Ieri pomeriggio, nelle sale marmoree del palazzo del Viminale, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha accolto con tutti gli onori il nuovo presidente della Consulta contro il caporalato. Si trattava nientemeno che di Roberto Maroni, ex ministro dell’Interno, ex ministro del Lavoro e fondatore della Lega insieme a Umberto Bossi.

Maroni, e forse in questa circostanza è ancora più importante, è anche il più blasonato nella pattuglia non proprio foltissima dei leghisti che criticano il leader Matteo Salvini a viso aperto. Il fatto che a sua volta Lamorgese sia il ministro più criticato da Salvini, dà alla nomina l’aria di una felice coincidenza.

Un’amicizia di vecchia data

Alla cerimonia di ieri, il clima tra la ministra e l’ex ministro era dei migliori. «Hai visto che ognuno di noi non ha mancato di esprimerti affetto e gratitudine», ha detto Lamorgese. «Per me è un grande onore assumere la presidenza della Consulta», ha risposto Maroni.

I due si conoscono da almeno un decennio. Quando nel 2008 Maroni è diventato ministro dell’Interno per la seconda volta, Lamorgese era dirigente del personale del ministero ed è stata rapidamente promossa a vicecapo di gabinetto.

I buoni rapporti tra i due sono proseguiti anche negli anni successivi e non è un mistero che quando nel 2013 Maroni è stato eletto presidente della regione, volesse proprio Lamorgese come nuova prefetta di Milano.

A questo proposito, in un’intercettazione del dicembre 2012 pubblicata dal Fatto Quotidiano, l’allora portavoce di Maroni, Isabella Voltolina, diceva a Lamorgese, parlando del futuro prefetto della città: «Non te lo devo dire che...noi preferiamo che vieni tu» (Lamorgese arriverà a Milano solo nel 2017).

Il nemico del mio nemico

Oltre che una parte delle loro brillanti carriere, i due condividono anche l’ostilità dell’attuale leader della Lega.

Salvini ha preso di mira Lamorgese fin da quando la ministra lo ha sostituito all’epoca del secondo governo Conte. Salvini colpisce sulla gestione dei flussi migratori, su quella dell’ordine pubblico e su tutto quello a riesce ad appigliarsi. Di recente, ha attaccato Lamorgese per aver ordinato lo sgombero dei portuali che occupavano uno dei varchi d’ingresso al porto di Trieste, un’azione possibile proprio grazie al reato di blocco stradale introdotto dallo stesso Salvini.

L’arrivo del governo Draghi ha fatto poco per attenuare gli attacchi del leader della Lega, che appaiono spesso motivati più da ragioni tattiche-elettorali che da vere e proprie differenze di vedute. Lamorgese non è una rivoluzionaria e ha sostanzialmente mantenuto il ministero nel solco degli ultimi anni, limitandosi a smussare soltanto gli eccessi raggiunti dal suo predecessore.

Maroni condivide con Lamorgese un’ostilità di Salvini non così plateale, ma probabilmente più profonda. Nel 2013 è Maroni a spalancare le porte della leadership della Lega a Salvini, dimettendosi da segretario per correre alle elezioni regionali lombarde. Quattro anni dopo, però, non è più così convinto di aver fatto la scelta giusta. Al congresso della Lega del 2017, sponsorizza Giovanni Fava, l’avversario che Salvini travolge con facilità.

L’anno dopo, Maroni annuncia che non correrà per un secondo mandato in Lombardia. Tutti immaginano che punti a Roma, dove in vista delle elezioni 2018 in molti si aspettano che nascerà un qualche tipo di governo di larga coalizione. Salvini, però, lo gela: «Se lasci il tuo incarico in Regione Lombardia, che vale di più di tanti ministeri, evidentemente in politica non puoi più fare altro», annuncia.

Da allora, Maroni si è ritirato quietamente dalla vita politica. Fino al suo ritorno di ieri, quando ha accettato un incarico prestigioso e, forse, ha anche aiutato una vecchia amica a pareggiare un conto con un avversario comune.

 

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