Sul confine tra la Bulgaria e la Turchia ci sono rifugiati che vengono imprigionati e maltrattati, obbligati a spogliarsi prima di essere respinti. E ancora, vengono trattenuti durante la notte in container senza cibo né acqua in Ungheria o schiacciati in furgoni della polizia croata e lasciati a cuocere al sole prima di essere respinti in Bosnia. 

Le testimonianze e i video raccolti da Domani, in partnership con il collettivo d’inchiesta Lighthouse Reports, mostrano le prassi diffuse e sistematiche con cui le forze di sicurezza europee effettuano violente espulsioni collettive ai confini dell’Unione europea, in violazione del diritto internazionale. 

Secondo Frontex, l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere, sulla rotta balcanica sono passate 128.430 persone nei primi dieci mesi del 2022, il 168 per cento in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. 

Percossi

Nelle foreste della montagna Strandja, ultimo lembo di terra bulgara prima del confine con la Turchia, i camion militari dell’esercito bulgaro trasportano rifugiati afghani fino al confine. Vengono imprigionati e maltrattati, prima di essere espulsi nella foresta di latifoglie del mar Nero orientale. 

Un gruppo di ragazzi afghani racconta l'ennesimo respingimento dell’esercito bulgaro. Sono laceri e sono stati derubati di tutto. «I cani delle guardie di frontiera ci hanno morso», racconta Hameed, di Nangarhar, provincia del nord ovest dell’Afghanistan. 

«Ci hanno imprigionato e torturato brutalmente. Ci hanno lasciato per nove ore senza né cibo né acqua». Mostrano i segni delle percosse e i morsi dei cani. Un altro ragazzo afghano, di nome Javed, continua: «Ci hanno rinchiuso in una baracca fatiscente per 12 ore, prima di riportarci al confine».

Imprigionati e maltrattati

Domani, con un'inchiesta guidata da Lighthouse Reports insieme a Ard monitor, Der Spiegel, Sky News, Le Monde, SRF e RFE/RL Bulgaria è in grado di svelare per la prima volta dove vengono tenuti prigionieri e maltrattati i richiedenti asilo prima di essere respinti al confine bulgaro-turco. Un altro video mostra agenti della polizia di frontiera bulgara che picchiano persone sdraiate a terra con manganelli. È stato registrato lo scorso ottobre al confine tra la Bulgaria e la Turchia. 

A Sredets, una cittadina bulgara a 30 chilometri dal confine bulgaro-turco, in una baracca sbarrata e fatiscente, nei locali di una stazione di polizia di frontiera vengono sistematicamente trattenuti i rifugiati prima di essere respinti. 

Documenti interni dell'agenzia di frontiera Ue dimostrano che almeno 10 ufficiali di Frontex sono presenti nella stessa Sredets, nell’ambito dell'Operazione Terra. Il ruolo dell’Agenzia è sempre più problematico dopo il rapporto dell'Ufficio Ue anti frode sulle violazioni dei diritti umani da parte di Frontex. 

In una nota condivisa dall’agenzia si specifica che «dal 2021, l'Ufficio per i diritti fondamentali ha registrato 10 incidenti gravi segnalati al confine tra Bulgaria e Turchia. Uno si riferisce all'area di Sredets ma non è correlato alle condizioni di detenzione della stazione di frontiera bulgara».

Obiettivo: respingere

Nelle immagini si vedono i veicoli contrassegnati con il logo di Frontex e circa 25 migranti trattenuti in una baracca sbarrata e fatiscente, sorvegliata da un agente di polizia bulgaro. Secondo diverse testimonianze, raccolte fra ottobre e novembre in Turchia, le persone vengono trattenute diverse ore prima di essere respinte oltre il confine bulgaro-turco. Ufficiali turchi confermano questa pratica. 

«Quando la polizia bulgara ci ha catturato ci hanno picchiato violentemente, ci hanno tolto i vestiti e ci hanno rasato le sopracciglia. Ci hanno trattenuto per diverse ore, ci hanno trattato come animali», racconta Nackman, 28 anni, anche lui di Nangarhar. 

