Meloni ha affermato che la riforma del Mes sarebbe stata firmata quando il governo Conte «era dimissionato, in carica per gli affari correnti, contro il parere del Parlamento, senza dirlo agli italiani, senza metterci la faccia e con il favore delle tenebre». Meloni sembra non avere le idee molto chiare
«C’è chi nega che il governo Conte alla chetichella abbia dato l’assenso alla riforma del trattato del Mes», ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel corso delle repliche all’informativa in parlamento, prima del Consiglio europeo. La firma del trattato «è stata fatta un giorno dopo le dimissioni del governo Conte» – ha continuato Meloni – «quando il governo era dimissionato, in carica per gli affari correnti, contro il parere del parlamento, senza dirlo agli italiani, senza metterci la faccia e con il favore delle tenebre». Meloni sembra non avere le idee molto chiare.
Il Mes
La riflessione su una possibile riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) era iniziata nel 2017. In occasione del Consiglio europeo di dicembre 2018, in concomitanza con la decisione di assegnare al Mes nuove funzioni per il sostegno comune al Fondo di risoluzione unico per le banche, furono definite le linee guida della riforma. All’Eurogruppo fu dato l’incarico di predisporre una bozza di revisione del trattato istitutivo del Mes. Lo scoppio della pandemia di Covid-19 sospese i lavori.
L’11 giugno 2020 la discussione fu riavviata dall'Eurogruppo, che nella successiva riunione, il 30 novembre 2020, decise di procedere con la riforma.
Il favore delle tenebre
Su queste pagine, all’epoca del Covid, accusammo l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di adottare decisioni col favore delle tenebre. Per il Mes può affermarsi la stessa cosa? Non sembra proprio, date le numerose informative in parlamento prima di arrivare alla firma. Conte fece alle camere le prime comunicazioni sul Mes il 27 giugno 2018, alla vigilia della partecipazione a un Consiglio Ue, poi l’11 dicembre 2018, per il vertice del 13 e 14 dicembre, e il 19 marzo 2019, per il vertice del 21 e 22 marzo.
Il 2 dicembre 2019, in una nuova informativa, Conte affermò che ogni decisione sul Mes avrebbe richiesto la pronuncia del parlamento. Ciò in conformità alla risoluzione approvata dal parlamento stesso il 19 giugno 2019 – in occasione di un’altra informativa di Conte sullo stesso tema – che impegnava il governo a «sospendere la determinazione definitiva» finché le camere non si fossero espresse.
Il voto del parlamento
Il 30 novembre 2020, in relazione a una riunione dell’Eurogruppo sulla riforma del Mes, fu audito in parlamento anche l’allora ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, il quale assicurò che la linea del governo sarebbe stata coerente con le indicazioni delle camere. Per Gualtieri «un clamoroso stop» nella firma del trattato, prevista per il 27 gennaio, sarebbe stato nocivo «dal punto di vista dell’interesse nazionale», ma «le posizioni del parlamento» sarebbero comunque state rispettate. Dunque, la denuncia a Gualtieri per «infedeltà in affari di stato relativa all’accordo per il nuovo trattato Mes concluso contro il mandato ricevuto» o le accuse di aver “firmato” il trattato non hanno molto senso.
Il trattato fu firmato il 27 gennaio sulla base della risoluzione con cui Camera e Senato, il 9 dicembre 2020, dopo l’ennesima informativa, conferirono a Conte il mandato a «finalizzare l’accordo politico raggiunto all’Eurogruppo e all’ordine del giorno dell’euro summit sulla riforma del trattato del Mes». Quindi, fu rispettata la volontà del parlamento. Peraltro, ai sensi della normativa internazionale, la firma di un trattato non richiederebbe nemmeno l’autorizzazione parlamentare.
Dunque, non ci sono state né tenebre né parere contrario delle camere, che anzi hanno votato a favore.
Il “dimissionato”
Meloni ha anche affermato che un governo “dimissionato”, in carica solo per gli affari correnti, non avrebbe potuto firmare un trattato internazionale: la firma era avvenuta il giorno dopo le dimissioni di Conte. Pure questa accusa non ha molto senso.
L’allora presidente del Consiglio aveva già ottenuto il voto favorevole delle cxamere circa la firma del trattato. L’apposizione effettiva della firma non è stata una sua decisione discrezionale, ma ha costituito la mera esecuzione del mandato ricevuto, e pertanto si colloca nell’amministrazione ordinaria. Per questo motivo, la data del fax di autorizzazione alla firma stessa, sventolato da Meloni in parlamento, sembra comunque avere un valore irrisorio.
Secondo qualcuno, Meloni vuol far passare l’idea che sarà obbligata alla ratifica del Mes perché messa all’angolo dalla firma di Conte. Ma se, come lei sostiene, tale firma viola le “regole”, e quindi è invalida, perché prosegue la sceneggiata della ratifica-non ratifica del Mes, non essendo in nessun caso obbligata a ratificare? Qualcosa non torna.
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