- Centoquarantasei capi di imputazione per quattro persone. Un insieme di reati che vanno dall’abuso di potere alla tortura per le violenze condotte dalla polizia penitenziaria nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
- Quattro funzionari dello Stato: sarebbero loro ad aver architettato la strategia di violenze che ha portato a quella “orribile mattanza” nel carcere.
- Sono Pasquale Colucci, comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti del carcere di Secondigliano, Gaetano Manganelli, commissario della polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere, Anna Rita Costanzo, commissario capo responsabile del reparto Nilo del carcere campano, Antonio Fullone, provveditore delle carceri della regione Campania.
Centoquarantasei capi di imputazione per quattro persone. Un insieme di reati che vanno dall’abuso di potere alla tortura per le violenze condotte dalla polizia penitenziaria nel carcere di Santa Maria Capua Vetere lo scorso 6 aprile 2020 e che lunedì 28 giugno ha portato all’esecuzione di 52 misure cautelari verso uomini e donne delle forze dell’ordine, in un’indagine che vede coinvolte 117 persone.
I centoquarantasei capi di imputazione sono per i quattro “registi” della spedizione punitiva, in cui uomini dello Stato sono accusati di aver abusato della forza contro dei detenuti: una violazione dei diritti umani e dei dettami della nostra Costituzione ai danni di persone prive di libertà – tra cui anche disabili – che ricorda le dittature sudamericane degli anni ‘70 piuttosto che una democrazia europea del 2020.
Pasquale Colucci, comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti del carcere di Secondigliano, Gaetano Manganelli, commissario coordinatore della polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere, Anna Rita Costanzo, commissario capo responsabile del reparto Nilo del carcere campano, Antonio Fullone, provveditore delle carceri della regione Campania. Quattro funzionari dello Stato: sarebbero loro ad aver architettato la strategia di violenze che ha portato a quella “orribile mattanza” nel carcere, come l’ha definita il gip Sergio Enea nella convalida delle misure cautelari nei loro confronti.
I registi
«Autore, determinatore, organizzatore e regista» delle violenze e degli abusi in carcere. Pasquale Colucci, comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti del carcere di Secondigliano e comandante del “Gruppo di supporto agli interventi” istituito a inizio pandemia, e alle dirette dipendenze del provveditore regionale delle carceri Antonio Fullone. La procura di Santa Maria Capua Vetere gli contesta 50 capi di imputazione: 43 li condivide con Manganelli e Costanzo.
Insieme al provveditore Fullone (5 capi di imputazione) e al commissario Manganelli (47), Colucci avrebbe eseguito le «perquisizioni personali, arbitrarie e abusive» contro i detenuti. Un provvedimento, scrive il gip, «emanato a scopo dimostrativo, preventivo e satisfattivo, finalizzato a recuperare il controllo del carcere e appagare presunte aspettative del personale di polizia», che si configura come abuso di potere.
Tra i reati contestati a Colucci (44 capi di imputazione per lei), Manganelli e Costanzo, c’è invece l’abuso di autorità per aver eseguito «consapevoli o meno dell’illeicità della perquisizione disposta» la «perquisizione straordinaria, di tipo personale, arbitraria e abusiva» nei confronti di 292 persone.
E poi i maltrattamenti, le torture e le lesioni ai danni di 15 detenuti del reparto Nilo. La “perquisizione straordinaria” è stata condotta «con una pluralità di violenze, minacce gravi e azioni crudeli contrarie alla dignità e al pudore delle persone recluse, degradanti e inumane», che sarebbero durate per oltre quattro ore.
Come si può vedere nei video pubblicati in esclusiva da Domani, i poliziotti guidati da Colucci avrebbero inferto «colpi di manganello, calci, schiaffi, pugni e ginocchiate, costrizioni ad inginocchiamento e prostrazione, induzione a permanere in piedi per un tempo prolungato, faccia al muro, ovvero inginocchiati al muro». Violenze connotate poi da imposizione «di condotte umilianti» come l’obbligo di rasatura di barba e capelli. O dalla costrizione illegittima in regime di isolamento di 15 detenuti. Ma l’elenco degli abusi è davvero molto lungo.
