Come chiarito dalle carte giudiziarie pubblicate da Domani, Raffaele Cantone e i pm della procura di Perugia che hanno chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sulla Loggia Ungheria («non ci sono riscontri né prove della sua esistenza») considerano Piero Amara un pentito spesso attendibile. I cui racconti contro giudici, politici e potenti assortiti sono stati – associazione segreta a parte – più volte riscontrati. Tanto che le sue accuse hanno portato condanne pesanti contro magistrati ed ex parlamentari (Denis Verdini il più recente) nei tribunali di Roma e di Messina.

Tra le storie dell’ex avvocato esterno dell’Eni che Cantone ha messo sotto la lente d’ingrandimento ce n’è una affatto scialba, che ha portato (come anticipato da Giacomo Amadori sulla Verità) all’apertura di un fascicolo per ora senza indagati e senza ipotesi di reato a cui sta lavorando da la procura di Messina.

La fonte “Oriente”

La vicenda è quella, in parte ancora oscura, che ruota intorno all’omicidio di Luigi Ilardo, un ex boss di Cosa nostra che divenne confidente dei carabinieri, prima di essere tradito da qualcuno nelle nostre istituzioni che lo vendette alla mafia catanese, che lo ammazzò in auto un sera del 10 maggio del 1996.

Ilardo era imparentato con la famiglia dei Madonia (il cugino era il numero due della Cupola comandata da Totò Riina), alle spalle dieci anni di carcere, era chiamata fonte “Oriente” dagli investigatori che nel 1993 iniziarono a ascoltare il pentito che aveva deciso di cambiare vita e “normalizzarla”, trasformandosi in un infiltrato. È così che inizia la collaborazione con Michele Riccio, colonnello dei Ros, a cui racconta segreti delle famiglie mafiose che avevano dato il via alla stagione del terrore. Sentenze alla mano, è un fatto che Ilardo riesce a portare gli inquirenti a pochi passi da un nascondiglio di Bernardo Provenzano, e che si fosse deciso a svelare i retroscena da lui conosciuti dei massacri del 1992, dove persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un uomo diventato pericolosissimo per i padrini, che ordinarono di ammazzare la fonte “Oriente” prima che potesse raccontare tutto quello che sapeva.

Possibile che oltre alla mafia anche pezzi dello stato temevano le confessioni dell’ex boss? Amara con i pm di Perugia parla proprio dell’assassinio di Ilardo. È il 6 settembre 2021, e il legale siciliano è rinchiuso nel carcere di Terni. Accetta di essere ascoltato da Cantone. Stavolta l’avvocato, rispetto a quanto detto in interrogatori precedenti, comincia anticipando la nascita della loggia Ungheria al 1993, «collegandola casualmente alla “crisi” di valori del paese successiva a Tangentopoli».

Per poi affermare come «uno dei problemi concreti che la loggia dovette affrontare fu la gestione dei procedimenti nei confronti di Silvio Berlusconi aperti a Palermo e a Catania in relazione al “dopo stragi” rispetto ai quali (Amara) accenna al ruolo che avrebbero avuto i magistrati Paolo Giordano e Alessandro Centonze», quest’ultimo ex giudice delle indagini preliminari a Caltanissetta. Per la cronaca, Berlusconi e Marcello Dell’Utri sono stati già archiviati anni fa nei vari processi siciliani sulle vicende del 1992 e 1993, ma pende su di loro l’indagine dei pm di Firenze che li hanno iscritti per concorso in strage in merito a un presunto ruolo di mandanti esterni: presto i magistrati potrebbero chiedere il rinvio a giudizio dei due fondatori di Forza Italia oppure, come molti osservatori si aspettano, una nuova archiviazione.

