parte delle pubbliche autorità sanitarie, nelle loro massime istanze (con distribuzione di materiale informativo specifico sia tra gli operatori sanitari sia presso la popolazione)». Tale vaccinazione, non essendo obbligatoria e non rientrando tra quelle già oggetto di una pronuncia costituzionale, non è ad oggi formalmente ammessa alla tutela in caso di danni conseguenti alla somministrazione. Le sentenze richiamate potrebbero non bastare per ritenere automaticamente indennizzabili anche le lesioni permanenti da vaccino anti Covid-19, pur ricorrendo la medesima “ratio” che ha indotto la Consulta alle pronunce sopra indicate. Il giudice di merito, investito da un ricorso finalizzato a ottenere il riconoscimento dell’indennizzo, a rigore non potrebbe applicare la legge del 1992 a una ipotesi attualmente non contemplata (vaccino anti Covid). Egli potrebbe, invece, sollevare la questione di legittimità costituzionale di tale legge, con riguardo alle parti in cui l’indennizzo non è previsto per la vaccinazione contro il SARS-Cov-2, analogamente a quanto avvenuto per il riconoscimento della tutela in altri casi di vaccini non obbligatori. E la Corte, a quel punto, dovrebbe verificare la sussistenza dei principi già espressi per l’indennizzabilità in tali casi. L’esito del giudizio appare scontato, ma il percorso resta comunque lungo.
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