- Le versioni della storia in cui è rimasto coinvolto il social manager di Matteo Salvini sono tantissime e tutte in contraddizione.
- Il problema è che sono supportato da documenti, atti e dichiarazioni ufficiali, anche quando sono in totale contrasto le une con le altre.
- Com’è stato possibile? Alcuni ipotizzano che la procura di Verona fornisca versioni di comodo per proteggere indagini ancora più importanti. Ma c’è anche una spiegazione più prosaica.
È il 27 settembre quando Giuliano Foschini e Fabio Tonacci rivelano su Repubblica l’indagine che riguarda Luca Morisi, capo della comunicazione social della Lega che pochi giorni prima ha annunciato le sue dimissioni da tutti gli incarichi di partito.
Intorno a Ferragosto, scrivono, tre ragazzi in automobile vengono fermati in provincia di Verona dai carabinieri nel corso di un controllo di routine. I ragazzi sono nervosi, i carabinieri si insospettiscono, li perquisiscono e trovano una fiala contenente una sostanza trasparente.
I ragazzi dicono che si tratta di droga e che a dargliela è stato Luca Morisi. Indicano la sua abitazione e accompagnano i carabinieri nella perquisizione. I militari trovano altra droga in casa. Sulla base delle dichiarazioni degli interessati, Morisi viene indagato per cessione di stupefacenti.
La ricostruzione, ripresa lo stesso giorno sul Corriere, sarà confermata, con numerose piccole variazioni, in decine di articoli pubblicati successivamente su tutte le principali testate.
Dieci giorni dopo, non c’è più traccia di uno solo di questi elementi. I ragazzi non erano tre, ma due. Non c’è stato alcun controllo casuale, ma un intervento dei carabinieri dopo una telefonata di uno dei due ragazzi. La droga di cui erano in possesso non gli era stata ceduta da Morisi, ma erano stati loro a portarla. Morisi potrebbe essere presto archiviato, mentre ora i ragazzi, forse uno dei due, rischiano di essere accusati di cessione di stupefacenti e reati anche peggiori.
Pochi e confusi elementi
Non bastano le dita di due mani per contare le versioni differenti, le smentite, le giravolte e le incongruenze che in meno di due settimane si sono accumulate su questa storia.
Gli appigli solidi per cercare di ricostruirla sono pochi: elementi fattuali, come le conversazioni via chat avvenute tra i partecipanti, e i pochi punti su cui punti le versioni dei protagonisti concordano.
Quello che sappiamo con ragionevole certezza è che nella notte tra il 12 e il 13 agosto Luca Morisi contatta tramite una app di incontri un ragazzo di nazionalità rumena che lavora come escort. I due si accordano per un incontro a pagamento a cui parteciperà anche un secondo rumeno. Sembrano parlare anche di droga. Particolare chiave: uno dei due ragazzi dice che porterà la “g”, che potrebbe essere Ghb, la sostanza stupefacente che i ragazzi avevano con sé al momento del controllo, Morisi invece scrive di avere la “c”, che potrebbe essere la cocaina trovata nel suo appartamento.
Partiti da Milano in macchina, i due arrivano a casa di Morisi il 13 agosto. Restano tutto il giorno a casa sua, vengono notati dai vicini che sentono anche dei rumori nel corso della notte. Nel pomeriggio del 14, i due lasciano l’abitazione.
La matassa
Le versioni su cosa accade a questo punto, fornite da magistrati, forze dell’ordine, atti giudiziari e di indagine e dagli stessi protagonisti, sono totalmente inconciliabili.
Per i primi tre giorni, i giornali scrivono che i ragazzi vengono fermati nel corso di un controllo da parte dei carabinieri. Il Corriere e i quotidiani più vicini alla Lega ipotizzano che i carabinieri stessero seguendo i ragazzi, e alcuni adombrano l’ipotesi di un complotto. La procura di Verona replica più volte che i controlli dei carabinieri erano invece assolutamente «di routine».
Poi, la sera del 29 settembre, sul sito di Repubblica compare un’intervista a uno dei due ragazzi rumeni che stravolge completamente la storia. Non c’è stato alcun controllo, dice, è stato lui a chiamare i carabinieri dopo essersi sentito male a causa delle droghe.
La mattina dopo, parecchi giornali a riportano le frasi del ragazzo e la sua versione. Altri giornali parlano invece di una telefonata fatta dai vicini di Morisi, smentita però dalla procura che continua a parlare di un controllo di routine dei carabinieri (tuttora la procura non conferma la notizia della telefonata). La versione cambia: alcuni giornalisti riescono ad ascoltare gli audio della telefonata ai carabinieri. Il ragazzo non dice di stare male, denuncia invece un furto. A questo punti, tutti ipotizzano che i due ragazzi abbiano chiamato i carabinieri in seguito a un litigio con Morisi sul compenso, forse perché Morisi non aveva voluto pagare quanto pattuito o perché non aveva accettato di pagare un sovrapprezzo.
Dal 1° ottobre, tutti i principali quotidiani che hanno seguito la vicenda passano alla versione del litigio e della telefonata ai carabinieri da parte dei ragazzi e abbandonano, senza nemmeno commentarla, la storia del posto di blocco.
Quando poi questa settimana i giornali pubblicano le chat da cui sembra di capire che siano stati i ragazzi a portare la droga, la vicenda sembra avviata alla conclusione. Non c’è cessione, in questo caso, e Morisi può aspettarsi un’archiviazione in qualsiasi momento.
Di chi è la colpa?
Non è chiaro come fonti autorevoli, documenti ufficiali e testimonianze possano suffragare versioni dei fatti così diverse. Un’ipotesi è che la procura abbia in corso indagini ancora più importanti e sia quindi costretta a fornire versioni di comodo per tutelarle.
Un’altra invece è che al centro di tutto ci sia una serie di grottesche coincidenze. Prendete un personaggio politico estremamente controverso, aggiungeteci una storia pruriginosa che mette in luce le contraddizioni tra ciò che sostiene e ciò che pratica e una schiera di giornalisti agguerriti in cerca di scoop. Date tutto in mano a una piccola procura non abituata ad essere al centro dell’attenzione e ai carabinieri di un piccolo borgo di provincia. Il risultato non può che essere imprevedibile. O forse fin troppo prevedibile.
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