La decisione di riconoscere il Ramadan non piace a chi coltiva una mediocre idea nazionalista. La chiusura e la segregazione rafforzano l’identificazione religiosa e comunitaria, mentre l’apertura e l’incontro tra culture rafforzano l’identificazione individuale, il senso di sé. Ai fondamentalismi di tutte le fogge, la chiusura piace
La vicenda della scuola pubblica di Pioltello che decide di riconoscere il giorno festivo di chiusura del Ramadan ha fatto enorme scalpore, mettendo in luce una biforcazione nell’idea di che cosa sia o possa essere una società democratica: se l’espressione della maggioranza o invece di una etica del rispetto della persona.
Situata nella periferia di Milano, con una larga popolazione residente e scolastica di non cattolici, i dirigenti di quella scuola hanno preso una decisione doverosa di rispetto, coerente con il dettato della nostra Costituzione e con i principi morali.
Perché è la persona a essere rispettata quando viene riconosciuto il rispetto alla sua religione. La decisione unanime della dirigenza di quella scuola ha offerto un esempio (pionieristico in Italia) di come una democrazia sia resa viva dai principi che la aprono al mondo.
Società aperta vuole dire società accogliente delle persone nel rispetto dei diritti reciproci. Ma vuol dire anche società che scopre di arricchirsi nella diversità, la quale è cultura, curiosità, sperimentalismo.
Le società aperte sono società creative, modelli di espressività – sfidano tutte le appartenenze. La chiusura e la segregazione rafforzano l’identificazione religiosa e comunitaria, mentre l’apertura e l’incontro tra culture rafforzano l’identificazione individuale, il senso di sé. Ai fondamentalismi di tutte le fogge, la chiusura piace. Ma non piace alla società democratica.
È nell’interesse di ciascuno e di tutti godere delle possibilità che i diritti ci danno: vivere insieme come diversi (tutti noi lo siamo, anche gli italiani-italiani) e sentire di poter formare o guidare la nostra vita nel caleidoscopio sociale.
L’omogeneità non è un bene (non ce lo ha forse insegnato la lotta contro i totalitarismi?). Neppure l’assimilazione forzata lo è. Neppure la segregazione – ne sanno qualcosa i neri statunitensi che con la loro lotta di liberazione civile hanno regalato al loro paese una società molto più dinamica, creativa e bella.
E poi, chi decide come la maggioranza sia? Quale maggioranza? Chi stabilisce quale sia il “carattere della nazione italiana” o il “suo destino”? Visioni sacrificate e mediocri di paese, che umiliano non solo chi non rientra nella stretta idea di nazione che hanno i nostri governanti, ma anche chi vi rientra, poiché vivaddio avranno anche loro delle diversità individuali e non solo anagrafiche!
Sono tutti i nostri governanti identici tra loro? E il modello Salvini o Valditara è il brand depositato in un qualche ufficio del prototipo di italiani-italiani? Il rispetto dell'altro e il riconoscimento accompagnano i diritti anche se non sono obblighi di legge.
Sono doveri morali, sentimenti e bisogni psicologici che aiutano a vivere meglio facendoci sentire tutti, maggioranza e non, meno precari dal punto di vista emotivo e più cooperativi.
Come tutti i sentimenti, anche questi vanno incoraggiati e coltivati: «La scuola dei sentimenti è l'azione», sosteneva J. S. Mill. Ora, come può una società incoraggiali ed essere una scuola di rispetto e riconoscimento se formiamo scuole segregate, se dosiamo le percentuali di studenti stranieri e italiani-italiani? Quasi che la statistica ci rappresenti!
È importante per chi appartiene a gruppi culturali o religiosi numericamente minoritari sentirsi parte della larga comunità; ciò consente loro di sedimentare il senso civico e sradicare sul nascere odio e risentimento, le “passioni tristi” che minano la vita pubblica e rendono la società più povera e meno attraente.
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