L’omicidio del giornalista Khashoggi aveva messo in crisi l’immagine riformista di Mohammed bin Salman. Ma il senatore e altri big della finanza restano amici del regime. Tra i benefit: volo privato per tornare a Roma, pagato dai sauditi
- Uomo d’affari o conferenziere a pagamento? Matteo Renzi è dovuto tornare di corsa dall’Arabia saudita ieri con un volo privato per partecipare alla consultazioni nella crisi di governo aperta da lui.
- Matteo Renzi diventa un personaggio importante per la Future Investment Initiative promossa dal fondo sovrano dell’Arabia saudita tra 2019 e 2020, cioè dopo la crisi di reputazione del regime di Ryad seguita all’uccisione del giornalista Jamal Kashoggi, in Turchia.
- Come ci è finito Renzi in Arabia saudita? Il gancio con la Future Investment Initiative è però un altro e si chiama Richard Attias, l’uomo che ha sposato l’ex moglie di Nicolas Sarkozy, Cecilia.
Un senatore che fa anche affari o un semplice conferenziere a pagamento? Come rivelato da Domani, Matteo Renzi è dovuto tornare di corsa dall’Arabia saudita ieri notte per partecipare alla consultazioni nella crisi di governo, da lui stesso provocata. La notte tra il 25 e il 26 gennaio, poche ore dopo che Giuseppe Conte aveva annunciato le dimissioni, si è imbarcato su un jet della Horizon Airlines ed è tornato a Roma per le consultazioni, a cui deve partecipare come leader di Italia viva.
Un aereo di cui era l’unico passeggero: il FII Institute, che gli dà fino a 80mila dollari l’anno per sedere in un board, concede ai suoi membri come benefit quello di volare gratis sulla tratta da e per Riad. A volte i passeggeri finiscono su aerei di linea, a volte su voli privati. In questo caso Renzi è stato fatto salire su un jet affittato dai sauditi che “comprano” ore di charter come navetta per gli ospiti illustri del regime che organizza l’evento.
Renzi non potrà dunque presenziare di persona all’edizione 2021 della Future Investment Initiative (ha però già registrato il suo intervento, che andrà in streaming oggi pomeriggio), una riunione annuale di esponenti della finanza, della politica e dell’impresa, che gli paga un compenso annuale che può arrivare fino a 80.000 dollari.
Si tratta di una legittima retribuzione per ricevere i consigli su cultura e innovazione di un ex presidente del Consiglio italiano, oppure la sua attività in medio oriente entra in pieno conflitto di interesse con il ruolo istituzionale di Renzi, che è un influente senatore della Repubblica, e che dovrebbe essere pagato soltanto dallo stato italiano e non da altri stati? Renzi ha già detto ai suoi fedelissimi che, nonostante le polemiche, non intende rinunciare all’incarico, perché il think-tank è una non-profit di livello mondiale, e perché la legge italiana vieta ai parlamentari solamente di sedere nei cda di realtà finanziarie.
Per dare una valutazione sull’opportunità o meno di un simile incarico, al di là del gettone e dei benefit, però, bisogna analizzare nel dettaglio la Future Investment Initiative e il ruolo dell’ex premier.
Crisi reputazionale
Matteo Renzi diventa infatti un personaggio importante per la FII promossa dal fondo sovrano dell’Arabia saudita tra 2019 e 2020, cioè dopo la crisi di reputazione del regime di Riyad seguita all’uccisione del giornalista Jamal Kashoggi, in Turchia.
L’opinione pubblica internazionale si indigna per l’omicidio a opera di sicari legati ai servizi segreti guidati da Mohammed bin Salman, che attirano con una trappola l’opinionista del Washington Post (molto critico nei contronti del regime) nell’ambasciata saudita in Turchia, per poi ucciderlo e farlo a pezzi, in modo da occultare il cadavere.
La notizia circola dal 2 ottobre ottobre del 2018, e molti partner si dissociano da quella che la stampa internazionale chiama la “Davos del deserto”, un evento con cui bin Salman prova a riunire l’élite mondiale della politica e della finanza in Arabia Saudita, sul modello del meeting annuale di gennaio in Svizzera.
I media coinvolti nella convention si dileguano, dal New York Times alla CNN. Giornalisti famosi in tutto il mondo, come Andrew Ross Sorkin e Arianna Huffington cancellano l’adesione per protesta contro il regime di Bin Salman.
Si ritira perfino Dara Khosrowshahi, l’amministratore delegato di Uber pure ha come primo azionista proprio il fondo sovrano dell’Arabia saudita Pif, lo stesso che organizza la Future Investment Initiative.
Rifare l’immagine del regno
La grande operazione di pubbliche relazioni dell’Arabia saudita per contendere a Dubai e Doha il ruolo di capitali mediorientali della finanza sta dunque naufragando già alla seconda edizione. Ma dietro la Future Investment Initiative c’è un nucleo di soldi e potere tale da superare anche il disastro reputazionale causato dall’omicidio di Kashoggi.
Bisogna trovare però qualcuno disposto a dare una patina di rispettabilità al regime saudita anche dopo le sanzioni americane contro i collaboratori di Bin Salman che hanno indicato all’opinione pubblica internazionale e alla comunità business la responsabilità diretta del principe reggente, che per un breve momento era stato l’icona del progressismo islamico. Ed è qui che entra in scena anche Matteo Renzi.
Conquistare i sauditi
Nel 2019 partecipa come speaker, partecipa a un dibattito sul futuro del G20 insieme ad alcuni ex politici finiti male, l’ex premier britannico David Cameron (quello del referendum perso su Brexit), Francois Fillon, travolto da uno scandalo per corruzione in Francia, l’australiano Kevin Rudd.
