La convention del Cpac quest’anno compie cinquant’anni. Se negli scorsi anni serviva come spazio di discussione per differenti punti di vista, oggi è completamente dominata dall’ex presidente e dai suoi alleati. Sullo sfondo, la preoccupazione per la sua raccolta fondi, che lo pone in una situazione di netto svantaggio rispetto a Biden
Il Conservative Political Action Conference (Cpac) ha cinquant’anni e li porta malissimo. Se nel 1974 la conferenza era il luogo in cui i maggiori esponenti della destra repubblicana spiegavano la loro visione per il paese, oggi è il braccio armato del trumpismo, senza spazio per posizioni alternative.
Cinquant’anni fa a inaugurare la prima riunione fu l’aspirante candidato alla presidenza Ronald Reagan, all’epoca governatore della California, che delineò la sua idea di «città splendente sulla collina», immagine evangelica. Oggi non c’è posto per questa speranza, ma ci saranno i toni rabbiosi tipici del trumpismo, a cominciare dal motto della convention “Where globalism goes to die”, espressione mutuata dalla campagna elettorale per la rielezione del governatore della Florida Ron DeSantis.
Gli scorsi anni proprio DeSantis era una star su questo palco, ma poi la sua sfida a Donald Trump lo ha fatto uscire di scena e nemmeno quest’anno ci sarà, così come non stupisce l’assenza di altri prominenti repubblicani come l’altra sfidante rimasta alle primarie repubblicane, l’ex governatrice del South Carolina Nikki Haley. Non parliamo di altri esponenti, ormai considerati “nemici”, come il leader repubblicano al Senato Mitch McConnell e il senatore Mitt Romney, noto per le sue critiche costanti al trumpismo.
Ad avere spazio in questi quattro giorni sono solo alleati dell’ex presidente Donald Trump, il sole intorno a cui ruota questa organizzazione conservatrice diretta in modo familistico da Matt Schlapp, ex consulente della Casa Bianca ai tempi di George W. Bush. Sembra che la previsione fatta qualche anno fa da Kellyanne Conway, stretta collaboratrice del tycoon, si sia avverata: il Cpac sta diventando il Tpac, dove la T corrisponde a quella di Trump.
La scelta del vice
Quindi spazio al senatore J.D. Vance, all’ex candidato alla presidenza Vivek Ramaswamy, all’ex segretario all’urbanistica dell’amministrazione Trump, alla governatrice del South Dakota Kristi Noem e anche alla deputata Elise Stefanik, ex moderata trasformatasi in combattente ipertrumpiana nell’ultimo anno e mezzo di presidenza. Unica stranezza, apparentemente, è la presenza dell’ex deputata dem delle Hawaii Tulsi Gabbard, già sostenitrice di Bernie Sanders diventata fiancheggiatrice “indipendente” del mondo Maga.
Tra questi oratori, l’ex inquilino della Casa Bianca sceglierà il suo vice, che dovrà fare un sottile gioco d’equilbrio per conquistarsi il favore del tycoon: elogiarlo senza risparmiarsi e nel contempo non apparire troppo smanioso di ottenere la nomination che, in teoria, dovrebbe garantire una posizione di vantaggio nelle presidenziali del 2028, dato che Trump dovrà limitarsi a un solo mandato.
C’è spazio però anche per gli alleati internazionali del tycoon: il presidente argentino Javier Milei, quello del Salvador Naguib Bukele, l’ex premier britannica Liz Truss, l’ex leader del Brexit Party Nigel Farage e infine il leader del partito spagnolo Vox Santiago Abascal. Non mancano nemmeno delegazioni dall’Italia, anche se quest’anno la premier Giorgia Meloni non ci sarà, a differenza del 2022 quando fece la sua prima comparsa ancora da leader dell’opposizione.
Ci saranno solo alcuni deputati di Fratelli d’Italia e l’eurodeputata della Lega Annalisa Tardino, oltre agli esponenti dell’associazione conservatrice Nazione futura. Trump in questi giorni dovrà riprendere fiato prima di andare in South Carolina sabato, dove guarderà i risultati delle primarie locali che, presumibilmente, saranno favorevoli.
Non sta andando bene invece la situazione finanziaria dell’ex presidente: al Cpac avrà l’opportunità di convincere alcuni grandi donatori sicuramente presenti (il biglietto di partecipazione più economico, senza accessi particolari, costa 295 dollari) e di capire come fare per colmare il colossale svantaggio nei confronti dell’avversario Joe Biden, che può contare finora su una raccolta fondi di 130 milioni di dollari mentre Trump ha soltanto poco più di sessantacinque milioni di dollari.
Le spese che più preoccupano il tycoon sono quelle legali: nel corso del 2023 sono stati spesi circa 50 milioni di dollari e quest’anno sarà ancora più impegnato nelle aule processuali, specie dopo che un tribunale di New York l’ha condannato in sede civile a una multa di 355 milioni di dollari per frode.
Il salvadanaio
Non bastano più le aggressive tattiche di raccolta fondi fatte via mail verso i piccoli donatori e iniziative estemporanee come quelle relative alla vendita di sneakers dorate: il team dell’ex presidente si appresta a prendere il controllo del Comitato nazionale repubblicano attraverso un team di lealisti composto dal capo dei repubblicani del North Carolina Michael Watley, dalla nuora Lara Trump e dal suo ex collaboratore Chris LaCivita.
La sua avversaria Nikki Haley ha immediatamente accusato l’ex presidente di usare la struttura del partito come suo salvadanaio e di usare gli otto milioni finora raccolti dal partito per far fronte alle varie battaglie giudiziarie. Haley però non potrà dirlo dal palco del Cpac. E d’altro canto quest’anno la convention passa quasi inosservata al di fuori dal pubblico degli addetti ai lavori.
Anche il presidente Biden sembra ignorare il suo avversario interno per concentrarsi su quello internazionale, definendo il presidente russo Vladimir Putin «un pazzo figlio di puttana», con il pensiero anche a quei repubblicani che in questi mesi si sono opposti agli aiuti all’Ucraina, molti dei quali parleranno al Cpac.
© Riproduzione riservata