- La finestra diplomatica per una uscita pacifica dalla crisi ucraina si fa sempre più stretta. Washington insiste sull’invasione imminente e ventila l’uso di armi chimiche da parte russa, Mosca espelle il viceambasciatore Usa. Sul campo, la linea di contatto in Ucraina è ormai “linea di attrito”.
- Lavrov individua un punto preciso in cui la finestra diplomatica si è aperta, cioè grazie a Scholz, e il momento in cui si è chiusa. Intanto Mosca spedisce la risposta agli Usa: senza garanzie sull’architettura di sicurezza, dovrà «reagire».
- Mentre il fronte occidentale esibisce compattezza, la visita di Draghi a Putin è il prossimo appuntamento per mantenere un dialogo.
Per gli Stati Uniti l’invasione dell’Ucraina è imminente, per la Russia non è così. Per Washington le truppe russe non si sono mai ritirate, per Mosca sì. Una cosa è chiara: la finestra diplomatica per un’uscita pacifica dalla crisi è sempre più stretta. La cacciata del vice ambasciatore Usa, Bart Gorman, da Mosca lo dimostra. Segnali di re-escalation, interferenze e provocazioni reciproche inquinano il dialogo.
La linea di attrito
«Creare pretesti, alibi per la guerra, operazioni sotto falsa bandiera»: è l’accusa che da mesi ormai gli Stati Uniti rivolgono a Mosca, prefigurando non solo che l’invasione russa «è imminente», ma anche che aspetto avrà; e cioè quello del casus belli. «La Russia non aspetta altro che una scusa per attraversare il confine», ha detto ieri Joe Biden. «Potrebbe usare anche armi chimiche», ha rincarato la dose Antony Blinken. Poche ore prima, questa mattina, Kiev aveva gridato l’allarme, con tanto di appelli all’occidente, riferendo del bombardamento di un asilo nel Donbass. I separatisti a loro volta hanno dichiarato di «aver dovuto aprire il fuoco per proteggere i civili», e hanno accusato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky di essersi recato a Mariupol apposta per impartire all’esercito un preciso mandato di escalation. La cosiddetta «linea di contatto», che dovrebbe fare da guaina protettrice tra l’area del paese controllata dal governo e il lembo orientale, oggi è apparsa come una linea di attrito: c’è stato un moltiplicarsi di allerte e denunce di «bombardamenti», con versioni contrastanti in base ai fronti.
Il punto di chiusura
Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che oggi è apparso in conferenza stampa assieme a Luigi Di Maio in missione a Mosca, ha fatto intendere in quale punto il canale del dialogo si è semichiuso.
Anzitutto, l’apertura viene fatta risalire alle mediazioni del cancelliere tedesco. Del resto è in coincidenza della visita di Olaf Scholz a Kiev che il Cremlino ha iniziato ad annunciare la fine delle «esercitazioni militari». Berlino aveva lanciato due segnali: l’ingresso dell’Ucraina nella Nato «non è in agenda» e «lavoriamo» per l’implementazione del protocollo di Minsk. Lavrov dice non a caso che – il giorno dopo della visita a Kiev, quando Scholz è volato a Mosca – «il cancelliere ha detto a Putin che Zelensky ha promesso di portare le bozze dei progetti di legge volti a definire lo status del Donbass».
Ma poi qualcosa è saltato, stando a questa versione: «Queste promesse sono state smentite», dice Mosca. «Scholz ha sentito Biden per telefono, e poi la Germania ha ritenuto che il ritiro delle truppe russe non fosse avvenuto». Dal punto di osservazione di Berlino, Scholz ha effettivamente contribuito al dialogo con Mosca, soprattutto per la partita energetica che le due capitali condividono, ma a Putin non basta: «Ha altri piani», commenta Michaela Kuefner, caporedattrice politica di Deutsche Welle.
La risposta agli Usa
Mentre oggi cinquemila soldati statunitensi approdavano in Polonia, la risposta russa arrivava a Washington. A fine gennaio Nato e Stati Uniti avevano consegnato le loro repliche alla posizione della Russia: frenare le nuove adesioni alla Nato e le attività dell’alleanza nell’est Europa. Putin ora controreplica che «gli Usa devono ritirare le truppe dall’Europa centrale e orientale», e ammonisce che intraprenderà «misure tecnico-militari» se ciò non dovesse avvenire. Il cardine della proposta rimane «l’architettura di sicurezza», e senza «solide garanzie dagli Usa e dai loro alleati, la Russia dovrà reagire». Anche la deterrenza viene ricondotta agli equilibri nel continente: «va risolto il problema delle armi nucleari Usa capaci di colpire bersagli russi e dislocati su paesi Nato», o «non se ne parla».
La reazione verso Mosca
La risposta russa è arrivata agli Usa prima che alla Nato, scomponendo il fronte; così come Mosca si è relazionata in questi giorni ai 27 stati membri Ue. Oltre alla strategia di deterrenza, «riaffermiamo la nostra unità: è questo, forse, il fattore che ha più colpito la Russia», ha detto non a caso Mario Draghi oggi, durante il Consiglio europeo lampo sulla crisi ucraina. L’Ue si dice «ferma e pronta», mentre il Regno Unito ormai fuori dall’Europa dice ora di «voler unificare l’occidente», rafforza i legami con gli Usa e fa la voce grossa con Mosca. In questo contesto è prevista una visita di Draghi al Cremlino. Già oggi Lavrov e Di Maio in virtù della «amicizia tra popoli» hanno insistito sul dialogo, ora Roma gioca il peso massimo.
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