- Iper-attivo, decisionista, politicamente scorretto, fu il primo per il quale fu coniata la parola “pipolizzazione” della politica a causa della postura da star e le frequentazioni del jet set
- Voleva rompere con la politica paludata del passato, varare riforme improntate al liberismo. Prometteva, come Berlusconi, un maggior benessere per tutti. Ma ha finito per essere percepito come il presidente dei ricchi.
- Gli elettori non gli hanno perdonato gli eccessi quando era all’Eliseo. Il verdetto di colpevolezza è la pietra tombale su qualunque sua velleità di ritorno in stile conte di Montecristo
I francesi non sono solo capaci di tagliare la testa a un re ma anche di condannare al carcere, o almeno al braccialetto elettronico, un ex presidente della Repubblica. Sarà la sorte di Nicolas Sarkozy, salvo annullamento in Cassazione, pronosticato come molto difficile, di una dura condanna in secondo grado a tre anni, due con la condizionale e uno da scontare, per corruzione e traffico d’influenze.
È la parabola stupefacente, non ancora al punto finale di caduta perché mancano altri processi, del figlio di un immigrato ungherese che toccò la poltrona più alta di Parigi per poi sprofondare precipitosamente tra tradimenti, scandali, eccessi, con qualche sconfinamento, oltre che nei reati penali, nel cattivo gusto. Il tutto sul conto di un innovatore, termine non necessariamente positivo, della vita pubblica.
A cominciare da un uso spregiudicato del lessico. Non si era mai sentito, prima di lui, un ministro dell’Interno definire racaille, feccia, gli abitanti delle banlieue durante la rivolta del 2005. Racaille da spazzare via con il karcher, un elettrodomestico per la pulizia della casa. Mentre per lui è stata spesa per la prima volta la parola “pipolizzazione” della politica, causa l’attitudine a comparire con personaggi dello spettacolo su riviste leggere. Senza contare l’appellativo che gli rimarrà imperituramente attaccato “bling-bling”, dal rumore che fanno i gioielli, per definire la sua ostentata e disinibita frequentazione dei ricchi. Il contraltare a destra dei “bo-bo” (bourgeois-bohémien) della gauche caviar.
Origini aristocratiche
Figlio di immigrato, certo, ma di immigrato aristocratico, Nicolas Paul Stéhane Sarkozy de Nagy-Bòcsa, nato nella capitale francese nel 1955, in politica fin da quando aveva i calzoni corti nel partito neo-gollista, studente così così e senza diploma di perfezionamento post-laurea causa la traballante conoscenza dell’inglese.
Sindaco a 28 anni di Neuilly-sur-Seine, il comune preferito da professionisti, ambasciatori e attori, zona residenziale tra le più costose di Francia, ambiente in cui il primo cittadino si trova perfettamente a suo agio. Poco più che trentenne già deputato e ministro nel governo Balladur per fedeltà verso il quale entrerà in conflitto con il candidato ufficiale del suo partito alle presidenziali del 1995, Jacques Chirac. Un tradimento perdonato sette anni dopo, nel 2002, quando Chirac potrà contare anche sul suo appoggio per sconfiggere Jean-Marie Le Pen del Front National, destra estrema, arrivato clamorosamente al ballottaggio.
Premiato con il ministero dell’Interno, da questa poltrona prestigiosa costruisce il proprio personaggio sotto il segno della “rupture”, la rottura. Basta con le formule paludate, avanti con il politicamente scorretto che i francesi, spaventati dalle rivolte nelle aree disagiate, mostrano di apprezzare.
È il SuperSarko che promette ordine e disciplina, tolleranza zero nei confronti dei violenti e rassicura la pancia profonda del paese. Lancia, contemporaneamente, la sua dottrina neo-liberista a suon di slogan come meno tasse, lavorare di più per guadagnare di più. Nonostante siano i primi affondi contro quel welfare che i francesi amano non meno degli italiani la sua stella continua a brillare. Ma rupture significa anche un riavvicinamento agli Stati Uniti, dopo le incomprensioni e la distanza segnata dal duo Chirac-de Villepin per lo sciagurato intervento in Iraq; la fine della “francafrique”, cioè della politica neo-coloniale a favore di una Unione per il Mediterraneo che guardasse in modo diverso al Sud del mondo.
È l’apogeo della sua fama che sfocia nell’elezione all’Eliseo il 6 maggio 2007 contro la candidata socialista Ségolène Royal. La vittoria può dare alla testa, fin da subito. Sarkozy non trova di meglio se non festeggiare sui Campi Elisi da Fouquet, ristorante da centinaia di euro a coperto, con 55 invitati Vip espressione del potere economico e finanziario.
