- Con lo sconcertante crollo delle Torri gemelle, al Qaida, allora un’organizzazione poco conosciuta al grande pubblico, fu in grado di ferire al cuore l’unica superpotenza mondiale, uscita dieci anni prima trionfante dalla sfida della Guerra fredda.
- Il terrorismo jihadista è stato ridimensionato ma non è stato totalmente sradicato come l’occidente sperava. I metodi di radicalizzazione dei lupi solitari mostrano che il rischio potrà aumentare di nuovo nei prossimi anni.
- Oggi, nel complesso, le capacità di identificare sospetti jihadisti sono sicuramente migliorate. A ben vedere, il problema talvolta risiede meno nell’individuare che nel riuscire effettivamente a fermare soggetti pericolosi, una volta identificati.
L’11 settembre è stato di gran lunga il più grave attacco terroristico della storia: ha provocato quasi tremila morti e oltre 25mila feriti e ha causato danni diretti per miliardi di dollari. Una clamorosa eccezione, se si considera che la grande maggioranza degli attacchi terroristici è decisamente meno distruttiva. Con lo sconcertante crollo delle Torri gemelle, al Qaida, allora un’organizzazione poco conosciuta al grande pubblico, fu in grado di ferire al cuore l’unica superpotenza mondiale, uscita dieci anni prima trionfante dalla sfida della Guerra fredda, e trasformò lo jihadismo globale in una delle cause politiche più note e influenti di questo secolo.
Gli attacchi provocarono immediatamente un’enorme campagna di repressione antiterroristica in tutto il mondo. Nonostante alcuni successi evidenti (tra cui l’eliminazione di Osama bin Laden nel 2011, specialmente per il suo profondo valore simbolico), a venti anni di distanza, al Qaida, pur seriamente indebolita, è ancora attiva e pericolosa. Anzi, la recente vittoria dei Talebani in Afghanistan rischia concretamente di offrire preziose opportunità all’organizzazione fondata da bin Laden.
Il pericolo è che al Qaida ritorni a godere di un ampio rifugio sicuro in cui possa trovare protezione, indottrinare e addestrare nuovi militanti e persino pianificare attacchi terroristici all’estero, come avvenuto fino all’invasione statunitense dell’Afghanistan nell’ottobre del 2001.
Oltretutto, al Qaida oggi non è più l’unica protagonista del campo jihadista. Il cosiddetto Stato islamico, sorto dalla costola irachena dell’organizzazione di bin Laden, rappresenta un rivale a dir poco temibile, nonostante il crollo del “califfato” in Siria e Iraq nel 2019. La galassia jihadista è poi popolata da molte altre organizzazioni e sigle, spesso in competizione tra loro.
Lupi solitari
Molti di questi gruppi continuano a vedere nella violenza terroristica un metodo fondamentale di lotta politica. In occidente, tale minaccia non è affatto venuta meno. Sùbito dopo l’11 settembre, si diffusero angosciose paure circa il rischio di un’altra azione terroristica di portata catastrofica, persino con l’impiego di armi di distruzione di massa (chimiche, biologiche, radiologiche o addirittura nucleari). Questi scenari quasi apocalittici, per fortuna, non si sono concretizzati. Nondimeno, militanti jihadisti sono comunque riusciti a portare a termine gravi attacchi terroristici in diverse città dell’occidente: per esempio a Madrid l’11 marzo 2004 (193 morti), a Londra il 7 luglio 2005 (52 morti), a Parigi il 13 novembre 2015 (130 morti), a Nizza il 14 luglio 2016 (86 morti).
La sequenza degli attacchi terroristici non si è mai interrotta, nemmeno ai tempi delle più severe misure restrittive imposte dai governi per fronteggiare la pandemia da Covid-19: per esempio, il 4 aprile 2020 in Francia, pur nel pieno di un lockdown nazionale, un simpatizzante jihadista fu in grado di uccidere due persone e ferirne altre cinque nelle strade della cittadina di Romans-sur-Isère.
