- Mentre Salvini si agita recitando di volta in volta la parte del pompiere o dell’incendiario, Meloni rimane immobile, con la calma olimpica di chi sa che la vittoria è vicina.
- La leader di Fratelli d’Italia pensa già al dopo voto e al rischio di restare impiccata a promesse mirabolanti. Così decide di non presentare un programma, ma di adeguarsi a quello generico e interpretabile concordato con la coalizione.
- Con la mancanza di persone che affligge il suo partito sarebbe stato difficile fare diversamente, ma ora Meloni ha il vantaggio di avere le mani libera: potrà fare la responsabile, se di questo ci sarà bisogno, ma chi la fermerà se l’euroscetticismo dovesse tornare di moda?
Non sta fermo un attimo, Matteo Salvini. Lanciato in un inseguimento impossibile dalla sua alleata/rivale Giorgia Meloni, sbanda quotidianamente tra le uscite tribunizie e le esternazioni da politico responsabile, nel disperato tentativo di recitare contemporaneamente il ruolo di piromane e di pompiere. Ieri è stato di nuovo il momento del Salvini statista è così il capo della Lega ha avvertito che se i prezzi del gas non scenderanno «il prossimo governo – e cioè il suo, ha aggiunto – dovrà razionare il gas a famiglie e imprese».
Il contrasto
Ma più Salvini scalpita e più mette in mostra l’olimpico immobilismo di Giorgia Meloni, forte del suo vantaggio praticamente incolmabile con gli alleati e di quello, altrettanto cospicuo, con la coalizione avversaria. Meeloni ormai non pensa più alla campagna elettorale. Memore del breve destino del governo giallo-verde, ha già iniziato a pensare al dopo: a come non farsi triturare da amici e nemici, burocrati europei e mandarini italiani, investitori internazionali e alleati d’oltreoceano.
L’intervista che ha concesso questa settimana a Reuters, ad esempio, rivela soprattutto quello che Meloni intende “non fare”. «Non vogliamo distruggere l’Europa», «non vogliamo lasciare l’Europa» e infine un tombale: «Non vogliamo fare cose pazze». I consigli che, secondo diverse indiscrezioni non smentite, ha ricevuto ultimamente da Mario Draghi, sono evidentemente andati a buon frutto.
Da nessuna parte lo si vede in modo più evidente che nelle scelte di programma. O meglio: nelle non scelte.
Fratelli d’Italia infatti correrà alle elezioni senza un programma elettorale, ma solo con il programma di coalizione concordato con gli alleati, l’unico presentato ufficialmente dal suo partito. Sedici paginette scarse di proposte relativamente modeste e poco dettagliate. È la stessa scelta fatta da Forza Italia, e in marcato contrasto con quella della Lega, che oltre al programma di coalizione, ha presentato un documento enorme: 200 pagine divise in 41 capitoli, il triplo delle 70 pagine presentate alle elezioni di cinque anni fa.
Promesse da marinaio
Ma se Forza Italia non ha presentato un programma soprattutto perché, più che un partito, è ormai un cerchio ristretto di notabili asserragliato intorno al patriarca Silvio Berlusconi, le ragioni di Meloni sono diverse. La leader di Fratelli d’Italia ha mantenuto l’impegno preso a fine luglio: non fare «promesse che non si possono mantenere», ossia niente annunci di «abolizione della povertà» o di «uscita dall’euro» a cui, dopo il voto, si rischia di restare impiccati. Il confronto con il programma di FdI di cinque anni fa è rivelatorio. Nel 2018, Meloni prometteva revisione dei trattati europei, no all’austerità e preminenza della legge italiana su quella dell’Unione. Oggi, il programma di centrodestra e FdI inizia con una promessa di fedeltà alle alleanze internazionali e all’integrazione europea. Nel 2018 si parlava di «cancellazione della legge Fornero» e di una flat tax per cittadini e imprese, oggi di generica “flessibilità in uscita” e di una “no-flat tax” sui redditi eccedenti l’anno precedente.
Insomma, Fratelli d’Italia si è trasformato senza batter ciglio da partito senza alcuna possibilità di andare al governo, e quindi in grado di promettere anche la Luna, a forza apparentemente iper responsabilizzata con un programma sufficientemente vago che, senza forzarlo nemmeno troppo, potrebbe essere letto come una versione solo un po’ più conservatrice della mitologica “agenda Draghi”.
Una questione di personale
Certo, anche volendo, Fratelli d’Italia sarebbe stato in grosse difficoltà nel presentare un programma più dettagliato. Praticamente privo di personale politico con esperienze di alto livello, FdI è costretto a pescare i tecnici tra l’usato sicuro del centrodestra: Giulio Tremonti è dato probabile ministro dell’Economia, Marcello Pera, già consigliere liberale di Salvini per una dimenticata parentesi, le fornirà expertise costituzionale, mentre il magistrato Carlo Nordio le darà quella giuridica.
Ma c’è anche un rovescio di questa medaglia ed è che con il suo non-programma Meloni si tiene le mani libere per quando, eventualmente, sarà al governo. Come Salvini ha ricordato proprio ieri, l’autunno rischia di essere un periodo difficile per il nostro paese. Se ci sarà bisogno di trattare con l’Europa o di mostrarsi responsabili alla Bce, Meloni è pronta a farlo. Ma se invece il clima tornerà propizio per battere sulla grancassa dell’euroscetticismo, non saranno certo due righe in un vago programma di coalizione a fermarla.
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