- La Cina ha presentato richiesta di adesione al Comprehensive and progressive agreement for trans-Pacific partnership (Cptpp), l’area di libero scambio tra undici paesi.
- La potenza in ascesa e quella egemone nel Pacifico hanno messo in campo due strategie: la prima ricorrendo alla diplomazia economica, la seconda alle alleanze politico-militari.
- La richiesta di adesione di Pechino al Cptpp è arrivata il giorno dopo che, mercoledì scorso, Australia, Regno unito e Stati uniti avevano annunciato la nascita dell’alleanza militare Aukus, in funzione anti-Cina.
La Cina ha presentato richiesta di adesione al Comprehensive and progressive agreement for trans-Pacific partnership (Cptpp), l’area di libero scambio - operativa dal 30 dicembre 2018 - tra undici paesi che rappresentano il 13 per cento del prodotto interno lordo (Pil) globale.
Il Cptpp venne così rinominato dopo che, nel 2017, il presidente Trump ritirò gli Stati uniti dall’allora Trans-Pacific partnership (Tpp), voluta dal suo predecessore Obama nell’ambito del “Pivot to Asia”, la strategia finalizzata a spostare l’asse della politica estera Usa dal Medio Oriente all’Asia-Pacifico, per contenere l’ascesa della Cina. Il fatto che i membri dell’ex Tpp abbiano dato vita subito a un nuovo free trade agreement (Fta) senza Washington, testimonia la determinazione a proseguire lungo la strada della liberalizzazione degli scambi da parte dei paesi del Cptpp, tutti affacciati sul Pacifico: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam.
Il loro interesse converge con la strategia del Partito comunista per una globalizzazione 2.0, che prevede la centralità della Cina in nuovi Fta regionali, nonché la promozione di accordi multilaterali, per facilitare gli investimenti, le esportazioni e le importazioni cinesi nelle aree più dinamiche del globo, Asia in primis.
Liberalizzazioni indigeste
Pechino è già lo sponsor principale della Regional comprehensive economic partnership (Rcep), i cui membri hanno una popolazione complessiva di 2,2 miliardi di abitanti (il 30 per cento della popolazione globale) e che, nel 2019, hanno prodotto un Pil pari a 26 mila miliardi di dollari (il 30 per cento del Pil mondiale).
Rispetto a questo enorme Fta siglato il 15 novembre 2020 (in fase di ratifica, dovrebbe entrare in vigore l’anno prossimo) tra Cina, Giappone, Corea del sud, Australia, Nuova Zelanda e i dieci membri dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean), il Cptpp è più “avanzato”: oltre alla rimozione dei dazi sul 95 per cento delle merci scambiate, prevede standard di protezione ambientale e dei diritti dei lavoratori, assenti nella Rcep.
Alla Cina porrebbe ulteriori sfide, dal momento che richiede la ristrutturazione delle aziende di stato, e meccanismi di tutela della proprietà intellettuale.
Tramite i Fta Pechino persegue anche un obiettivo geopolitico: isolare gli Stati uniti nel commercio asiatico e trans-Pacifico. La partecipazione sia alla Rcep che al Cptpp permetterebbe infatti alla Cina - il mercato di gran lunga più grande all’interno di entrambi i Fta - di dettare le regole del commercio nell’area più dinamica del pianeta.
Per Washington sarà difficile recuperare terreno, perché - nonostante negli Stati uniti non manchino gli autorevoli inviti a Joe Biden a superare l’avversione di Trump per i Fta - l’idea che i grandi accordi commerciali internazionali abbiano impoverito la classe media, delocalizzando la produzione e distruggendo posti di lavoro - è orami diffusa e radicata nell’opinione pubblica americana.
Geoeconomia vs eserciti
La potenza in ascesa e quella egemone nel Pacifico hanno messo in campo due strategie: la prima ricorrendo alla diplomazia economica, la seconda alle alleanze politico-militari.
La richiesta di adesione di Pechino al Cptpp - per la quale è necessario il «sì» di tutti i paesi membri - è arrivata il giorno dopo che, mercoledì scorso, Australia, Regno unito e Stati uniti avevano annunciato la nascita dell’alleanza militare Aukus, in funzione anti-Cina, e incentrata sul Pacifico.
Lo scrutinio dell’application cinese (che potrebbe durare anni) rischia di essere complicato dai dubbi del Giappone, dai difficili rapporti col Canada (per il mese prossimo è attesa la sentenza della giustizia di Ottawa sulla richiesta di estradizione negli Usa del capo delle operazioni finanziarie di Huawei, Meng Wanzhou) e dalla crisi con l’Australia.
Nel maggio scorso Pechino e Canberra hanno sospeso il “dialogo economico-strategico” dopo che il governo australiano aveva chiesto un’inchiesta internazionale sulle origini del SARS-CoV-2. Canberra ha perfino stracciato un memorandum d’intesa sulla nuova via della Seta sottoscritto dallo stato di Victoria. La Cina ha alzato i dazi sull’importazione dei vini dall’Isola, assestando un duro colpo all’economia australiana. Infine è arrivato l’Aukus.
Nonostante tutto, i funzionari del Partito comunista continuano a fare lobbying sui parlamentari di Canberra, per convincerli degli «enormi vantaggi reciproci» del Cptpp.
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