In questo contesto, negli ultimi quattro anni, la minaccia jihadista in occidente appare meno drammatica. Infatti, dopo gli attacchi a Barcellona e Cambrils, in Catalonia, del 17 agosto 2017 (16 morti), non si sono più registrati attacchi jihadisti su vasta scala. In questa fase recente, la minaccia terroristica si presenta in occidente principalmente sotto forma di episodi di basso profilo, pianificati e realizzati da singoli individui che agiscono da soli senza fare organicamente parte di organizzazioni terroristiche, con piani poco complessi e armi non sofisticate o persino rudimentali (in particolare, coltelli, mannaie e altre armi da taglio).
Tipicamente questi “lupi solitari”, come vengono popolarmente chiamati, non sono in grado di portare a termine attacchi molto distruttivi. Non mancano le eccezioni a questa regola: per esempio, a Nizza la sera del 14 luglio 2016 un attentatore solitario fu in grado di uccidere 86 persone e ferirne oltre 400, scagliando un tir contro la folla accalcata sul lungomare della città per celebrare la festa nazionale francese. Nondimeno appare evidente che, con ogni probabilità, un “lupo solitario” non sarebbe in grado di replicare la catastrofe dell’11 settembre.
La prevenzione
In occidente, la minaccia jihadista, approfittando anche delle opportunità offerte dal web, si è quindi fatta nel complesso meno organizzata e strutturata. Le grandi organizzazioni transnazionali, come al Qaida e lo Stato islamico, sono oggi impegnate più a ispirare e sostenere a distanza simpatizzanti jihadisti che a pianificare ed eseguire direttamente atti di violenza. Questa trasformazione può essere interpretata, almeno per buona parte, come una prevedibile reazione all’impressionante incremento della pressione esercitata dagli apparati di sicurezza statali.
Infatti, dopo la tragedia dell’11 settembre, in cui l’intelligence statunitense fu colta di sorpresa, i servizi di sicurezza degli stati occidentali hanno tipicamente assegnato un valore prioritario alla lotta al terrorismo jihadista e hanno acquisito ampie conoscenze, risorse e capacità per contrastarla.
Vent’anni fa le autorità di Washington non furono nemmeno in grado di rendersi conto della presenza di 19 membri di al Qaida presenti sul territorio nazionale per mesi per preparare in anticipo gli attacchi suicidi.
Oggi, nel complesso, le capacità di identificare sospetti jihadisti sono sicuramente migliorate. A ben vedere, il problema talvolta risiede meno nell’individuare che nel riuscire effettivamente a fermare soggetti pericolosi, una volta identificati.
Si pensi, per esempio, all’ultimo caso ufficiale di terrorismo jihadista registrato in occidente: il 3 settembre ad Auckland, in Nuova Zelanda, un simpatizzante jihadista ispirato dalla causa dello Stato islamico ha ferito sette persone con un coltello in un centro commerciale. L’uomo era uscito di prigione appena due mesi prima, dopo aver scontato tre anni di reclusione per aver distribuito materiale jihadista e per altri reati ed era seguito continuamente da un’apposita squadra di sorveglianza della polizia. Gli agenti sono intervenuti pochi secondi dopo l’inizio dell’attacco nel centro commerciale, scongiurando probabilmente conseguenze ancora più gravi, ma non sono riusciti a prevenire la violenza.
Terrorismo globale
In conclusione, in occidente la minaccia del terrorismo jihadista non è stata sradicata, come ci si auspicava vent’anni fa. Ma, almeno in questa fase, è stata per buona parte contenuta. Non si può escludere che in futuro il rischio possa aumentare nuovamente: per esempio, domani un terrorista potrebbe essere in grado di servirsi di un drone o di un’arma stampata in 3d, approfittando della crescente disponibilità di tecnologie avanzate anche per privati cittadini.
Uno degli aspetti più interessanti è inquietanti dello jihadismo globale trova qua un suo elemento distintivo: la stessa causa estremistica che rigetta con la massima veemenza la globalizzazione occidentale, proclamando di voler ritornare a una presunta tradizione originaria, per molti versi è a sua volta un fenomeno globalizzato, ossessionato dallo sviluppo tecnologico, attivo su scala planetaria, e sradicato dalle specificità dei singoli luoghi e delle singole culture.
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