- In Cina l’abbattimento da parte degli Stati Uniti del pallone spia ha nutrito una ondata di nazionalismo sui social.
- Il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, ha accusato gli Stati Uniti di aver fatto volare «illegalmente» sui cieli della Cina almeno una decina di palloni spia nel 2022.
- Le presidenziali americane del 2024 e le difficoltà economiche cinesi inducono i due governo allo scontro mettendo in discussione il consenso raggiunto al G20 sulla necessità di di riallacciare i canali di dialogo e far ripartire tavoli di discussione sulle più importanti questioni di interesse comune.
Un pallone aerostatico può finire fuori controllo, le relazioni tra Pechino e Washington no. È intitolato così un articolo - pubblicato e poi rimosso dal sito Ifeng.com - che lancia l’allarme sulle ripercussioni dell’incidente del 4 febbraio scorso, in grado secondo l’autore “restless brother” di favorire un decoupling, una “separazione” economica dagli Stati Uniti a tutto svantaggio della Cina. Coperto dallo pseudonimo, l’autore rimprovera ai commentatori nazionalisti di cavalcare il caso per accendere l’anti americanismo nell’opinione pubblica.
Negli ultimi giorni infatti i post contro l’abbattimento del pallone cinese sono diventati virali nell’intranet cinese, una gigantesca camera dell’eco del patriottismo, marchio di fabbrica dalla “Nuova era” di Xi Jinping. Ma ieri a reagire in maniera durissima contro l’amministrazione Biden è stato direttamente il governo. Il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, ha accusato gli Stati Uniti di aver fatto volare «illegalmente» sui cieli della Cina almeno una decina di palloni spia nel 2022. Pechino ribalta così sull’avversario le responsabilità dell’escalation innescata dalla distruzione del velivolo cinese a largo della Carolina del sud.
Accuse da guerra fredda
«Lo scorso anno, i palloni ad alta quota statunitensi hanno sorvolato illegalmente lo spazio aereo cinese più di dieci volte - ha sostenuto il portavoce del ministero degli esteri, senza addurre prove -. Gli Stati Uniti dovrebbero riflettere su se stessi e cambiare strada, piuttosto che calunniare, screditare o incitare allo scontro».
Wang ha definito gli Usa «il più grande impero di spionaggio criminale e di sorveglianza del mondo». Un linguaggio da Guerra fredda all’indirizzo del partner (prima che rivale) di gran lunga più importante della Cina, che evidenzia come l’annullamento della visita di Antony Blinken - che dieci giorni fa sarebbe dovuto diventare il primo segretario di Stato a sbarcare a Pechino dal 2018 - non è che il sintomo di una malattia più grave: una relazione bilaterale guastata, che rischia di precipitare a ogni passo falso dell’una o dell’altra parte.
Pechino continua a sostenere che il suo mezzo “civile” fosse finito fuori controllo e che la questione andasse risolta con prudenza a livello bilaterale.
Tra le ripercussioni più pericolose di questo scontro diplomatico c’è il silenzio calato tra le leadership dei due eserciti, che avevano da poco ripristinato le comunicazioni interrotte in seguito al viaggio di Nancy Pelosi a Taiwan dell’estate scorsa.
Rodaggio per gli F-22
Dopo l’abbattimento, sabato scorso, di un altro “oggetto”, questa volta nei cieli sull’Oceano artico, a largo dell’Alaska, quando manca un anno e mezzo alle presidenziali del 2024, Biden si sta costruendo l’immagine di presidente inflessibile con la Repubblica popolare cinese, che la sua strategia di sicurezza nazionale ha definito «la sfida geopolitica più significativa dell’America». Una durezza certificata dall’embargo tecnologico sempre più rigido contro Pechino e ora dall’utilizzo degli F-22 “Raptor” (il Pentagono ha speso 67 miliardi di dollari per acquistarne 187) che contro il pallone cinese e l’ ”oggetto” distrutti sono stati impegnati per la prima volta in un “combattimento” aria-aria. I jet prodotti da Lockheed Martin hanno eliminato gli intrusi scongiurando un pericolo, vero o fittizio, che ha un forte impatto psicologico su una nazione il cui territorio è stato attaccato solo due volte, entrambe dal cielo, e sempre a sorpresa: a Pearl Harbour dai caccia dell’impero nipponico il 7 dicembre 1941, e a New York e Washington dai jihadisti-kamikaze l’11 settembre 2001.
D’altro canto, all’amministrazione di Xi Jinping questo braccio di ferro sta fornendo l’opportunità di far passare in secondo piano le difficoltà economiche - conseguenza anche della politica “contagi zero” promossa dallo stesso presidente - che, in attesa dell’impennata del Pil prevista per il secondo trimestre, continuano a colpire i più deboli. In una delle tante manifestazioni di malessere degli ultimi tempi, mercoledì scorso nella metropoli di Wuhan migliaia di pensionati hanno manifestato cantando “L’internazionale” e scontrandosi con la polizia per protestare contro il taglio dei sussidi sanitari.
Resta da vedere se il consenso raggiunto da Biden e Xi al G20 del novembre scorso - quello di riallacciare i canali di dialogo e far ripartire tavoli di discussione sulle più importanti questioni di interesse comune - resisterà alla prova dei “palloni spia” e alle tensioni interne ai due paesi.
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