Questo è il quinto di una serie di reportage in cui raccontiamo cosa succede in Estonia, Lettonia e Lituania, i paesi europei e membri della Nato che dopo l’invasione dell’Ucraina temono di essere i prossimi. Qui potete leggere gli altri reportage della serie.


Quando la jeep militare si avvicina al prato di fronte alla scuola, una dozzina di bambini corre verso il bordo della strada e inizia a salutare. Un paio di ragazze più grandi sedute su una panchina ridono tra loro coprendosi la bocca.

Il capitano Lukas Bieliūnas, che ha 29 anni e con il suo metro e novanta di altezza non sfigurerebbe in un poster di reclutamento dell’esercito lituano, rallenta per rispondere ai saluti. «Appena siamo tornati per ricominciare le esercitazioni – dice – dopo due anni di pausa per il Covid, gli abitanti ci hanno festeggiato. Dicono che gli siamo mancati». 
Vepriai, dove da un paio di giorni è in corso un’esercitazione dei suoi 250 uomini, la prima compagnia del battaglione di fanteria meccanizzata Duca Vaidiotas, è un tipico villaggio della Lituania, la più popolosa ma anche la più rurale delle tre repubbliche baltiche. Tra le case basse case dai tetti spioventi e i prati ondulati circondati da boschi sembra di essere in un paesino della Baviera.

Invece siamo a meno di due ore di macchina dal famigerato corridoio di Suwalki, la striscia di terra larga meno di novanta chilometri che separa l’exclave russa di Kaliningrad dalla Bielorussia. Qui, in poche ore, l’unico accesso via terra alle tre repubbliche baltiche può essere bloccato. Gli strateghi lo considerano il punto più debole della Nato. E dopo il 24 febbraio è diventato ancora più a rischio.

Grandi responsabilità

«Adesso tutto si decide in Ucraina. Dall’esito del conflitto dipende come vivrà l’Europa per i prossimi decenni», dice Margiris Abukevicius, 40 anni, viceministro della Difesa della Lituania. Fuori dalla finestra del suo ufficio di Vilnius sventolano le bandiere di Lituania e Ucraina, le stesse che si incrociano in una spilla appuntata sul bavero della sua giacca.

Se la Russia non subirà una sconfitta storica, che porti a un cambio di regime senza precedenti, la Nato e l’Europa dovranno cambiare per sempre il loro atteggiamento. Il confine orientale andrà militarizzato. O almeno, così la pensa il governo lituano. Che nel frattempo ha già fatto la sua scelta.

«Prima del 2014 spendevano meno dell’1 per cento del pil in difesa. Ora siamo al 2,5 per cento e puntiamo al 3», dice Abukevicius, che dopo una carriera da consigliere e funzionario, è stato nominato viceministro nel dicembre del 2020, all’insediamento del nuovo governo conservatore.

Abukevicius ricorda che non c’è soltanto il famigerato corridoio di Suwalki. Con 900 chilometri di confine condivisi con Russia e Bielorussia, la Lituania è il membro dell’alleanza con il territorio più esposto ad un paese ostile.
Per anni l’adesione alla Nato, avvenuta nel 2004, sembrava una garanzia sufficiente per la sicurezza del paese, ma l’annessione della Crimea e l’inizio del conflitto nel Donbass hanno cambiato tutto. «Ora sull’aumento delle spese per la sicurezza c’è un consenso trasversale di tutti i partiti».

Il problema è che con meno di tre milioni di abitanti e il Pil di una regione italiana di medie dimensioni, le possibilità di espansione limitate. «Soprattutto perché, oltre che investire in nuove capacità, dobbiamo anche rifinanziare tutto quello che abbiamo trascurato per anni».

Ci sono tre aree in cui l’esercito lituano ha molto da recuperare: il controllo dello spazio aereo, l’artiglieria e la modernizzazione delle sue forte motorizzate.

Il primo è il più delicato. Le tre repubbliche baltiche sono troppo piccole per permettersi una moderna aviazione, che comporta costi stellari non soltanto per l’acquisto dei jet da combattimento, ma anche per armarli e mantenerli. Fino a pochi anni fa, la Lituania non possedeva nemmeno sistemi antiaerei degni di questo nome. Poi, nel 2017, ha acquistato per poco più di cento milioni di euro una batteria Nasams, missili antiaerei con un raggio di circa trenta chilometri prodotti dalla Norvegia. Quando la batteria è stata finalmente schierata, nel giugno del 2020, è stato il primo sistema di questo tipo ad essere messo in funzione nei baltici.

Alla Lituania però, così come ai suoi vicini, mancano completamente i sistemi antiaerei a lungo raggio, quelli che possono colpire gli aerei nemici a centinaia di chilometri di distanza, non solo poche decine. Ma il loro costo, nell’ordine di miliardi di euro, non è sostenibile per i tre paesi. Anche per questo, di recente, un gruppo di parlamentari dei tre paesi ha chiesto alla Nato di schierare un sistema a lungo raggio dell’alleanza. Non è l’unica richiesta di rafforzamento della presenza militare dell’alleanza che arriva dalla Lituania.

