Uno dei punti nodali dell’accordo sull’innalzamento del tetto del debito statunitense, votato dal Senato con 63 voti favorevoli dopo aver passato l’esame della Camera, è quello di essere sufficientemente ambiguo da consentire alle leadership di entrambi i partiti di cantare vittoria mantenendo una qualche credibilità.

Da un lato i democratici possono dire di aver evitato i tagli draconiani chiesti dalla leadership repubblicana alla Camera dei spinti dalla destra ipertrumpiana del Freedom Caucus, mentre i repubblicani dicono di aver fermato gli aumenti graduali di spesa che la Casa Bianca aveva previsto nel prossimo biennio.

Ci sono comunque degli scontenti: sia i repubblicani più estremi, capeggiati dall’ex presidente Donald Trump, che avrebbe preferito il default per incolpare Joe Biden, sia i progressisti che avrebbero desiderato l’invocazione di un’oscura clausola del quattordicesimo emendamento della Costituzione americana per dichiarare il debito pubblico «intoccabile».

Una strada azzardata con il rischio di essere giudicata incostituzionale dai tribunali federali. Ad ogni modo, l’accordo faticosamente raggiunto in teoria dovrebbe rimandare altre estenuanti trattative a dopo le elezioni presidenziali del 2024, perché finanzia le attività del governo federale americano e delle sue agenzie fino al gennaio 2025.

In realtà però ci sono altre condizioni affinché l’accordo continui in modo liscio il suo percorso. Basta spulciare le 99 pagine della legge per capire che servirà l’approvazione di dodici provvedimenti singoli durante l’anno per evitare che scattino tagli lineari dell’1 per cento su tutte le voci di spesa, ivi compreso il budget del dipartimento della Difesa e i pagamenti delle pensioni e delle prestazioni sanitarie.

Una condizione chiesta dal deputato repubblicano Thomas Massie del Kentucky, che ha votato in modo decisivo nella Commissione per il regolamento per far passare il maxibudget, approvato per 7 voti a 6, sul modello di quanto fatto da alcuni stati che hanno implementato un obbligo costituzionale di bilancio in pareggio.

I due leader al Senato, il dem Chuck Schumer e il repubblicano Mitch McConnell, hanno dichiarato che questa timeline avrà la priorità assoluta sul resto dell’agenda legislativa. Qualora non ci fossero i voti necessari, ipotesi tutt’altro che da escludere mano a mano che si avvicina l’appuntamento elettorale, i tagli automatici colpiranno anche la spesa militare. Un’ipotesi che ha lasciato di stucco alcuni falchi repubblicani come la senatrice Susan Collins che ha definito l’ipotesi come «nefasta» in caso di impegno delle forze armate.

Salvaguardie

In ogni caso, ci sono comunque delle mini valvole di sfogo che sono utilizzabili in caso di emergenza. Ad esempio, nel 2023 e nel 2024 ci sono dieci miliardi di finanziamenti all’Irs, l’agenzia delle entrate statunitense, che sono opzionabili per altri scopi.

L’indebolimento dell’Irs è da sempre uno degli obiettivi del mondo conservatore, che vede l’agenzia come il braccio armato dello «stato di polizia tributario» federale. Anche gli stessi dem però hanno circa 23 miliardi annui di cui disporre per la spesa sociale, fondi che vengono definiti nel testo della legge come una sorta di "budget emergenziale".

In passato per evitare queste strettoie negoziali si concentravano tutti queste bozze di spesa in un solo provvedimento monstre chiamato omnibus, possibilità che nel prossimo biennio sarà però esclusa. In conclusione l’accordo ha le sue fragilità che però dovrebbero favorire uno dei principali obiettivi della presidenza di Joe Biden, la restaurazione della cooperazione bipartisan persa nell’ultimo trentennio di crescente polarizzazione politica, una necessità impellente dati gli equilibri di potere in entrambi i rami del Congresso.

I dissensi che si sono registrati dunque, mostrano che sia l’ala progressista dei dem sia la destra nazional-conservatrice repubblicana sono due fazioni molto più forti sulla carta che nella pratica, dato che hanno influito ben poco sull’andamento delle trattative. Va notata l’importante eccezione del già citato deputato Massie che ha avuto l’intelligenza politica di moderare il suo radicalismo al momento giusto.

Rimane da vedere però se gli opposti radicalismi politici troveranno altri modi per far sentire la loro voce nel prossimo biennio, dove la costruzione di coalizioni vincenti il più larghe possibile sarà decisiva per ottenere la sospirata vittoria alle presidenziali del 2024.

 

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