«Da molti anni l’Algeria sta patendo la cosiddetta sindrome olandese», dice Yacine Oualid, ministro del governo algerino con delega speciale alle startup.

«Facciamo affidamento sugli idrocarburi per gli export e questo modello economico per molti anni ci ha aiutato a costruire infrastrutture, a tenere in piedi lo stato, ma non è più sostenibile», spiega il politico ventottenne, che all’inizio del mese ha partecipato alla conferenza Med, organizzata dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e dal ministero degli Esteri italiano.

È proprio il suo ministero, il primo dedicato specificamente alle startup in Africa, a incarnare più di tutti il proposito dichiarato del nuovo governo di realizzare un cambiamento epocale nel funzionamento del paese: da economia di rendita fondata sull’esportazione di gas e petrolio, a economia diversificata e aperta.

Abdelmadjid Tebboune, diventato presidente a dicembre del 2019, è un esponente dell’ancien régime ma rappresenta comunque un elemento di novità rispetto ad Abdelaziz Bouteflika, per decenni dominatore assoluto della politica algerina fino alle proteste che lo hanno deposto due anni fa (è morto a 84 anni lo scorso 17 settembre).

Nuovi obiettivi

«Oggi la nuova sfida del governo è quella di voler trasformare questo modello economico in un modello più innovativo, più ambizioso e sostenibile. Contiamo sul fatto che la popolazione di startup e piccolo-medie imprese aiuti a diversificare gli export e scoprire nuovi modi per creare servizi e ricchezza», dice il ministro nominato sull’onda delle sue precoci esperienze da imprenditore tech.

«Il ministero è nuovo e da quando è stato creato abbiamo lavorato sull’ecosistema normativo e legale per renderlo più adatto a innovazione e startup. Abbiamo introdotto incentivi come esenzioni fiscali, finanziamenti statali, “incubatori” e acceleratori pubblici. Siamo il primo paese in Africa ad avere un framework legale per il crowdfunding».

Secondo Oualid l’Algeria sta già incassando qualche risultato. «Ci sono già state diverse iniziative per diversificare le esportazioni: le vendite di nostri prodotti all’estero al di fuori del settore degli idrocarburi hanno raggiunto livelli molto buoni nel corso dell’ultimo anno, malgrado l’esplosione di coronavirus».

«Stiamo incoraggiando il settore privato, l’Algeria è stata troppo a lungo dipendente dal settore pubblico, il presidente insiste molto sull’imprenditoria dal basso per creare crescita». Il nuovo governo sta tentando anche un rafforzamento del corpo diplomatico per migliorare l’immagine dell’Algeria nel mondo e con l’obiettivo di aprire maggiormente il paese ai turisti stranieri.

Una trasformazione lenta

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La missione sposata con passione dal giovanissimo politico – l’età anagrafica salta ancora di più all’occhio in una gerontocrazia come l’Algeria – ha però una storia travagliata.

In realtà i primi propositi di diversificazione risalgono a oltre un decennio fa, quando la crisi finanziaria mondiale ha provocato un crollo temporaneo della domanda e dei proventi del petrolio, stimolando il dibattito su riforme e liberalizzazioni.

Una dinamica simile a quella degli ultimi anni, con la crisi del Covid-19. Ma le resistenze di chi fonda il proprio benessere sul sistema di rendita – del regime composto dall’esercito e dalle fazioni burocratiche legate alle grandi aziende di stato, ma anche dei settori in cui vengono riciclati i proventi del petrolio – hanno perlopiù bloccato le trasformazioni.

«L’Algeria è veramente uno yo-yo, una specie di elastico», dice Riccardo Fabiani, analista della regione del Maghreb per conto del think tank International Crisis Group. «Quando i prezzi dell’energia scendono si ricomincia a parlare di riforme economiche, ma quando risalgono la pressione per riformare diminuisce, le fazioni che sono ostili al cambiamento riprendono voce, e le idee di rinnovamento vengono ancora una volta sotterrate. È così da 10 anni».

Per Fabiani «con il nuovo presidente sembrerebbe esserci una volontà un po’ più tangibile, un po’ più reale, principalmente perché è nuovo e vuole portare un minimo di cambiamento nel paese, e poi c’è questa coscienza del fatto che il tempo sta per finire, che l’èra del petrolio sta per terminare, e quindi qualcosa bisogna fare. Ma adesso che i prezzi del petrolio stanno tornando a crescere, ecco che la pressione torna a scemare».

Anche il nuovo ministero delle startup non lo convince del tutto: «Mettere un giovane come Oualid, l’unico politico sotto i 40 anni da circa 30 anni a questa parte, manda un segnale, ma colpisce l’approccio di carattere statalista anche in qualcosa che è per definizione refrattario allo statalismo. Perché parlare di acceleratore di stato, o comunque di ministero delle startup, è quasi comico».

La «legge del 51-49»

Per dimostrare che qualcosa ad Algeri si sta davvero muovendo, Oualid cita l’intervenuto del governo per limitare l’applicazione della norma nota come «legge del 51-49».

La legge stabilisce l’obbligo per qualsiasi investitore straniero di trovare un partner locale in Algeria e accontentarsi di una quota di minoranza, fino appunto al 49 per cento. Una misura simbolo che da anni è stata presa di mira dagli osservatori stranieri come emblema del nazionalismo economico algerino, ma che ora, seppur non del tutto abolita, è in alcuni casi sospesa. «L’Algeria ora è più aperta agli investitori stranieri, la regola 51-49 li ha a lungo scoraggiati», dice il ministro.

Di più vasta portata – se dovesse concretizzarsi con la finanziaria 2022 che si sta discutendo in queste settimane – sarebbe la riforma del costoso programma di sussidi pubblici.

Misura faro della legge di Bilancio, già elogiata qualche settimana fa dal Fondo monetario internazionale, la riforma metterebbe fine al sistema di sovvenzioni che per decenni ha sopperito all’assenza di uno stato sociale.

La nuova legge prevede la sostituzione del calmiere statale su pane, gas, acqua e beni di prima necessità, con un sistema “targhettizzato” di trasferimenti diretti alle famiglie veramente bisognose.

Il rischio di un conflitto

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«Non è la prima volta che si parla di una riforma del sistema di sovvenzioni, ma sembrerebbe che per la prima volta il governo sia seriamente intenzionato a farla», dice Fabiani.

«Il problema è che c’è un’ampia fetta della classe media algerina che è classe media proprio perché può permettersi di comprare questi beni di prima necessità a prezzi calmierati. Nel momento in cui questi prezzi aumentassero, si eroderebbe il loro potere d’acquisto, e smetterebbero di essere classe media. Quindi politicamente è esplosivo». Il test sarebbe ancora più duro nel contesto di un’economia che fa fatica a decollare, e in assenza di un database governativo per identificare le famiglie che hanno bisogno.

Sullo sfondo delle ipotesi di riforma si affaccia, sempre più insistentemente, il rischio di un conflitto con il Marocco. Lo scorso agosto i due paesi hanno rotto le relazioni diplomatiche.

Il conflitto nel Sahara occidentale, dove gli algerini sostengono i ribelli del Polisario, è tornato a riaccendersi, e l’accordo di pace fra Tel Aviv e Rabat, seguito da un memorandum of understanding per la cooperazione nel campo della cybersicurezza e della difesa, ha aumentato ancora di più le tensioni. Lo scorso 31 ottobre, l’Algeria ha interrotto l’esportazione di gas in Spagna tramite il gasdotto che passava dal Marocco, sostituendolo con un altro che arriva direttamente a destinazione. Una miscela davvero esplosiva.

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