Mistero Tinebra

Secondo Amara, sintetizza Cantone, «questo intervento di Ungheria ci sarebbe stato grazie e per effetto del profondo legame tra Giovanni Tinebra (potente magistrato ormai deceduto, e definito di fatto fondatore e animatore di Ungheria, ndr) e Berlusconi e del suo governo». Tinebra, che dal 1992 al 2001 fu procuratore della Repubblica di Caltanissetta e titolare delle inchieste sugli eccidi di Capaci e di via d’Amelio, nonché “gestore” del falso pentito Vincenzo Scarantino, avrebbe «gestito in modo scorretto i procedimenti nei confronti di Berlusconi pendenti nella sua procura». E poi organizzato l’avvio della collaborazione di Ilardo, «sostanzialmente boicottandola».

Cantone, appena ascoltato Amara, visto la gravità delle ricostruzioni ha girato le sue dichiarazioni alla procura nazionale antimafia, che dopo venti giorni ha inviato una nota dettagliata sui fatti con la quale «si può affermare che alcune circostanze narrate da Amara sono (almeno in parte) riscontrate».

Non solo perché nella sentenza che ha condannato il boss Giuseppe Madonia e altri mafiosi per l’omicidio di Ilardo «si trovano elementi potenzialmente confermativi delle dichiarazioni di Amara» si legge nel rapporto dell’Antimafia «ad esempio sull’interessamento del dottor Tinebra nella gestione della prossima collaborazione di Ilardo».

Ma anche perché il colonnello Riccio dei Ros, il primo a cui il pentito si avvicinò esternando la volontà di collaborare con lo stato, si era convinto dell’«infedeltà di soggetti istituzionali. È evidente come i suoi sospetti attingano, oltre che i vertici dell’epoca dei Ros, l’allora procuratore di Caltanissetta Tinebra. Al quale nel racconto di Riccio sarebbe imputabile il rinvio della collaborazione di Ilardo, con la conseguente accelerazione dei tempi dell’omicidio al fine di congiurare l’imminente formalizzazione della scelta» del pentito.

L’ex mafioso, in effetti, fu lasciato solo da chi lo doveva difendere: preziosa fonte informativa dal 1993 al 1996, non riuscì ad entrare mai ufficialmente nel programma di protezione testimoni, e fu ammazzato a causa di una probabile soffiata istituzionale, come fa intendere la sentenza sul suo assassinio.

Riscontri e pm

Non è tutto. Nelle righe che la procura antimafia manda a Cantone si segnalano altri «riscontri alle dichiarazioni dell’Amara». Ad esempio sul giudice Antonino Ferrara, al tempo gip a Catania, che nell’aprile del 2000 «effettivamente dispose l’archiviazione in merito agli appunti e alle dichiarazioni di Michele Riccio che coinvolgevano Tinebra, ipotizzando sue responsabilità in merito all’omicidio di Ilardo».

Il capo della procura umbra sottolinea infine come «in merito ad Alessandro Centonze (magistrato che Amara dice di essere a Tinebra assai legato, ndr) dalla nota si evince che effettivamente il medesimo pm, presso la procura di Caltanissetta, ha gestito unitamente a Paolo Giordano il procedimento “sui mandanti occulti bis delle stragi” che vedeva indagato anche Berlusconi e Dell’Utri, per il quale nel giugno del 2003 venne richiesta l’archiviazione dal procuratore e dal pm Giordano».

Alla fine della fiera, le carte perugine danno atto ad Amara che le ombre gettate sulla figura di Tinebra «in relazione all’omicidio» della fonte Oriente non sono affatto inventate, e che è veritiero «il dato storico dell’archiviazione decisa dal gip Ferrara del procedimento relativo anche al coinvolgimento di Tinebra». L’ex capo della procura e del Dap è morto ormai da sei anni, molti dei fatti sono vecchi di decenni, ed è improbabile che i pm di Messina possano fare nuove indagini per capire se davvero pezzi dello stato abbiano tradito Ilardo, oppure se Tinebra “aggiustò” i processi di Berlusconi. Ma per Cantone Amara della vicenda sa molto. Al netto dell’inutilità della storia in relazione alla volontà del pregiudicato di voler provare l’esistenza della fantomatica Ungheria.

 

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