I sondaggi sono talmente contraddittori e volatili, che per una volta non si potrà dire che hanno sbagliato. In Argentina ne hanno commissionati a decine, in vista del ballottaggio, ma è stato inutile.

Il voto, domenica 19 novembre, è il più incerto di sempre, e solo all’apertura delle urne l’Argentina saprà se il nuovo presidente sarà Sergio Massa, esponente dell’immortale peronismo, o Javier Milei, il “loco” della motosega, libertario, anarcocapitalista, addirittura un Hitler del nostro millennio, secondo i più terrorizzati.

La paura

Il ballotaggio è assai stretto, e quindi infuocato. C’è di tutto nella dirittura finale: accuse di brogli, spot televisivi da terrore, scontri tra tifoserie, appelli disperati porta a porta.

È la nuova polarizzazione della paura, come ha scritto il giornale La Nación. Fino al primo turno, almeno, la sfida era ovvia, quella tra il modello tradizionale anche se fallimentare, cioè Massa; e l’ outsider contro tutto e tutti venuto dal nulla, figura della nuova politica già apparsa a ogni latitudine, l’economista Milei.

Oggi invece entrambi i candidati cercano di terrorizzare l’elettorato, dipingendo come un incubo la propria eventuale sconfitta. Si parla di destino della patria, futuro della democrazia, si rimesta come fosse attualità un passato ormai lontano quattro decenni, dalla dittatura militare alla guerra per le isole Malvinas.

Dopo il primo turno

Partiamo allora dai numeri. Al primo turno, lo scorso 22 ottobre, Massa aveva superato Milei di sei punti, il 36,6 contro il 30 per cento.

Una sorpresa, perché ci si aspettava un finale più stretto, o addirittura una sconfitta di Massa, ministro dell’economia dell’attuale e fallimentare governo, seduto dietro a una scrivania che ha portato l’Argentina all’attuale 142 per cento di inflazione annua.

Milei, dal canto suo, perdeva quell’abbrivio che dal nulla l’aveva catapultato al primo posto nei sondaggi, colpito dalla propria inesperienza e dal colpo di coda della macchina clientelare peronista.

Nelle ultime settimane il fatto politicamente rilevante è stato l’appoggio del centrodestra liberale a Milei, che non era per nulla scontato. Tanto che lo schieramento dell’ex presidente Mauricio Macri e della terza collocata al primo turno Patricia Bullrich si è diviso sulla scelta e non tutti i voti del terzo polo (23,8 per cento) si sposteranno sull’outsider.

Per molti moderati l’appoggio all’estremista Milei è inconcepibile. Ma le sfide elettorali a due turni sono fatte così. All’uomo della motosega è arrivato l’appoggio inatteso anche di buona parte dell’imprenditoria e del potente mondo agricolo argentino: vale tutto pur di mandare a casa il peronismo della catastrofe economica.

Il candidato è nudo

Il confronto fra Milei e Massa (foto EPA/LUIS ROBAYO / POOL)

Nella retta per il ballottaggio il divario genetico tra i due è risultato ancora più evidente. Massa è un politico di lungo corso e senza scrupoli. Ha partecipato a nove delle ultime 11 elezioni in Argentina, tra presidenziali, parlamentari e locali. Ha detto tutto e il contrario di tutto, cambiato e rotto alleanze, è il peronista perfetto ma si presenta come diverso.

Milei invece ha sofferto il salto tra il personaggio tv conteso per la sua eccentricità e il candidato in giacca e cravatta alla carica più alta del suo paese. In alcune interviste ha dato prova di instabilità emotiva, come quando si è lamentato in diretta di sentire voci e colpi di tosse pur parlando in uno studio vuoto.

Ma dove ha subìto una lezione umiliante è stato nel terzo e ultimo duello televisivo con Massa, domenica scorsa. Per tutto il dibattito, il peronista ha attentamente evitato di parlare di proposte, limitandosi a domandare a Milei se davvero pensava (“si o no?”) di mettere in atto tutte le ricette proposte negli anni da economista iperliberale fuori dalla politica.

