Il Vaticano dice no alla commissione di inchiesta parlamentare sulla cittadina vaticana Emanuela Orlandi, scomparsa quarant’anni fa in circostanze ancora misteriose, e la maggioranza di destra, che alla Camera aveva approvato il disegno di legge sull’istituzione con un applauso, adesso vacilla.

La posizione della Santa sede è stata espressa da Alessandro Diddi, il promotore di giustizia vaticano convocato al Senato per un’audizione sul ddl: «In questa fase delle indagini - ha detto - aprire una nuova commissione sarebbe un’intromissione perniciosa per la genuinità delle indagini che stiamo conducendo».

Diddi sta portando avanti dallo scorso 13 gennaio la prima indagine in assoluto sul caso all’interno delle mura leonine, e ha ribadito che il mandato arriva direttamente da papa Francesco: «Abbiamo limiti giurisdizionali, ma abbiamo trovato delle carte interessanti. E per la prima abbiamo attivato una proficua collaborazione investigativa tra lo stato Vaticano e la Repubblica italiana. Le indagini sono in corso e mi voglio attenere a un riserbo istruttorio, lo trovo rispettoso».

Il promotore di giustizia ha specificato a Domani che non si tratta di un no assoluto, ma della richiesta di non partire adesso che sono in corso altre indagini. Oltre a quella del Vaticano intanto, è partita di recente anche l’indagine della procura di Roma, quella parlamentare sarebbe la terza: «Senza dimenticare il quarto tribunale – ha aggiunto Diddi –, quello del popolo». In entrambi i casi, per Diddi sconsigliabili. Il suo parere si associa al fastidio del Vaticano.

L’intervento di Diddi

L’intervento di Diddi, giunto puntualissimo in audizione, ha fatto scalpore non solo per il no alla commissione. Il pm infatti ha esordito bacchettando il parlamento italiano sulla sua convocazione e leggendo una lettera del segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin: «La convocazione non è stata corretta sia dal punto di vista della forma che della sostanza».

Diddi è stato convocato tramite e-mail e attraverso la sua segretaria, una modalità per il procuratore non sufficiente. Per il Vaticano si tratta infatti di una convocazione «finalizzata ad avere informazioni da un pubblico ufficiale di uno stato estero». Tuttavia Diddi ha assicurato a Domani che nessuno ha chiesto anticipazioni su quanto avrebbe detto. 

Il fratello di Emanuela Orlandi, Pietro, è rimasto in piedi per due ore nell’ufficio della segreteria della presidenza della commissione osservando in silenzio lo schermo che trasmetteva le audizioni. Al termine è stato interpellato da un nugolo di giornalisti, che per l’occasione hanno stazionato negli uffici della commissione invece che nella sala stampa: «Le parole che ho sentito non mi sono piaciute, mi è sembrato come dire “fatevi gli affari vostri”». Rispetto a qualche tempo fa, c’è «un atteggiamento diverso».

L’avvocata della famiglia, Laura Sgrò, ha ricordato le parole di Pietro Orlandi sulle uscite di Giovanni Paolo II finite al centro delle polemiche: «Non andava certo a benedire case». Sgrò ha tenuto a ribadire che non c’era nessun intento diffamatorio.

Papa Francesco ha parlato invece dal balcone in piazza San Pietro «di illazioni offensive e infondate». Una contrarietà che non sembra ancora placata. Diddi a margine dell’audizione ha commentato: «Credo che papa Francesco si sia espresso nel corso di un Angelus, e tutto il mondo lo ha sentito».

Lo Voi e Pignatone

Nella stessa seduta della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, sono stati ascoltati nell’ordine anche il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, il presidente del Tribunale Vaticano, Giuseppe Pignatone, il giornalista Andrea Purgatori e infine l’avvocata della famiglia Orlandi, Laura Sgrò.

Il relatore di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo ha detto a Domani: «Faremo una riflessione sulla tempistica e sul rischio di interferenze sull’azione della procura. La commissione di inchiesta ha gli stessi poteri della procura. Ci riconosciamo nell’appello dell’avvocata Sgrò, la commissione d’inchiesta non è in discussione, ma rifletteremo su quando farla partire». I tempi saranno discussi martedì in ufficio di presidenza. Il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri (FI), è pronto direttamente a votare contro.

Eppure nessun altro a parte Diddi ha obiettato sull’ipotesi della piena operatività della commissione in tempi brevi, nemmeno Pignatone. Anche perché esistono già le commissioni Antimafia e Ecoreati, che convivono da sempre tranquillamente con le indagini. Le parole di Diddi, ha detto Dario Parrini del Pd, «sono affermazioni pesantissime che toccano il parlamento» e «hanno suscitato sbalordimento perché non si può vedere nell'inchiesta del Parlamento, che esercita una prerogativa costituzionale, un freno».

Sia Lo Voi sia Pignatone hanno piuttosto invitato alla cautela sui nomi da convocare per non offrire loro «un palcoscenico», ha detto Lo Voi. Pignatone ha puntato anche il dito sull’ipotetica azione della commissione sui depistaggi. In un articolo del testo infatti si chiede di «esaminare e verificare fatti, atti e condotte commissive oppure omissive che possano avere costituito ostacolo o ritardo», «anche promuovendo azioni presso Stati esteri, finalizzate ad ottenere documenti o altri elementi di prova in loro possesso che siano utili alla ricostruzione della vicenda». 

Il termine per presentare gli emendamenti (per ora ce ne sono due e puntano a limitare la durata della commissione) è già scaduto, ma il relatore potrebbe presentarne altri, e per ora niente è deciso. De Priamo si limita a dire: «Le audizioni sono state molto utili». Il disegno di legge non ha scadenza, dunque può essere calendarizzato molto in là, inoltre se verranno approvate modifiche, i lavori ritarderebbero ulteriormente visto che il testo dovrebbe arrivare alla Camera.

L’appello

L’avvocata Sgrò ha scandito il suo intervento per ultima, ricordando che rappresenta non solo Pietro Orlandi, ma un’intera famiglia: «La famiglia vuole una Commissione di inchiesta perché sono passati 40 anni, questa rappresenta l’ultima possibilità di sapere cosa è successo». E ha letto una a una le età degli Orlandi, a partire dalla madre di Emanuela, Maria Pezzano Orlandi, che oggi ha 93 anni. Per decenni ha vissuto speranze, notizie di morte e ricostruzioni dolorose che finora non sono arrivate a una fine.

Nel testo della memoria che ha depositato in commissione con il miglior bon ton istituzionale, Sgrò ha ricordato che il sequestro di Emanuela ha accompagnato quaranta anni di storia d'Italia e il suo nome è comparso nelle indagini dell'attentato a Santo Giovanni Paolo II, all'omicidio Calvi, al crack del Banco Ambrosiano, alla Banda della Magliana.

Pezzi di storia di questo paese che sono ancora non del tutto chiariti. Capire cosa sia capitato a Emanuela, prosegue, potrebbe aiutare a chiarire altri fatti importanti della storia d'Italia: «La verità abbisogna a tutti, non solo ai familiari di Emanuela». E qualcuno in Vaticano, ha commentato Purgatori a Domani dopo aver espresso ai parlamentari l’importanza della commissione, «potrebbe essere preoccupato».

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