- Armare gli insegnanti, prendersela con Marx e con la «cultura malata». I repubblicani, Donald Trump in testa, sono disposti a qualsiasi soluzione e a qualsiasi artificio dialettico pur di evitare una sola cosa: che il massacro in Texas intacchi il dilagare delle armi e della lobby che le difende.
- «Questa è la nostra spina dorsale», come ha detto lo stesso Trump, dal palco della convention della Nra, che ha finanziato ampiamente l’ex presidente e drena sempre più le sue risorse a favore dei repubblicani. Loro ricambiano il favore utilizzando ogni tattica pur di evitare che le regole sulle armi cambino. La prima è la retorica anti-élite, funzionale a proteggere però una élite, quella delle armi.
- Poi c’è la guerra culturale, con tanto di evocazioni del pericolo comunista. Per guerra culturale si intende anche l’uso strumentale, ormai collaudato dalla destra a livello internazionale, di battaglie identitarie. Un esempio è in queste parole di Cruz: «Il punto non sono certo le armi. È la nostra cultura malata. È il fatto che la gente va sempre meno in chiesa». E poi c’è l’altra arma retorica per eccellenza dei trumpiani, e cioè le fake news.
Armare gli insegnanti, prendersela con Marx e con la «cultura malata»: i repubblicani, Donald Trump in testa, sono disposti a qualsiasi soluzione e a qualsiasi artificio dialettico pur di evitare una sola cosa. Il massacro in Texas non deve intaccare in alcun modo il dilagare delle armi e della lobby che le difende. «Questa è la nostra spina dorsale», come ha detto lo stesso Trump, dal palco della convention della National Rifle Association.
Saldatura di poteri
Nel 1999, dopo la sparatoria in un liceo del Colorado, passata alla storia come il «massacro di Columbine», dal nome della scuola, la lobby delle armi ha cancellato il proprio evento celebrativo a Denver. Oltre un ventennio, e molte stragi dopo, la National Rifle Association non ha più neppure questo pudore, né lo hanno i repubblicani, che poco dopo la strage texana sono saliti sul palco della convention annuale dell’Nra a Houston. Anche il governatore del Texas, il pro-armi Greg Abbott, si è collegato in video. In presenza, Donald Trump. Quando dice che «voi siete la spina dorsale del nostro movimento» davanti al pubblico di promotori delle armi, dice tecnicamente il vero: nel 2016 l’Nra ha speso oltre trenta milioni di dollari per la campagna di Trump, cifra alta anche rispetto a quanto speso dalla stessa lobby quattro anni prima, nel tentativo di far vincere Mitt Romney invece di Barack Obama. All’epoca i milioni erano stati 13. Tutto questo è ciò che risulta alla commissione elettorale federale; poi ci sono le infiltrazioni russe nell’Nra per agganciare il mondo repubblicano e far vincere Trump. «Prima di pensare a rafforzare le nazioni altrui – ha detto l’ex presidente alla convention dell’Nra – dovremmo investire nella sicurezza delle nostre scuole».
Se l’Nra è «la spina dorsale» per Trump, ciò non vuol dire che l’ex presidente sia l’unico legato a doppio filo alla lobby, anzi. L’enorme spesa dell’Nra per influenzare il Congresso, i partiti e i candidati si dirige quasi esclusivamente sui repubblicani, primo fra tutti Ted Cruz. Dal 1989 al 2020, i 20 membri del Congresso che hanno ricevuto più finanziamenti dai gruppi pro armi sono tutti repubblicani; Cruz è in testa con oltre 440mila dollari. Poi ci sono le cifre sommerse: l’Nra potrebbe aver usato una rete di aziende-fantoccio per drenare milioni a Trump e agli altri repubblicani evadendo così i vincoli di legge; Giffords, il gruppo per il controllo delle armi, a fine 2021 ha avviato un’azione legale per portare alla luce anche questa fetta di finanziamenti.
Tattiche collaudate
«Il solo modo per fermare un cattivo ragazzo con una pistola è un bravo ragazzo, con la pistola», ha detto Trump dal palco dell’Nra. I repubblicani stanno frenando ogni tentativo di fermare il far west delle armi in America, e per quanto negli ultimi anni più di un sondaggio abbia mostrato che nove americani su dieci supportano quantomeno l’idea di maggiori controlli sugli acquirenti di armi, i repubblicani in Senato tengono in ostaggio pure un provvedimento su questo. Una volta che i democratici saranno riusciti a fare un primo passo, «vorranno fare anche il secondo, e il terzo, e il quarto, e a quel punto stravolgeranno il secondo emendamento». Trump venerdì ha agitato questo fantasma, al «popolo del secondo emendamento» come lui stesso in passato lo ha chiamato, solleticando l’ampio popolo di sostenitori del porto d’armi diffuso. Per evitare qualsiasi modifica, anche piccola, che intacchi lo strapotere dell’Nra, Trump e gli altri repubblicani usano alcune tattiche ricorrenti: la prima è la retorica anti-élite, funzionale a proteggere però una élite, quella delle armi. Poi c’è la guerra culturale, con tanto di evocazioni del pericolo comunista. «Lasciate che io dica le cose come stanno, sui nemici del secondo emendamento: è gente che è stata educata a colpi di Marx e Lenin»: così la governatrice del Dakota, Kristi Noem, ha attaccato chi vorrebbe leggi per la sicurezza. Per guerra culturale si intende anche l’uso strumentale, ormai collaudato dalla destra a livello internazionale, di battaglie identitarie. Un esempio è in queste parole di Cruz: «Il punto non sono certo le armi. È la nostra cultura malata. È il fatto che la gente va sempre meno in chiesa». E poi c’è l’altra arma retorica per eccellenza dei trumpiani, e cioè le fake news: le proposte snocciolate dai repubblicani a Houston pur di evitare interventi sul controllo delle armi sono in gran parte incongruenti, una volta messe alla prova del fact checking. Mentre Cruz nega l’aumento di armi d'assalto nelle mani degli americani, Trump fa proposte per blindare da dentro le classi senza tener conto delle dinamiche reali della strage recente.
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