La premier del Bangladesh, Sheikh Hasina, si è dimessa e ha lasciato la sua residenza. Lo riferiscono fonti di stampa del Paese, in cui da un mese sono in corso scontri violenti tra forze dell'ordine e movimenti studenteschi antigovernativi.

Secondo il capo dell'esercito, i militari formeranno un governo ad interim in seguito alle dimissioni di Hasina.

La premier bangladese ha lasciato il paese

Migliaia di manifestanti del Bangladesh hanno preso d'assalto il palazzo della premier nella capitale Dacca pochi minuti dopo che Hasina ha lasciato la sua residenza ufficiale, insieme alla sorella. 

Secondo la Cnn, Hasina avrebbe abbandonato Dacca in elicottero ed è atterrata ad Agartala, nell’India nord orientale, in cerca di «un luogo più sicuro». Secondo le fonti, la premier avrebbe avuto intenzione di registrare un discorso prima di lasciare il Bangladesh, «ma non ne ha avuto la possibilità».

Sabato la prima ministra si era detta disponibile a confrontarsi con i movimenti studenteschi, sostenendo che la porta di Ganabhaban, la residenza ufficiale del primo ministro, «è aperta» al dialogo.

«Nessuno di coloro che stanno compiendo violenze è uno studente. Sono terroristi», aveva dichiarato Hasina attraverso un suo portavoce, Sarwer-E-Alam Sarker.

La prima ministra aveva, inoltre, disposto da lunedì a mercoledì tre giorni di vacanze «generali» e coprifuoco nazionale.

Nonostante ciò, i leader dei movimenti studenteschi avevano dichiarato una campagna di disobbedienza civile nei confronti delle misure del governo, accusato di aver scatenato un'ondata di brutalità ingiustificata sui dimostranti durante lo scorso mese.

Il movimento degli Studenti anti-discriminazione, uno dei gruppi più attivi delle manifestazioni, aveva convocato una “marcia verso Dacca”; i dimostranti avevano imputato ad Hasuna l’ordine di uccisione di più di cinquanta studenti e ne avevano così chiesto le dimissioni.

Le radici delle proteste

Prima di trasformarsi in un ampio movimento antigovernativo quando la repressione si è fatta sempre più violenta, le contestazioni popolari miravano originariamente al selettivo sistema di assunzione della pubblica amministrazione del paese.

Il regolamento prevedeva, infatti, che venisse riservata una quota del trenta per cento dei posti pubblici disponibili ai figli e ai nipoti dei combattenti per la libertà del 1971, il dieci per cento alle donne, un altro dieci per cento basato sui distretti di provenienza e sulla popolazione, il cinque per cento alle minoranze etniche e l'uno per cento alle persone con disabilità.

Questo sistema era già stato oggetto di contestazioni nel 2008, nel 2013 e nel 2018. Durante le proteste del 2018, il governo, guidato anche allora da Hasina, aveva limitato queste quote ai posti di lavoro di classe inferiore, ma il 5 giugno di quest’anno l'Alta Corte aveva ordinato il ripristino delle regole pre-2018, scatenando nuovamente disordini nel paese.

Le proteste si erano placate temporaneamente dopo che la divisione d'appello della Corte suprema, il 21 luglio, ha annullato la sentenza del 5 giugno, riducendo le quote bloccate dal 56 per cento al sette per cento.

I disordini sono però poi ricominciati al fronte delle uccisioni e degli arresti degli studenti coinvolti e si sono intensificati dopo che l’esecutiva ha  accusato i principali partiti di opposizione di aver infiltrato estremisti violenti nei movimenti. Alcune delle organizzazioni studentesche coinvolte nelle proteste sono così state bandite, ai sensi della sezione 18 della Legge antiterrorismo bangladese del 2009.

I bilanci degli scontri

Lunedì a Dacca sono segnalati numerosi schieramenti di soldati e polizia a pattugliare le strade principali e barricare quelle che portano all'ufficio di Hasina.

Al momento, sono almeno trecento decessi dei disordini, secondo un bilancio dell'Afp. Solo oggi, dopo le dimissioni, almeno 56 persone sono state uccise; 44 dei morti erano stati portati all'ospedale dell'università di Dacca, ha comunicato l'Afp, riferendo che tutti riportavano ferite da arma da fuoco.

Anche i feriti sarebbero centinaia, secondo i media bengalesi. Le fonti locali affermano che le forze dell'ordine hanno fatto ricorso a gas lacrimogeni e proiettili in gomma sui manifestanti. Gli arresti potrebbero essere più di 2.800.

Qualche settimana fa il governo aveva anche disposto un blocco dell'accesso a internet sui dispositivi mobili. Facebook, la piattaforma più utilizzata dagli studenti per condividere informazioni sulle manifestazioni, è parzialmente inaccessibile nel paese.

Le reazioni internazionali

Nelle scorse settimane, numerose organizzazioni internazionali hanno denunciato le autorità bangladesi di aver usato una forza eccessiva contro i manifestanti, un'accusa a cui il governo ha risposto difendendo la propria gestione dei disordini. Il ministro degli Esteri bangladese ha negato che le forze di sicurezza abbiano sparato sugli studenti, e ha promesso indagini imparziali sugli atti di terrorismo.

Numerosi media, tra cui la Cnn, hanno accusato infatti l'esercito di aver sparato colpi di avvertimento nel cielo e verso i manifestanti; i materiali video, però, sono scarsi per il quasi totale blocco della rete internet nel paese.

Il responsabile dei diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Türk, ha chiesto la fine della «violenza scioccante» e ha esortato i politici e le forze di sicurezza del Bangladesh rilasciare coloro che sono detenuti arbitrariamente e ripristinare il pieno accesso a Internet.

«I continui sforzi per reprimere il malcontento popolare, anche attraverso l'uso eccessivo della forza e la deliberata diffusione di informazioni errate e l'incitamento alla violenza, devono cessare immediatamente», ha aggiunto Türk.

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