- L’ex parlamentare spiega cosa dice il silenzio del premier e le «battute» sul suo futuro. E cosa succederà se verrà eletto.
- «Se Draghi venisse eletto al Quirinale, una situazione “di fatto” di controllo del presidente del Consiglio potrebbe al più durare fino alle elezioni. Quello che succede dopo il voto dipende dalle urne, altrimenti saremmo vicini all’attentato alla Costituzione».
- «Una donna eletta? Sarebbe normale. Ma non cambierebbe l’istituzione, il Quirinale è gender free».
Professore Massimo Villone, il presidente del Consiglio potrebbe traslocare da palazzo Chigi direttamente al Quirinale. Sarebbe la prima volta. Anzi c’è chi chiede che sia titolare di fatto in entrambi i palazzi. Potrebbe andare così?
Da costituzionalista vorrei fare una premessa: si eviti di giocare questa partita sulla Costituzione. Non vorrei che si arrivasse alla lagna “il nostro sistema è vecchio, fatiscente, non produce esiti, e quindi mettiamoci mano”. Invece è bene avere un sistema flessibile che consente esiti diversi. Rispondo alla domanda: ci sono scenari conformi alla Costituzione e scenari non conformi. Ad esempio, è conforme la rielezione di Sergio Mattarella, che non trova ostacolo nella norma costituzionale.
È conforme che invece decida di non volere un secondo mandato per una sua sensibilità istituzionale, come lascia intendere. È conforme l’elezione di Mario Draghi. Ma in questo caso a palazzo Chigi non può metterci un clone, come da ipotesi di Giancarlo Giorgetti, cioè semipresidenzialismo di fatto. Questo è contrario all’impianto di fondo della Carta, per il quale il presidente della Repubblica ha poteri che possono incidere sull’azione dell’esecutivo, ma non ha poteri diretti di governo. Inoltre, non funziona.
Cioè il premier-segnaposto non funziona neanche “di fatto”?
Se Draghi venisse eletto al Quirinale, una situazione “di fatto” di controllo del presidente del Consiglio potrebbe al più durare fino alle elezioni, sempre che le forze politiche gli consentano di avere un peso nella scelta. Ma quello che succederà dopo il voto dipenderà dalle urne. Draghi non potrebbe, ad esempio, rifiutare l’incarico o la nomina di un premier sostenuto da una maggioranza parlamentare, solo perché a lui sgradito. Saremmo vicini all’attentato alla Costituzione.
Draghi può essere eletto da presidente del Consiglio o deve dimettersi prima?
Per l’art. 84 della Costituzione l’ufficio di presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica. Ma quando sorge l’incompatibilità? Non al momento del voto ma successivamente. Per l’art. 91 il neo eletto assume le funzioni dopo il giuramento. Dunque esiste un “intertempo” in cui il neo eletto non è incompatibile con la carica di presidente del Consiglio. In ipotesi, potrebbe anche rifiutare l’investitura. Nel medesimo tempo anche il presidente della Repubblica uscente mantiene le sue funzioni. Possiamo ipotizzare che subito prima del giuramento il neo eletto rassegni le dimissioni, e il presidente della Repubblica uscente le accetti con effetto immediato.
La funzione passa al ministro anziano?
L’art. 8 della legge 400/1988 prevede, per l’assenza o l’impedimento temporaneo del presidente del Consiglio, la supplenza di un vicepresidente o, in mancanza, del ministro anziano. Un’interpretazione estensiva ne suggerisce l’applicazione. Normalmente il presidente del Consiglio dimissionario rimane in carica con il governo per gli affari correnti. Ma in questo sarebbe impossibile, ci sarebbe un esecutivo dimissionario presieduto da un altro. Dopo il giuramento il presidente della Repubblica neo eletto gestirà la crisi di governo.
Draghi non dice nulla, a parte una “battuta” sul fatto che a marzo sarà a palazzo Chigi poi smentita dagli stessi sindacati. Il suo silenzio è un obbligo istituzionale?
No. Draghi ha fin qui omesso accuratamente di dire che non è disponibile. Non può non sapere che l’unico modo di fermare il toto Quirinale è un’affermazione chiara: «Non contate su di me, non partecipo a questa corsa». Se non lo fa, magari motivando con ragioni di rispetto istituzionale, di fatto dice che è disponibile. Il silenzio contiene un messaggio. Non è uno che parla a caso. E non tace a caso.
La maggioranza si sta sfilacciando. Le forze politiche fanno la loro parte?
Confermano la loro incapacità di ritagliarsi un ruolo. Letta cerca di dire qualcosa di razionale ma il «fermi tutti ne parliamo dopo» è poco più che un auspicio: come fai a impedire che se ne parli? La partita del Colle non va in stand by. Letta può cercare di orientarla, ma non la controlla davvero.
Letta ha tentato di convocare un tavolo della maggioranza, poi è saltato tutto.
Ma da lì uscirebbe un accordo? Terrebbe poi? E in ogni caso come impedire che se ne parli fuori da quel tavolo? Oggi il tema del Quirinale concentra l’attenzione di tutti, magari non sempre per motivi nobili ed elevati. Si giocano le ambizioni personali di così tante persone che gli interessi del paese navigano in bassa classifica.
Intanto siamo all’ennesima manovra che arriva alle camere tardi. Si pratica il monocameralismo di fatto. C’è un governo che decide tutto e un parlamento svuotato di ruolo?
Ma non è solo colpa del governo. Un circo equestre di ministri va in giro per l’Italia per spiegare il Pnrr. Ma è possibile che l’illustrazione del Pnrr non si faccia piuttosto – o anche – in parlamento dove sono i rappresentanti di quei territori? Accade perché i partiti non hanno consapevolezza del ruolo, o non hanno la forza di svolgerlo.
La debolezza del parlamento è frutto della debolezza dei partiti più che della forza del governo?
È così. Sono le forze politiche che fanno vivere l’istituzione. Cosa ha impedito ai partiti in parlamento di chiedere in tempi utili un dibattito su quello che il Pnrr significa per il paese? Cosa lo impedisce oggi? I territori, le città, su cui impatta il Pnrr sono i luoghi in cui i partiti dovrebbero essere radicati. Se lo fossero davvero, pretenderebbero di discutere.
Il governo ha promesso di lavorare con i sindaci.
Va bene il contatto con le istituzioni locali ma nulla impediva ai partiti, che in modo vario esprimono i sindaci, di confrontarsi con il governo. Il problema è che oggi i soggetti politici non hanno luoghi in cui si riflette, si studia, si elaborano progetti. Letta convoca le agorà per ascoltare la società. Bene. Ma per definizione un partito dovrebbe essere in ascolto giorno per giorno, con i suoi iscritti, l’organizzazione territoriale, gli eletti. Un partito che non è sempre in ascolto dovremmo considerarlo un ossimoro.
Una donna al Quirinale cambierebbe il segno dibattito politico?
Una donna al Quirinale non c’è mai stata, sarebbe normale che ci fosse. Ma non cambierebbe l’istituzione, il Quirinale è gender free.
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