Nello stato africano il potere era gestito come un affare di famiglia e il malcontento dei civili non era un mistero, ma il voto del 26 agosto, che si annunciava tesissimo, lo ha fatto emergere. La Cina ha chiesto che sia garantita la sicurezza del presidente destituito, Ali Bongo Ondimba
«Non so ancora cosa stia succedendo esattamente. ma vi chiedo di aiutare il nostro paese». Sono queste le prime parole pronunciate dal presidente Ali Bongo Ondimba agli arresti domiciliari dopo il golpe militare che ha travolto il Gabon nella mattinata del 30 agosto. Assieme a lui sono stati arrestati il figlio e stretto consigliere Noureddin Bongo Valentin, alte cariche dello stato e membri del Partito Democratico Gabonese (Pdg) tutti accusati di «alto tradimento contro le istituzioni dello Stato, appropriazione massiccia di fondi pubblici, appropriazione indebita internazionale organizzata, falsificazione, falsificazione della firma del Presidente della Repubblica, corruzione attiva e traffico di droga».
Elezioni prevedibili
A Libreville, la capitale, erano stati da poco comunicati i dati ufficiali sulla tornata elettorale che, neanche a dubitarne, avevano riconfermato il 64enne controverso presidente, dichiaratamente massone, per un terzo mandato.
La vittoria avrebbe portato a 55 anni il potere dinastico della sua famiglia: prima di lui, infatti, salito al comando nel 2009, era stato presidente il padre Omar Bongo, in carica per 42 anni ininterrotti a partire dal 1967, sette anni dopo l’indipendenza.
La commissione elettorale aveva annunciato un distacco netto di Bongo (64,27 percento) rispetto al suo principale rivale Albert Ondo Ossa (30,77 percento).
Ma i malumori delle opposizioni e di una larga fetta degli oltre 2 milioni di abitanti, montavano da tempo. Il potere gestito come fosse una questione di famiglia ha portato il Gabon non solo a essere una monarchia de facto con libertà limitate per la popolazione, ma lo ha anche trascinato verso una situazione che attivisti per i diritti locali definiscono da «regime cleptocratico», a loro dire perseguito a suon di saccheggi delle risorse naturali e appropriazione indebita di denaro pubblico.
È per questo, così come per una serie di marcate clientele tra famiglie elitarie del paese che il sito Jeune Afrique ha definite «feudi», che il Gabon, pur essendo baciato da tante ricchezze, ha un terzo della popolazione in povertà e quasi il 40 per cento di giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni senza lavoro.
Malcontento
Il voto, che si annunciava tesissimo, ha fatto emergere l’enorme insoddisfazione diffusa tra la popolazione. I militari se ne sono fatti interpreti a modo loro e hanno agito immediatamente. «Le recenti elezioni – ha affermato un ufficiale golpista alla tv che parlava a nome del Comitato per la transizione e il ripristino delle istituzioni - non hanno soddisfatto le condizioni per uno scrutinio trasparente, credibile e inclusivo tanto auspicato dal popolo gabonese. IL voto del 26 agosto 2023 è quindi annullato».
Il timing del putsch ha di certo a che fare con l’insoddisfazione generale della popolazione per i risultati del voto e l’infinito ‘regno’ dei Bongo, ma anche con la ormai nota debolezza della Francia, grande alleata, nel continente: i militari, con tutta probabilità a ragione, hanno ritenuto improbabile che l'ex potenza coloniale potesse intervenire in aiuto di Bongo.
Il paese nel frattempo è isolato. Dal giorno del voto il governo di Bongo aveva imposto il coprifuoco e la chiusura di internet a livello nazionale per evitare la diffusione di «notizie false» mentre da mercoledì 30 le frontiere sono state chiuse a tempo indeterminato.
Che qualcosa di grave stesse per succedere era con tutta probabilità già nell’aria. Il responsabile della campagna elettorale del leader dell’opposizione Ondo Ossa, nella giornata di lunedì 28 agosto, aveva invitato Bongo a cedere il potere «senza spargimento di sangue», mentre, in previsione delle violenze post-elettorali, tantissimi abitanti di Libreville si sono trasferiti da conoscenti in altre zone del paese o addirittura all’estero.
Le reazioni internazionali
Con questo del Gabon, se confermato, il numero dei colpi di stato in Africa negli ultimi tre anni sale a sette, dopo Ciad, Mali, Guinea, Sudan, Burkina Faso e Niger.
La natura di quest’ultimo, però, sembra diversa dai precedenti. Come sostiene Ahmed Idris di Al Jazeera «il filo conduttore di colpi di stato in Africa occidentale e centrale degli ultimi anni è fondamentalmente la stagnazione economica, l'insicurezza (in gran parte dovuta alla presenza del jihadismo, ndr) e la corruzione». Nel caso del Gabon, le cause affonderebbero nella cattiva amministrazione e nell’insofferenza generalizzata per un potere dinastico apparentemente indissolubile quanto corrotto.
La popolazione sembra aver appreso la notizia della deposizione di Bongo, con entusiasmo. Fin dalla mattina di ieri, 30 agosto, si è riversata nelle strade con bandiere nazionali e cartelloni antigovernativi. L’Unione Africana ha definito il golpe una «flagrante violazione» dei regolamenti. La Francia, per bocca del primo ministro Elisabeth Borne, ha dichiarato che «sta seguendo gli eventi in Gabon con la massima attenzione». La Cina, invece, ha chiesto a «tutte le parti» di garantire la sicurezza del presidente.
«L'intera area – ha dichiarato il capo della diplomazia europea Josep Borrell - è in una situazione molto difficile... dobbiamo riflettere a fondo su come possiamo migliorare la nostra politica nei confronti di questi paesi, è una questione fondamentale per l'Europa».
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