Giuseppe Conte sta facendo spazientire i pm della procura della Repubblica di Roma e la Guardia di finanza. A cinque mesi dalla prima richiesta di acquisizione documentale, infatti, il leader dei 5 stelle non ha ancora consegnato – come sollecitato dalla polizia giudiziaria che aveva bussato a casa e allo studio di Conte – i documenti contabili delle consulenze ottenute dalla società Acqua Marcia (oggi fallita) di Francesco Bellavista Caltagirone.

Fatture e bonifici corrispondenti per circa 400mila euro che l’ex presidente del Consiglio ha avuto tra il 2012 e il 2013 grazie a Fabrizio Centofanti (all’epoca lobbista dell’azienda) e al figlio di Bellavista che firmarono a suo favore lettere d’incarico, con cui affidarono al professore di Volturara Appula alcune perizie in merito al contenzioso del gruppo in crisi.

Le visite a Conte e ad altri tre avvocati che avevano lavorato al concordato preventivo (il maestro dell’ex premier Guido Alpa, Enrico Caratozzolo e Giuseppina Ivone) erano state ordinate dal magistrato Maria Sabina Calabretta, in merito a un nuovo fascicolo d’indagine aperto dopo le dichiarazioni dell’avvocato esterno dell’Eni Piero Amara ai pm di Milano. Il faccendiere a fine 2019 aveva infatti raccontato di aver “raccomandato” i nomi di alcuni legali – tra cui Conte – all’ex socio in affari Centofanti, al tempo influente capo delle relazioni istituzionali del gruppo di Bellavista. Quelle nomine a dire di Amara erano la condizione fondamentale «per riuscire a ottenere l’omologazione del concordato stesso» dai giudici del tribunale di Roma.

Ritardi

L’inchiesta romana è a modello 44 (dunque senza indagati) e ipotizza una bancarotta per dissipazione: visto che i quattro avvocati hanno intascato in tutto circa due milioni di euro da Acqua Marcia, i pm vogliono verificare attraverso i bonifici e i relativi servizi legali svolti se le fatture siano state gonfiate, oppure se le consulenze si sono svolte correttamente. Ecco la necessità dei pm romani di acquisire tutta la documentazione.

Conte – risulta ora Domani – a fine gennaio non ha però consegnato i dossier richiesti dagli investigatori, spiegando che avrebbe avuto bisogno di un po’ di tempo per trovare tutti i report, e promettendo che avrebbe girato l’incartamento in tempi brevi. Dopo cinque mesi, però, se Alpa, Ivone e Caratozzolo hanno inviato i documenti di loro competenza, dallo studio dell’avvocato pugliese non è arrivato ancora quanto richiesto. Abbiamo provato a chiedere a Rocco Casalino, portavoce del leader dei 5 stelle, conferma e motivi del ritardo, ma mentre scriviamo non ci ha ancora risposto.

Per la cronaca, l’istituzione dell’acquisizione documentale è solo una “prassi” giuridica, non essendo infatti presente nel codice penale. Che prevede solo l’esibizione (quando i pm hanno come interlocutore la pubblica amministrazione) o il sequestro documentale di terzi. Negli ultimi lustri anni però – usando normative che prevedono una requisizione concordata, ma solo in campo tributario – moltissime procure preferiscono (soprattutto in casi mediaticamente sensibili) usare questa pratica non codificata invece del sequestro tout court.

Quasi sempre chi deve consegnare la documentazione richiesta lo fa in tempi rapidi, ma stavolta Conte sembra essersela presa con calma. Ora la pazienza della procura rischia di essere agli sgoccioli, e non è impossibile che in caso di ulteriori ritardi venga ordinato un sequestro vero e proprio.

Consulenze milionarie

Conte ha sempre negato, ovviamente, di essere stato raccomandato da chicchessia: «Non ho nulla a che fare con i loschi traffici del signor Amara. Trecento pareri legali mi hanno occupato per quasi un anno, quindi quel compenso era il minimo: tutte le parcelle hanno passato il vaglio del tribunale e dei commissari nominati dal giudice fallimentare», disse l’ex premier al Fatto, mentre a chi vi scrive spiegò che avrebbe querelato Amara per calunnia.

Le dichiarazioni su Acqua Marcia del legale della misteriosa loggia Ungheria (oggi è in carcere perché condannato per aver corrotto giudici) furono inviate per approfondimenti da Milano alla procura di Perugia, perché nei verbali Amara lasciavano intendere che qualche giudice del tribunale di Roma (per cui è competente la procura umbra) avesse commesso illeciti per dare l’ok al concordato.

Raffaele Cantone e i suoi uomini però non hanno identificato alcun magistrato capitolino, ma invece di archiviare il fascicolo lo hanno inviato a Piazzale Clodio, anche perché la pm Calabretta stava da tempo lavorando su un altro filone sull’ex gruppo di Caltagirone, nel quale si ipotizza la bancarotta fraudolenta da centinaia di milioni di euro.

Torniamo alle consulenze date da Centofanti ai quattro avvocati: se Conte ha fatturato circa 400mila euro («incassati solo in parte», disse l’ex premier), Alpa avrebbe ottenuto dalle varie società di Acqua Marcia contratti per circa 400 mila euro, incassandone ad oggi poco più di 100mila. Caratozzolo (che secondo Amara sarebbe uno degli animatori principali della loggia Ungheria, l’avvocato originario di Messina ha già smentito seccamente) ha ottenuto incarichi per oltre un milione, di cui la metà già incamerati. Meglio di tutti è andata alla Ivone, avvocato cassazionista molto vicina a Fabrizio Di Marzio (condirettore insieme a Conte della rivista giuridica Giustiziacivile.com) che ha ricevuto contratti per 2 milioni, di cui 1,2 già saldati.

Tutti hanno sottolineato di aver lavorato per Acqua Marcia fatturando solo «le centinaia» di perizie richieste e il grande lavoro fatto, e che le l’ipotesi ventilata da Amara di fatturazioni false sarebbe una pura e semplice diffamazione. Quando la procura avrà tutta la documentazione, il dubbio si scioglierà definitivamente: Amara ha già incamerato varie denunce per calunnia, e i quattro legali potrebbero aggiungersi alla lista.

 

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