Dall’allora presidente delle Generali poi scomparso Antoine Bernheim all’ad di France Télécom Stephane Richard; dall’ad di Veolia ed Edf Henry Proglio all’imprenditore della Difesa e proprietario del Figaro Serge Dassault. Per non tacere di Vincent Bolloré, magnate dei media, oggi azionista di Telecom e Mediaset, sul cui yacht da 60 metri, il Paloma, parte poi per una crociera nel Mediterraneo. Un’ostentazione di potere e ricchezza da casta privilegiata che rompe da subito la luna di miele con il suo popolo. Tutto l’opposto della sobrietà che dovrebbe essere propria del capo dello Stato, istituzione certo ieratica nella percezione dei francesi, a patto che sia coperta senza eccessi e salvaguardando la misura. Né giovano, al consenso, le vicende private da prima pagina, il divorzio dalla seconda moglie Cecilia, il fidanzamento e le successive nozze con la modella italiana Carla Bruni, una saga pop che si attaglia più a un attore o a un calciatore che a un president de la République.
Promesse infrante
La crisi economica del 2008 è un duro colpo alla sua promessa, molto berlusconiana, di un maggior benessere per tutti e le difficoltà in cui si dibatte l’Esagono accrescono ancora di più il malumore per l’opulenza esibita da Sarkozy, ormai imprigionato nell’immagine di presidente dei più facoltosi. Nemmeno l’attivismo in politica estera, il conflitto scatenato in Libia nel 2011 per rovesciare il governo di Muhammar Gheddafi, di cui è stato tra i più convinti sostenitori, lo salva dalla sconfitta nel 2012 contro il socialista François Hollande.
La Francia è stanca del presidente superstar e sceglie un presidente “normale”. Entrambi, seppur in modo diverso, contribuiranno alla fine del bipolarismo tra destra e sinistra. E i rispettivi partiti, centrali nella Quinta Repubblica, finiranno per essere svuotati da una lato dalla destra lepenista, dall’altro dal combinato disposto del moderatismo macroniano e dell’estremismo melenchonista.
Non più presidente e, come vuole la legge, senza più alcuna immunità, l’avvocato Sarkozy viene flagellato da una serie di inchieste. Per lui, che respinge tutte le imputazioni, una persecuzione o una vendetta. Se le accuse verrano provate la prova di una condotta spregiudicata e reiterata nel tempo.
Il caso politicamente più spinoso riguarda il finanziamento della sua campagna elettorale del 2007 che sarebbe stata illegalmente e munificamente finanziata dallo stesso Gheddafi contro il quale aveva mosso guerra. Centinaia i documenti e le testimonianze raccolti dai giudici mentre l’inchiesta, partita nel 2013, non è ancora arrivata in aula.
Per finanziamenti illeciti riguardanti la successiva campagna presidenziale sfortunata del 2012, nel 2021 è stato condannato in primo grado a un anno di reclusione: è stato riconosciuto colpevole di aver sforato il tetto di 22,5 milioni di euro grazie a una serie di fatture false della società Bygmalion che gestiva la sua comunicazione.
Ora questa condanna a tre anni, con la pena accessoria dell’interdizione dai diritti civili e dunque l’ineleggibilità. Per la giuria di secondo grado Sarkozy è colpevole di aver promesso nel 2014 a Gilbert Azibert, all’epoca avvocato generale della Corte di Cassazione, il suo impegno perché ottenesse un importante incarico nel Principato di Monaco in cambio di informazioni sui casi giudiziari che lo riguardano. A tutto questo si aggiungono le sue relazioni pericolose con il Pakistan, il Qatar, la stessa Russia di Putin, relazioni molto chiacchierate anche se non sono provati reati specifici.
Lasciato l’Eliseo da più di dieci anni, Nicolas Sarkozy non è mai completamente uscito però dalla politica francese. Una parte della destra ancora lo rimpiange. Lo stesso Emmanuel Macron spesso ricorre a lui come consulente tanto che si è persino ventilata l’ipotesi che potesse nominarlo primo ministro, cosa che non si è verificata. L’ultimo verdetto potrebbe essere la pietra tombale su qualunque velleità di ritorno dal sapore conte di Montecristo. L’iper-attivo e intrepido decisionista che voleva cambiare radicalmente la Francia è ridotto a passare il tempo con nelle mani il codice penale.
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