Milei, in chiaro imbarazzo, ha dovuto fare marcia indietro su quasi tutto. Non privatizzerà scuola e sanità, non toglierà i sussidi ai mezzi pubblici, non permetterà la vendita libera di armi da fuoco, non romperà le relazioni con paesi “comunisti” – tra i quasi includeva anche il vicino Brasile di Lula – e naturalmente non toccherà il tabù del calcio gratis in tv. Con artifici retorici, insomma, Massa ha svuotato l’agenda del rivale, comprese l’ancora nebulosa dollarizzazione dell’economia e l’idea di chiudere la banca centrale, lasciandolo nudo.

Una minaccia

Come se non bastasse Massa ha infilato il dito della piaga ricordando gli insulti di Milei a papa Francesco e la sua passione per Margaret Thatcher. Uno è l’argentino più popolare al mondo, l’altra è la leader mondiale più odiata, dopo la guerra per le Falkland-Malvinas e l’umiliazione subita nel 1983.

Nella propaganda tv Massa ha fatto anche di più mandando in onda video dove si vedono liti comuni finite in sparatorie e pozze di sangue (per allertare contro la liberalizzazione delle armi) e addirittura bambini trovati morti con la pancia aperta, solo perché Milei una volta aveva detto di essere favorevole al libero commercio degli organi.

Nel frattempo le organizzazioni per i diritti umani hanno continuato a rinfacciare a Milei, e soprattutto alla sua vice Victoria Villarruel, ancora più a destra di lui, le polemiche dichiarazioni sui desaparecidos dell’ultima dittatura militare. Dove le esecuzioni sommarie sarebbero da riscrivere nella narrazione di una guerra civile tra due fronti, il governo e i terroristi di sinistra.

Per il presidente uscente Alberto Fernandez, Milei è «una minaccia alla democrazia». Non si tratta soltanto delle opinioni sulla storia del paese, ma del tentativo di smantellare quello che nel bene o nel male è un modello di welfare in un continente dove esistono le disuguaglianze più marcate al mondo.

E qui torna l’antica suggestione dell’Argentina angolo europeo del Sudamerica, con le sue scuole e università gratuite e un livello culturale e scientifico prossimo al “primer mundo”. Come ha ribadito una marcia di personalità della cultura nel centro di Buenos Aires, per scongiurare la vittoria di Milei. La diversità argentina pagata al prezzo di uno stato perennemente fallito e una inflazione da secolo scorso, ma che per alcuni settori della società va mantenuta comunque.

Brogli

Con uno spot finale Milei ha cercato di moderare ulteriormente i discorsi del passato, ribadendo tutto quello che “non” farà, per rispondere alla campagna negativa e chiudendo con lo slogan per cui «la speranza vincerà la paura». Curiosamente è lo stesso motto fortunato che spianò la strada al brasiliano Lula nel 2002, nella sua prima ascesa alla presidenza.

In compenso Milei ha deciso di giocare una classica carta dell’estrema destra moderna, la denuncia preventiva di brogli elettorali. Non esiste alcun indizio che il sistema elettorale argentino sia difettoso, ma la campagna di Milei si è portata avanti. Giovedì ha presentato un denuncia accusando senza prove la polizia nazionale argentina di voler alterare il contenuto delle urne e i documenti a favore di Sergio Massa.

Una frode colossale è in cammino, ha detto Karina Milei, sorella e braccio destro del candidato, perché sono in combutta le forze di sicurezza e i potentati locali del peronismo. La società spagnola Indra, responsabile per il conteggio rapido, è sospetta in quanto nella sfera di influenza del premier socialista Pedro Sánchez. 

Il partito di Milei ha promesso di mobilitare nei seggi migliaia di militanti per controllare la regolarità delle operazioni di voto. Per molti osservatori è possibile che in caso di sconfitta di stretta misura, Milei si rifiuti di riconoscere il risultato, nello stile dei suoi modelli Trump e Bolsonaro.

Ma proprio perché l’esito è davvero incerto, la politica argentina sta iniziando a fare i conti anche con il salto del vuoto, cioè la vittoria di Javier Milei. È scontato che l’estrema destra non sarà in grado nemmeno di avvicinarsi alla maggioranza dei seggi in parlamento, che resterà comunque controllato dal soliti peronisti.

Per far passare almeno qualcuna delle sue riforme rivoluzionarie e alleggerire lo stato, Milei avrà bisogno di un paziente lavoro politico. Dalle fila del centrodestra moderato potrebbe sorgere la figura giusta per un compito quasi proibitivo. Anche Massa ha promesso che dopo una campagna elettorale da guerra civile metterà in piedi un governo di “unità nazionale”.

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