Secondo Amnesty International le condanne a morte sono diminuite per via della pandemia, ma alcuni stati hanno continuato con le esecuzioni capitali. Rimangono i dati più bassi negli ultimi dieci anni. Due stati aboliscono la pena di morte. Cina in un caso ha applicato la pena di morte per reati legati alla prevenzione sanitaria
La pandemia non ha fermato le condanne a morte. L’ultimo rapporto di Amnesty International mostra una tendenza globale verso la diminuzione, ma alcuni stati hanno continuato nelle esecuzioni capitali nonostante il Covid-19 e hanno eguagliato se non aumentato il numero delle esecuzioni «mostrando un palese disprezzo per la vita umana proprio mentre l’attenzione del mondo era concentrata sulla protezione delle persone da un virus mortale».
Tra questi stati spicca l’Egitto che ha addirittura triplicato le esecuzioni rispetto al 2019, e la Cina che in almeno un caso ha applicato la pena di morte per reati connessi alle misure di prevenzione della pandemia. Nel caso di Pechino è complicato avere dati certi visto che la materia è considerata segreto di stato e perciò viene trattata con molta cautela.
Negli Stati Uniti dell’amministrazione repubblicana targata Donald Trump sono state emesse dieci condanne a morte in meno di sei mesi. L’ex presidente repubblicano ha ripristinato le esecuzioni federali dopo 17 anni. Recentemente un’inchiesta del Guardian ha evidenziato le spese folli degli stati repubblicani per i farmaci utilizzati per le esecuzioni.
«Mentre il mondo cercava il modo di proteggere le vite umane dalla pandemia, alcuni governi hanno mostrato una sconcertante ostinazione nel ricorrere alla pena capitale e ad eseguire condanne a morte», ha dichiarato Agnès Callamard, neo segretaria generale di Amnesty International ed ex funzionaria delle Nazioni unite. «La pena di morte è una punizione abominevole e portare a termine esecuzioni nel mezzo di una pandemia ne ha ulteriormente evidenziato la crudeltà – ha aggiunto – Contrastare la pena di morte è già difficile quando le cose vanno bene, ma la pandemia ha fatto sì che molti prigionieri nei bracci della morte non abbiano potuto incontrare di persona i loro legali e che molti che hanno cercato di fornire aiuto si sono dovuti esporre a gravi, e del tutto evitabili, rischi per la loro salute. L’uso della pena di morte in circostanze del genere è un attacco particolarmente grave ai diritti umani».
Amnesty International denuncia come la pandemia abbia avuto ricadute anche sull’accesso all’assistenza legale da parte dei detenuti. Più volte i legali negli Stati Uniti hanno dichiarato di non aver potuto svolgere attività di indagine cruciali o incontrare i loro clienti di persona.
I numeri
Amnesty International ritiene che la Cina ogni anno condanni a morte migliaia di prigionieri, seguita da Iran (almeno 246 esecuzioni), Egitto (almeno 107), Iraq (almeno 45) e Arabia Saudita (almeno 27). Questi ultimi quattro stati si sono resi responsabili dell’88 per cento delle esecuzioni note nel 2020.
Per quanto riguarda l’Egitto ci sono stati almeno 23 esecuzioni riguardo casi di violenza politica basate su processi irregolari e confessioni forzate affermano da Amnesty International. Tra ottobre e novembre sono stati messi a morte almeno 57 prigionieri, 53 uomini e quattro donne.
In Iran, invece, nonostante le esecuzioni siano diminuite rispetto agli anni precedenti vengono usate come arma di repressione politica nei confronti degli oppositori politici e dei manifestanti.
Secondo Amnesty International condanne a morte sono state emesse per reati di droga in Cina, Indonesia, Laos, Malesia, Singapore, Sri Lanka, Thailandia e Vietnam, per corruzione in Cina e Vietnam, per blasfemia in Pakistan.
In totale nel mondo sono state registrate almeno 483 esecuzioni, il 26 per cento in meno al 2019 e il 70 per cento in meno rispetto al 2015. Sono i dati più bassi di esecuzioni registrate da Amnesty International negli ultimi dieci anni. Questo calo è dovuto alla sospensione delle esecuzioni a causa della pandemia da Covid-19. Tra gli stati che hanno registrato una considerevole diminuzione ci sono l’Arabia Saudita (27 contro le 184 del 2019) e l’Iraq (45 contro 100) mentre nessuna esecuzione ha avuto luogo rispetto all’anno passato in Bahrein, Bielorussia, Giappone, Pakistan, Singapore e Sudan.
Chi ha abolito la pena di morte
Nel 2020 due nuovi stati hanno abolito al pena di morte: Ciad e Colorado, mentre in questo 2021 si è aggregata anche la Virginia. Il Kazakhistan si è impegnato per farlo e nelle Barbados è stata cancellata l’obbligatorietà della condanna alla pena capitale. «Nonostante alcuni governi si ostinino a usare la pena di morte, il quadro complessivo del 2020 è stato positivo. Sono aumentati gli Stati abolizionisti ed è diminuito il numero delle esecuzioni note. Il mondo è più vicino a consegnare ai libri di storia questa punizione crudele, inumana e degradante», ha commentato Callamard. «Alla fine del 2020 un numero record di 123 Stati ha approvato la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite per una moratoria sulle esecuzioni. La pressione sugli altri stati sta aumentando. La Virginia è da poco diventata il primo stato del sud degli Usa ad abolire la pena di morte, mentre il Congresso si avvia a esaminare svariate proposte di abolizione a livello federale», ha aggiunto.
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