«Adesso lo Stato siamo noi»
Nel corso della “perquisizione straordinaria” del 6 aprile 2020, oltre alle botte non sono mancati gli insulti. Sono molte le frasi presenti nell’ordinanza riconducibili agli agenti della penitenziaria accusati dei pestaggi.
«Adesso lo Stato siamo noi», avrebbero detto alcuni di loro, in tenuta antisommossa, muniti di casco e scudi, mentre percuotevano un detenuto «con i manganelli alla testa, alla schiena e ai glutei» e con «schiaffi e pugni in pieno volto». Lo avrebbero ripetuto più volte: «Oggi appartieni a me, sono io che comando, sono lo Stato, comando io oggi».
Tra calci e sputi, gli agenti di polizia esprimono anche tutta la loro considerazione per le persone di cui dovrebbero prendersi cura e favorire il reinserimento sociale: «Porci, animali, porco, sei un uomo di merda, sei una latrina, non vali niente in mezzo alla strada, ti fai comandare dai bambini, sei un porco, sono meglio di te…». Mentre gli infilava un secchio della spazzatura in testa e lo percuoteva, un agente gridava a un detenuto: «Mettiti con la faccia là vicino, tu sei un porco, un animale».
A un altro, costretto in un corridoio, veniva gridato: «Dovete morire, siete merda, tua madre è una zoccola che ti ha partorito in galera». E ancora: «…ancora deve finire qua, adesso vi mandiamo in culo al mondo, vi dobbiamo uccidere, vi dobbiamo schiattare…», «Non posso ucciderti per non sporcarmi lemani di merda», «Avete capito, ringraziate la Madonna che siete ancora vivi, andrei a prendere la pistola e ti sparerei in testa, vi dovevamo uccidere oggi». Tutte frasi, non captate dai video delle telecamere di sorveglianza del carcere pubblicati da Domani, che restituiscono meglio il clima di violenza e intimidazione in cui sono stati costretti i detenuti.
Il depistaggio
Il provveditore Fullone insieme al commissario Colucci, Costanzo e Manganelli avrebbero, in concorso con altri, orchestrato anche un depistaggio dopo la “spedizione punitiva” del 6 aprile. A Fullone, tra l’altro, viene contestato anche il fatto di non aver prontamente denunciato gli eventi occorsi nel carcere.
Il commissario Colucci avrebbe riportato «circostanze totalmente mendaci» circa le cause dell’intervento degli agenti della penitenziaria in tenuta antisommossa: «Durante le operazioni di perquisizioni, nelle restanti sezioni i detenuti cominciavano a lanciare nei confronti del personale oggetti di natura diversa, finanche bombolette di gas incendiate… la stragrande maggioranza armati, istigata dai promotori, non solo urlava e protestava, ma lanciava oggetti agli agenti intervenuti, alcuni dei quali riportavano ferite varie… sono stati rinvenuti oggetti di fattura rudimentale atti ad offendere: pentole colme di liquidi bollenti, accumuli di bombolette di gas pronte per essere lanciate, spranghe di ferro...».
Dopo queste dichiarazione avrebbe dato mandato a Costanzo di «simulare il rinvenimento di strumenti atti ad offendere in data postuma al 6 aprile» in modo di attribuirne il possesso ai detenuti: «Con discrezione e con qualcuno fidato fai delle foto a qualche spranga di ferro», «In qualche cella in assenza di detenuti fotografa qualche pentolino su fornellino anche con acqua».
Oltre ad orchestrare il ritrovamento dell’arsenale dei detenuti per giustificare la “spedizione punitiva”, Fullone e Colucci avrebbero anche preso illegittimamente possesso di copia dei video delle camere di videosorveglianza per provare a manipolarli.
Una volta intervenuti gli investigatori dei carabinieri, venuti a conoscenza degli sviluppi dell’indagine, si rendevano conto che non ci erano riusciti: «Nonostante lo sforzo… il film va in onda in forma completa». Un “film” di violenze e abusi, indegno di una democrazia.
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