Un alto tasto dolente è l’artiglieria. Nell’epoca degli attacchi aerei di precisione e delle operazioni di contro insurrezione, i grossi cannoni erano considerati un’arma quasi sorpassata. Ma il conflitto in Ucraina ha ridato giustizia al detto napoleonico «è l’artiglieria che vince le battaglie». I cannoni e i razzi degli ucraini sono stati altrettanto e forse più devastanti dei famosi missili Javelin nel non dare tregua ai concentramenti di truppe russi, disperdendoli ancora prima che iniziassero i loro attacchi. Intercettazioni e racconti dei civili ucraini, raccontano del panico, e della brutalità, dei soldati russi continuamente esposti ai bombardamenti nemici.

Fino a pochi giorni fa, la Lituania era completamente priva di artiglieria, ma a marzo sono terminate le consegne di diciotto Panzerhaubitze 2000, acquistati dalla Germania. Si tratta di obici semoventi, cioè cannoni di artiglieria montati sui veicoli blindati. Germania e Stati Uniti, spiega Abukevicius, sono i principali fornitori di armi della Lituania. «Nei prossimi anni acquisteremo un miliardo di euro di materiale da ciascuno».

Ma piccolo esercito

A Vapria, il terzo punto del programma, la modernizzazione delle forze di terra, si manifesta concretamente quando la jeep incrocia una colonna di blindati M113. Per un istante sembra di trovarsi in un film ambientato durante la guerra del Vietnam.

Introdotti negli anni Sessanta, gli M113 sono degli “Apc”, la sigla che identifica i trasporti truppe corazzati: veicoli con blindatura leggera usati per portare in giro le truppe, ma senza grande armamento offensivo. «Presto li sostituiremo con i Boxer, li produce la Germania, tranne la torretta che è israeliana», precisa il capitano Bieliūnas. I Boxer sono “Ifv”, cioè veicoli da combattimento per fanteria, che a differenza degli Apc sono dotati di torretta e di armi più pesanti, a volte in grado di danneggiare anche i più corazzati carri armati.

L’esercitazione in corso a Vapria ricorda che per quanto i mezzi tecnologici siano importanti, alla fine servono a poco se non ci sono soldati in grado di utilizzarli.

Quella in corso non è una di quelle manovre con migliaia di soldati e piene di giornalisti. Si tratta di un’esercitazione a livello di sezione, in cui si mette alla prova la resistenza fisica e il morale della truppa. Serve ad abituare gli uomini alla fatica e ad insegnare ai capisquadra a prendersi cura di loro. «Anche facendo cose semplici, come preparare il caffè ai ragazzi che hanno dormito tutta la notte in mezzo al fango», dice Bieliūnas.

I soldati coinvolti sono in gran parte militari di leva e volontari, come Josef, 19 anni di Kaunas, la seconda città del paese. Nelle sue mani, il fucile di ordinanza G36, prodotto dalla H&K tedesca, sembra gigantesco. O come Andrik, che sta facendo il servizio di leva dopo essersi laureato.

Con una stima di circa 16mila soldati in servizio attivo, l’esercito della Lituania è il più numeroso delle tre repubbliche baltiche, ma rimane piccolo per gli standard internazionali.

Tra le decisioni più importanti per il riarmo del paese, c’è stata quella di ripristinare la leva militare, abolita nel 2008. Ogni anno, poco meno di 4mila ragazzi vengono arruolati per prestare nove mesi di servizio militare e poi essere inseriti nella riserva. Ma i volontari come Josef, che si arruolano senza attendere che il loro nome venga sorteggiato, riempiono quasi sempre gran parte dei posti disponibili. 

Ai soldati regolari si aggiungono le forze paramilitari, i circa diecimila membri dell’Unione dei fucilieri lituani, un’organizzazione che con il sostegno dello stato addestra civili nel tempo libero. Negli ultimi anni, la Lituania, come le vicine Estonia e Lettonia, ha adottato una strategia di “difesa totale” che prevede il coinvolgimento di tutta la società nella protezione del paese. Per il viceministro Abukevicius, questa è l’unica strada per affrontare un nemico immensamente superiore. «Gli ucraini stanno avendo così successo perché il loro è uno sforzo collettivo».

Bieliūnas conosce bene gli ucraini. Nel 2019 è stato per tre mesi nel paese in una missione di addestramento insieme a militari americani e canadesi. «Sono coraggiosi, si vede che hanno imparato la lezione e la stanno applicando con successo». Ora la Lituania sta addestrando un numero non precisato di soldati ucraini sul suo territorio.

Il giorno dell'esercitazione è lo stesso dell’affondamento dell’incrociatore russo Moskwa, a largo di Odessa. In Lituania i telegiornali del mattino lo hanno dato come prima notizia. Bieliūnas è pieno di ammirazione, dice che si tratta di un’operazione molto sofisticata.

Per molti lituani, l’unico modo di evitare che anche le loro forze armate siano costrette a doversi inventare operazioni altrettanto ardite è che l’Ucraina vinca la guerra.

La Lituania sta facendo il possibile per aiutarla. É stato uno dei primi paesi a inviare armi e fino ad ora ha mandato oltre 100 milioni di euro di equipaggiamento. Ma non basta, dice Abukevicius. «Ora è il momento di inviare armi molto più sofisticate, armi che un paese come la Lituania non può inviare. È arrivato il momento per gli stati ricchi e industrializzati come l’Italia di farsi avanti».

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