Secondo Georgi Voynov, avvocato in Bulgaria del Comitato Helsinki, programma di protezione legale per rifugiati e migranti, la detenzione illegale di rifugiati ne facilita l'espulsione: «Non si vogliono lasciare tracce, documenti, così si può semplicemente respingere».

Detenzioni illegali

Lo stesso avviene alla frontiera tra Ungheria e Serbia, ad Ásotthalom, un villaggio ungherese a 5 chilometri dalla frontiera serba. Nelle immagini si vede un gruppo di persone trattenute nel parcheggio di una stazione di servizio. 

Guardie civili volontarie – note come Polgárőrség – trattengono per diverse ore i migranti prima di respingerli oltre il confine nei pressi di Röszke. Nelle foto si vedono uomini in divisa blu trattenere un gruppo di persone prima di respingerli verso il confine a bordo di camion bianchi della polizia ungherese. 

Varie cause alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo sono riuscite a condannare l’Ungheria per detenzioni illegali nelle zone di transito di Röszke e Tompa. L’ultima in ordine di tempo è stata emessa lo scorso 2 giugno. La Corte di giustizia ha ribadito che le autorità ungheresi hanno istituito «un sistema di trattenimento generalizzato dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito». 

Fingere che non succeda

E mentre le persone sono ricacciate indietro a forza, Frontex finge che tutto questo non succeda, equivocando e riducendo in qualche misura il proprio ruolo di mero partner tecnico nei rimpatri “assistiti”, e dicendosi semplicemente «consapevole» di quelli che ha definito «rischi potenziali» per i richiedenti asilo.

La violenza al confine tra Ungheria e Serbia è «metodica e sistematica», denuncia Medici senza frontiere, che accusa le autorità ungheresi di percosse, manganellate, calci, pugni, e varie forme di umiliazione. Dal gennaio 2021, le équipe mediche mobili hanno curato 500 vittime della violenza di confine. La maggior parte di queste testimonianze descrive uno schema simile di percosse, negazione dell’accesso ai bisogni primari e molestie, spesso accompagnate da umiliazioni a sfondo razziale.

Il governo ungherese respinge in toto le accuse: «l'Ungheria è stata uno dei primi Stati membri ad applicare le norme dell'Unione europea».

Pratiche comuni

La logica europea si evince dai documenti: «Sosterremo i partner dei Balcani occidentali con l’azione dell’Ue per intensificare i rimpatri nella regione, rafforzando le capacità operative attraverso Frontex e convocando comitati congiunti di riammissione», come si legge nel documento in cui si annuncia per il 2023 un nuovo programma per i rimpatri nella regione, rafforzando la collaborazione anche con i paesi di origine dei migranti.

Già nel settembre 2020, la Commissione aveva ignorato le denunce di violazioni dei diritti umani da parte della polizia croata e aveva evitato di istituire un meccanismo indipendente di monitoraggio che avesse lo scopo di garantire che le misure adottate dalla Croazia lungo i propri confini, in larga parte finanziate dai fondi di emergenza all’assistenza dell’Unione europea, rispettassero i diritti umani.

Solo recentemente il governo di Zagabria ha firmato un accordo con la Commissione europea per istituirlo, ma secondo le organizzazioni di difesa dei diritti umani il meccanismo non è né trasparente né indipendente e quindi estremamente inefficace.

Un’indagine pubblicata lo scorso febbraio dell'ombudsman europeo aveva infatti rilevato che la Commissione europea non era riuscita a garantire il rispetto dei diritti fondamentali nelle operazioni di frontiera finanziate dall’Unione europea a partire dal 2018. 

Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti aveva ricevuto numerose accuse di migranti trasportati in furgoni della polizia croata in pessime condizioni. «Fino a 26 persone stipate in un'area progettata per trasportare un massimo di otto persone in viaggi che possono superare diverse ore», si legge nel rapporto condiviso con il Consiglio d’Europa. 

Altre testimonianze hanno dimostrato che non si tratta di una pratica isolata, ma regolare. Diana, una donna afghana di etnia hazara di 22 anni, ora rifugiata in Svizzera racconta come lo scorso settembre è stata trattenuta in un piccolo furgone dalla polizia di frontiera croata per più di otto ore con più di altre 20 persone, senza acqua e nel veicolo chiuso in condizioni di caldo estremo.


 

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