Renzi è il solo politico in carica e tra i più entusiasti nel celebrare le virtù dell’Arabia saudita: «Voi siete una superpotenza, non solo economica, ma anche nella cultura, nel turismo, nell’innovazione» (dice di uno dei paesi più oscurantisti al mondo).
Poi elogia la più grande quotazione in Borsa della storia, quella di Saudi Aramco, la società petrolifera di stato, e ricorda che l’Italia ospiterà il G20 nel 2021.
Tanto zelo viene probabilmente apprezzato, e Renzi oggi figura nel board of trustee, cioè tra i garanti dell’iniziativa, quelli che devono dare credibilità alla “Davos del deserto” e dunque a tutta l’operazione di riposizionamento dell’Arabia saudita come paese moderno e attrattivo, non più una petromonarchia corrotta.
Nel 2020 Renzi contribuisce a decidere il titolo dell’edizione 2021, Neo-Renaissance, neo-rinascimento.
Il principe Bin Salman ha enormi progetti turistici sul Mar Rosso, oltre 16 hotel, per accogliere almeno 300.00 visitatori l’anno, quasi tutti pellegrini verso la Mecca in cerca anche di un po’ di confort. Il progetto è finanziato dal Pif, il solito fondo sovrano dietro la Davos del deserto.
Renzi, da ex sindaco di una città molto turistica come Firenze e da italiano, forse viene considerato un esperto del settore (nel quale i sauditi hanno molte ambizioni ma poca esperienza, visto quanto è chiuso il paese).
Come ci tiene a precisare lui stesso, Renzi non è pagato per fare lo speaker alla Future Investment Initiative (le conferenze gli sono fruttate 50mila euro, ma nelle edizioni passate non in quest’ultima). Ma il suo l’impegno non è gratuito: il compenso annuale dovuto alla sua presenza in un board dell’organizzazione.
Tra gli otto membri del board of trustee è l’unico politico in carriera. Non si trovano altri esponenti delle istituzioni, men che meno occidentali, che prendono soldi dalla Future Investment Initiative e dunque dal fondo sovrano dell’Arabia saudita.
Ma come ci è arrivato Renzi in Arabia saudita? Renzi aveva visitato il paese da capo del governo nel 2015, con una curiosa appendice della trasferta, ricostruita a suo tempo dal Fatto Quotidiano: una rissa nella delegazione per contendersi i più preziosi tra gli orologi da migliaia di euro di valore regalati dal governo saudita. Il gancio con la Future Investment Initiative è però un altro, e si chiama Richard Attias.
Nei suoi anni da ex premier, Renzi ha iniziato a frequentare molti dei ritrovi dell’élite internazionale, coltivano i rapporti nati mentre era a palazzo Chigi. Dal meeting annuale del Bilderberg in Svizzera all’ancor più esclusivo ritrovo nel ranch in Montana di Erick Schmidt, l’ex amministratore delegato di Google.
L’amico Attias e Cecilia
In una di queste occasioni, Renzi deve aver conosciuto anche Richard Attias: già potentissimo pubblicitario con Publicis, questo uomo d’affari di origine marocchina di 61 diventa un paria nel sistema di potere francese quando nel 2005 la rivista Paris Match rivela la sua relazione clandestina con Cecilia Ciganer-Albéniz, all’epoca sposata con l’ambizioso Nicolas Sarkozy, in corsa per l’Eliseo.
Sarkozy perdona la moglie, vince le elezioni, nel 2007 diventa presidente della Repubblica ma Cecilia o lascia comunque e sposa Attias nel 2008. Sarkozy si consola sposandosi con Carla Bruni, Attias e Cecilia con una nuova carriera.
Nasce la Richard Attias and Associates, una società di pubbliche relazioni ed eventi specializzata nell’esportare in contesti originali il modello del World Economic Forum di Davos, che Attias ha guidato per una fase.
Dalla Giordania al Bahrein, all’Unione africana e poi all’Arabia saudita, diventato il cliente principale: Attias porta grandi nomi, spesso del suo giro di potere francese, in paesi in cerca di una legittimazione.
La sua società conta nel consiglio oltre a Cecilia Attias ex Sarkozy, anche l’ex amministratore delegato della Ferrari Jean Todt e l’ex ministro Humbert Védrine.
Ognuno dei soci di Attias ha nella rubrica del telefono numeri di primi ministri, banchieri, ministri e buona parte dell’1 per cento più ricco del pianeta. I risultati si vedono nella lista dei partecipanti agli eventi organizzati dalla società.
In questi giorni in Arabia saudita si alterneranno finanzieri come Ray Dalio, il celebre guru degli investimenti con Bridgewater, l’ex velocista Usain Bolt, il capo del più grande gestore di risparmio al mondo, cioè Larry Fink di Blackrock e il novo capo di Goldman Sachs, David Solomon.
Speaker come questi garantiscono attenzione e reputazione internazionali, così che l’autocelebrazione del regime saudita sia più efficace, perché ovviamente tra i relatori ci sono ministri e ambasciatori che possono raccontare le meraviglie del regno, come il ministro dell’Energia Abdulaziz bin Salman Al Saud.
Tra loro doveva esserci anche Matteo Renzi, ma è dovuto tornare a Roma per gestire la crisi di governo da lui stesso aperta. Difficile che questo gli causi però qualche problema con Richard Attias e la Future Investment Initiative.
Anzi, avere nel gruppo un politico che può decidere le sorti di un paese del G7 invece che soltanto ex glorie della politica francese è ancora più importante per Attias, visto il modello di business della sua società. E se cresce il valore dell’avere Renzi nella squadra, potrebbe presto crescere anche la sua remunerazione.
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