C’è una coerenza umana in questa classe dirigente, si deve ammettere. In mancanza di coerenza logica e visione strategica, ci si dovrà accontentare
«Se si è d'accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l'italiano laddove già non lo conoscano bene, se nelle scuole si insegni approfonditamente la storia, la letteratura, l'arte, la musica italiana, se i genitori saranno coinvolti pure loro nell'apprendimento della lingua e della cultura italiana e se non vivranno in comunità separate. È in questa direzione che noi intendiamo muoverci».
Questo non è l’inizio del mio articolo, fortunatamente, ma un tweet che il ministro Giuseppe Valditara, per sua stessa ammissione, ha dettato al telefono, e che evidentemente il suo staff ha ritenuto di pubblicare senza rivederne la forma. Sulla forma, assai faticosa, molti sono intervenuti.
Fra loro, con qualche accenno ironico, Nicola Lagioia e Giulio Cavalli. La sostanza dell’ironia consisteva nel rilevare che il ministro vorrebbe che i cittadini immigrati imparassero l’italiano e questa sua idea la comunica in un italiano molto faticoso. Un’ironia lieve e bonaria, a parer mio.
La moda della querela
Che io sappia nessuno ha rilevato la contraddizione fra dire che i cittadini immigrati si dovrebbero assimilare e dire che lo faranno se rimarranno in minoranza nelle classi, né l’uso di «assimilazione», che è un termine ormai bandito da qualsiasi sociologia non razzista dell’integrazione. Nessuno ha rilevato il canone culturale tutto letterario, ottocentesco, del ministro: non esiste scienza italiana nella sua rappresentazione della cultura, nonostante la tradizione della fisica e della matematica italiane. Nessuno ha obiettato, almeno che io sappia, all’equiparazione fra cultura e lingua italiane, che cancella con un tweet malscritto le tradizioni dialettali del nostro paese, le culture locali e popolari. Nessuno ha notato che un esponente della Lega dovrebbe stare attento, su questo terreno.
Eppure, per tutto questo, Valditara ha ritenuto di querelare Lagioia e Cavalli. Forse, se i due fossero stati in forza al suo ministero, avrebbe riservato loro il trattamento che ha avuto Christian Raimo. Non potendo difendere il suo presunto onore usando per fini personali l’amministrazione che dirige, Valditara ricorre alla querela, uno strumento ormai di moda nel nostro paese.
Non ritiene, il ministro, di difendere la sua prosa: eppure avrebbe potuto almeno provarci. Anzi, ammettendo di avere dettato e avere badato alla sostanza («l’ho dettato al telefono, pensavo ai contenuti, non alla forma»), conferma il giudizio di Lagioia. Che poi anche la sostanza del suo pensiero fosse claudicante è un’aggiunta a tutta questa risibile vicenda.
Stiracchiare il diritto
Ritiene, però, il ministro, di usare impropriamente lo strumento del diritto per infastidire, o tentare di ledere, gli autori di quelli che evidentemente considera giudizi critici troppo fastidiosi per essere accolti con ammissioni o silenzi, in questo conformandosi allo stile rancoroso, piccato e acido del capo del governo. C’è una coerenza umana in questa classe dirigente, si deve ammettere. In mancanza di coerenza logica e visione strategica, ci si dovrà accontentare.
Rimane il dispiacere per questo uso buffonesco e improprio degli strumenti del diritto, a metà tra cercare di portar via il pallone se si perde e chiamare la mamma quando il fratello maggiore fa il gradasso. Ma questo è un vizio e un costume nazionale e diffuso.
Il diritto viene stiracchiato da tutti, ormai: da chi lo usa per coprire incoerenze amicali e cancellare qualsiasi amoralità (si veda il caso Caffo), da chi lo impiega come arma impropria (Valditara e chi colleziona querele temerarie ed esposti contro intellettuali e giornalisti scomodi), da chi millanta chissà quali competenze giuridiche per accusare di ignoranza chi, come chi scrive, ricorda la divisione liberale delle sfere – ricorda cioè che ci sono criteri morali, criteri di eleganza, criteri di opportunità e norme giuridiche, e che non tutto si riduce a queste ultime.
La grammatica e il bello stile, per esempio, o la coerenza logica non sono norme di diritto, né tutelate dal diritto. Ma tutto questo attiene in realtà a fatti psicologici, alla realtà piuttosto disarmante di persone adulte, con incarichi pubblici di responsabilità, che si affannano a dettare al telefono, urlano contro presunti nemici dietro a un microfono, gonfiano le parcelle degli avvocati loro e altrui, invece che pensare alle sorti del paese. A questo punto, che altro ci aspetta? Una sfida a duello? Un dispetto cantato sotto il balcone di un oppositore? Senza dubbio, si tratta dei migliori esponenti di una certa cultura italiana: quella degli azzeccagarbugli e della sceneggiata.
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