Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) i nove paesi dotati di armamenti nucleari – Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Corea del Nord e Israele – hanno passato il 2023 a modernizzare i propri sistemi d’arma, e in alcuni casi a espandere gli arsenali
Il numero di armi atomiche pronte per l’utilizzo sta aumentando in modo preoccupante. I nove paesi dotati di armamenti nucleari – Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Corea del Nord e Israele – hanno passato il 2023 a modernizzare i propri sistemi d’arma, e in alcuni casi a espandere gli arsenali.
A dirlo è lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), che nel consueto rapporto annuale ha sottolineato il ritorno della proliferazione nucleare, diretta conseguenza dell’invasione russa dell’Ucraina e della disinvoltura con cui Mosca minaccia l’uso dell’atomica.
Le minacce di Mosca
All’inizio dell’anno scorso Vladimir Putin ha annunciato la sospensione della partecipazione della Russia al trattato sugli armamenti strategici con gli Stati Uniti, l'ultimo accordo bilaterale rimasto dall’èra del disgelo (il New START), che aveva il fine di limitare il numero di testate delle maggiori potenze. Pochi giorni dopo il presidente russo ha annunciato il dispiegamento di armi nucleari tattiche in Bielorussia, e programmato un’esercitazione per usarle.
Delle 12.121 testate totali a livello globale stimate a gennaio 2024, il rapporto del Sipri sostiene che circa 9.600 erano stoccate per il potenziale utilizzo. Di queste, quasi 4mila erano in missili per aerei (60 in più rispetto all’anno precedente), il resto nei depositi. Altri 2mila ordigni erano in stato di allerta all’interno dei missili balistici. Quasi tutte queste testate appartengono alla Russia o agli Stati Uniti, che insieme possiedono il 90 per cento di tutti gli ordigni nucleari esistenti.
Secondo il Sipri l'aumento delle testate pronte all’uso è guidato da due fenomeni: la modernizzazione degli arsenali atomici da parte di Washington e Mosca, e l’espansione dell’arsenale cinese, che negli ultimi cinque anni è passato da 250 a 500 testate, con 90 nuovi ordigni costruiti solo nel corso dell’anno scorso. Inoltre, per la prima volta si ritiene che Pechino abbia messo alcune bombe in stato di allerta operativa.
A seconda di come deciderà di strutturare le sue forze, entro la fine del decennio la Cina potrebbe potenzialmente avere tanti missili balistici intercontinentali (Icbm) quanti ne hanno la Russia o gli Stati Uniti, anche se si prevede che le sue scorte rimarranno molto più piccole di quelle di entrambi.
L’arsenale della Nato
Stati Uniti e Regno Unito hanno aumentato significativamente la spesa per le armi atomiche. In base allo studio dell’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (Ican), nel 2023 il Pentagono ha speso 51,5 miliardi di dollari per il proprio arsenale di 5mila testate in servizio (di cui 1.700 collocate su vettori), un aumento del 17,2 per cento rispetto al bilancio del 2022.
L’anno scorso gli Stati Uniti hanno ripreso la produzione di ordigni atomici per la prima volta dal 1989, usando lo stesso laboratorio di Los Alamos dove negli anni ’40 venne costruita la prima bomba nucleare sotto la guida di Robert Oppenheimer. Anche il Regno Unito, che ha un arsenale di 225 testate di cui 120 su vettori di lancio, ha aumentato la spesa per i programmi atomici militari del 17,1 per cento, portandoli a 8,1 miliardi di dollari.
La Francia, che ha 290 testate quasi tutte schierate su portaerei, aerei militari e sottomarini, ha aumentato la spesa del 5,7 per cento portandola a 6,1 miliardi. Russia e Cina hanno invece speso rispettivamente 8,3 miliardi di dollari (+6,1 per cento) e 11,9 miliardi di dollari (+6,7).
Le altre potenze nucleari
Anche l’India e il Pakistan hanno continuato a sviluppare nuovi sistemi di lancio delle loro bombe atomiche. Per entrambi i paesi la deterrenza reciproca rimane al centro della dottrina nucleare, ma Nuova Delhi sembra stia ponendo maggiore enfasi sulle armi a lungo raggio, comprese quelle in grado di raggiungere obiettivi in tutta la Cina.
La Corea del Nord continua a dare priorità al suo programma nucleare militare come elemento centrale della sua politica estera. Il rapporto del Sipri sostiene che Pyongyang abbia assemblato circa 50 testate, e possiede abbastanza materiale per arrivare a 90 bombe atomiche pronte all’uso.
Si ritiene inoltre che Israele – che non riconosce ufficialmente di possedere armi nucleari – stia modernizzando il suo arsenale atomico, e potenziando il reattore per la produzione di plutonio a Dimona.
In termini assoluti quindi la quantità totale di testate esistenti a livello globale scende gradualmente man mano che le armi della Guerra fredda vengono smantellate, ma il numero di ordigni nucleari operativi continua ad aumentare, con una tendenza che non sembra destinata a fermarsi.
«Siamo in uno dei periodi più pericolosi della storia umana», ha commentato Dan Smith, direttore del Sipri. «Ci sono numerose fonti di instabilità – rivalità politiche, disuguaglianze economiche, sconvolgimenti ambientali, e una corsa agli armamenti in crescita. L’abisso è alle porte, ed è tempo che le grandi potenze facciano un passo indietro e riflettano. Preferibilmente insieme».
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