Sembra, il nostro, un paese pronto a scommettere sulle donne, almeno sulle donne in posizione di leadership. Non però a investire nelle donne
È un fenomeno che merita attenzione quello di migliaia di persone che in questi giorni affollano le sale per vedere il film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani. Una pellicola girata da una donna, che parla di donne, in una Roma appena uscita dalla seconda guerra mondiale. Una commedia che racconta di diritti negati ma anche di diritti conquistati, di violenza ma anche di speranze e possibilità.
È forse la capacità del film di legare la vita alla politica, e la politica alla promessa di futuro, a convincere ed emozionare, a riportare tante spettatrici e spettatori davanti al grande schermo. Perché è di questo che oggi più si avverte la mancanza. Di una promessa ancora non infranta, della capacità di immaginare il nuovo, di aspirare a qualcosa che ancora non c’è: di una buona vita, se non oggi, almeno domani.
E non è un caso che a offrire questa prospettiva di riscatto e di avvenire sia una storia al femminile. È nelle donne che in questo tempo, in questo paese, è riposta più o meno consapevolmente l’ultima speranza.
Lo segnala, mi pare, la situazione del tutto inedita che vede alla guida della coalizione di governo e del maggiore partito di opposizione Giorgia Meloni e Elly Schlein. In un panorama politico che è stato lungamente, ed è ancora largamente, dominato da una classe dirigente maschile, e in un paese in cui resiste una cultura profondamente maschilista.
Della segretaria del Partito democratico si ama dire che non durerà. Ma la verità è che non è finora emerso nessuno sfidante all’altezza del desiderio di cambiamento che l’ha portata alla vittoria delle primarie. La presidente del Consiglio, da parte sua, resta salda nei consensi, a un anno dalle elezioni.
Sembra, il nostro, un paese pronto a scommettere sulle donne, almeno sulle donne in posizione di leadership. Non però a investire nelle donne. Donne che infatti vedono in frantumi quella promessa di libertà e vita buona nata nel dopoguerra insieme alla democrazia.
L’ultimo Rapporto italiani nel mondo della Fondazione Migrantes segnala come dal 2006 a oggi sia raddoppiata la presenza femminile tra la quota di popolazione che vive fuori dai confini. Si tratta di donne che lasciano il paese per cercare un lavoro gratificante e retribuito dignitosamente, per aumentare la qualità della propria vita, spesso per avere figli dove le infrastrutture sociali sono in grado di supportare le scelte riproduttive offrendo servizi effettivi di cura.
L’emigrazione può essere messa nel novero delle forme di protesta silenziosa che le donne, soprattutto le giovani donne, avanzano contro lo stato di cose presenti. Così come di protesta silenziosa si può parlare guardando alle donne che in Italia non fanno più figli, o ne fanno sempre meno, specialmente nelle aree del paese in cui peggiori sono le opportunità occupazionali, le condizioni reddituali, e le diseguaglianze tra i generi.
È la protesta contro una politica che appare sorda ai bisogni di chi maggiormente soffre il restringersi dell’orizzonte delle possibilità. Una politica che ha disertato il terreno del lavoro, abbandonato gli obiettivi di giustizia sociale, lasciato che le donne continuassero a cavarsela da sé, come del resto fanno da sempre. Una politica troppo debole nella difesa dei diritti di tutte e tutti.
Per questo merita attenzione il clamore nato intorno a C’è ancora domani. Perché segnala la persistenza di un desiderio, un desiderio di politica. E un bisogno di sperare verso cui nessuno, meno di tutti gli attori politici, dovrebbe restare indifferente.
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