Gianluigi Torzi, il broker accusato dal Vaticano di aver partecipato allo scandalo del palazzo di Sloane Avenue a Londra e di aver “estorto” 15 milioni di euro per una consulenza fittizia, è stato arrestato nella capitale britannica dalla polizia inglese. O meglio, dalla National extradition unit, una nuova unità specializzata in estradizioni creata un anno fa in occasione della Brexit.

Fermato a casa e portato in carcere, i giudici britannici hanno poi confermato la sua custodia in carcere, in attesa di una possibile estradizione in Italia. Torzi e i suoi legali si sono opposti. Il mandato di arresto era stato spiccato quasi un mese fa dal gip di Roma, che su richiesta della procura capitolina, aveva disposto il fermo del raider accusato di false fatturazioni. Misura che non era stata eseguita dal nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza perché l’imprenditore molisano risultava “irreperibile”: da anni Torzi vive in effetti con la sua famiglia a Londra, mentre i suoi affari spaziano tra l’Inghilterra, il medio oriente e la Svizzera.

Gli avvocati hanno provato a chiedere subito la libertà provvisoria su cauzione, proponendo alla corte di versare due milioni di sterline, ma la domanda è stata respinta – senza entrare nel merito delle accuse italiane – a causa di un possibile «pericolo di fuga».

La cauzione

In realtà, risulta a Domani che la procura romana avrebbe spedito agli inquirenti inglesi anche alcuni documenti dei promotori di Giustizia del Vaticano, i pm del papa che arrestarono Torzi già un anno fa. Spiegando che il finanziere, liberato dai gendarmi proprio su cauzione, aveva versato – dei 3 milioni di euro previsti da un accordo scritto – solo 200mila euro, bonificati quando Torzi era ancora rinchiuso nelle prigioni vaticane. Quando la Santa sede ha tentato di incassare il resto della somma promessa, però, ha scoperto che i conti correnti elvetici non erano intestati al broker – che intanto si era dileguato tornando a Londra – ma ad alcuni prestanome e a società anonime. Il Vaticano non era quindi riuscito a ottenere quanto sperato.

Secondo fonti vicine all’inchiesta, il precedente non sarebbe stato buon viatico per il rilascio dell’imprenditore. Marco Franco, avvocato di Torzi, spiega che si tratta solo di un misunderstanding: «Il mio cliente già da tempo ha inviato una richiesta scritta alla sua banca svizzera, in modo da sbloccare i suoi conti correnti e saldare i 2,8 milioni di euro della cauzione richiesta dal Vaticano. Il procuratore di Lugano però si è opposto, ma non sappiamo perché».

II collegio difensivo di Torzi entro 48 ore intende convincere i giudici che il pericolo di fuga «è inesistente». Nel caso venga confermato l’arresto, l’intenzione è quella di appellarsi all’Alta Corte. La stessa, cioè, che qualche mese fa escluse che il finanziere avesse estorto illecitamente soldi alla segreteria di Stato: il giudice Water Baumgartner aveva sottolineato che i 15 milioni erano stati ottenuti da Torzi «attraverso una normale transazione economica tra parti consenzienti».

Le accuse a cui deve rispondere Torzi, però, stavolta riguardano presunte false fatture non collegate all’operazione del palazzo londinese di Sloane Avenue, ma a società italiane, tanto che la procura ha disposto alcune misure interdittive del divieto di esercitare la professione di tre commercialisti di Torzi. Un impianto accusatorio che ha passato a fine aprile anche il vaglio del tribunale del Riesame. La partita giuridica si fa ancora più complessa, con la Santa sede spettatore interessato.

 

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