Ron Stodghill è un giornalista di Time, New York Times, Wall Street Journal e professore all’università del Missouri. È un esperto analista della comunità afroamericana di cui lui stesso è parte.


La popolazione americana è davvero così coinvolta con la situazione politico-sociale degli Stati Uniti? E gli afroamericani? Quanto c’è di vero al di là della narrazione dei media?

Immagino che in Italia ci sia la percezione che tutto il sistema americano stia cadendo a pezzi. In parte è così ma voglio premettere che questa è una nazione nata da uomini e donne ottimisti e non siamo abituati a gettare la spugna. La verità è che l’America è profondamente divisa. Ancor di più oggi con l’avvicinarsi delle elezioni e del loro esito. Su alcune questioni la gente ha ormai fissato un limite e non permetterà che si vada oltre. Mi riferisco alle questioni relativa alla razza, all’orientamento sessuale, ai diritti riproduttivi e all’ambiente. Per questo stanno aumentando le tensioni in molti stati. A tutto ciò si aggiunge questa maledetta pandemia. C’è chi dice che è preferibile rimanere a casa finché non sia finita e chi, invece, cerca di aggirare la scienza e godersela in libertà senza mascherina o altre protezioni. Per la cronaca io faccio parte del primo gruppo. Stiamo letteralmente combattendo per la nostra vita anche se c’è un senso di tristezza in questo modo di vivere. La buona notizia, se ce ne può essere una, è che siamo molto coinvolti ed eccitati per questo voto. Il paese è politicamente coinvolto come mai prima. L’unico precedente, a memoria, mi pare essere quello del 2008 con l’elezione di Barack Obama. Sarebbero già oltre 90 milioni le persone che hanno votato prima del 3 novembre. Un record.


Come è cambiata la partecipazione degli afroamericani rispetto alle presidenziali del 2008?

Io spero che gli afroamericani votino in massa perché ci siamo forse un po’ “seduti” nelle elezioni del 2016. C’è stato il record di elettori che hanno partecipato, ma la percentuale dei neri è precipitata per la prima volta in circa vent’anni. È stato piuttosto imbarazzante. Credo che il motivo sia attribuibile al fatto che non fossimo per nulla attratti dall’alternativa Hillary Clinton. Adesso stiamo pagando un caro prezzo per quel momento di “immobilità”. Dopo quattro anni di buffonate di Trump sono certo che la maggior parte degli americani desidera una seconda possibilità.


Alcuni sostengono che alle primarie gli afroamericani si siano innamorati di Joe Biden e l’abbiano premiato con un “black vote” monolitico. L’impressione, però, è che molti afroamericani non facciano distinzione tra le istanze di Bernie Sanders o di Biden perché non hanno mai realmente fatto affidamento su nessun “uomo bianco”.

Non sono certo che gli afroamericani si siano innamorati di lui, ma credo che nell’insieme, paragonato a Trump, ci piaccia abbastanza. Biden ha servito con capacità e competenza Barack Obama per otto anni, vanta una lunga e rispettabile carriera a Washington come senatore democratico, ha un rapporto forte con gli operai del paese, è passato attraverso una tragedia famigliare che crea un’empatia nella comunità afroamericana. Ma Biden rimane anche un bianco anziano nato in un determinato periodo storico e con determinati valori: senza dubbio alcuni di questi contrastano con molti interessi dei neri. In ogni caso, è il meglio che possiamo sperare per il momento. Nonostante mi manchi, a volte, la voce iper-liberale di Sanders, in mezzo a tutte le sparatorie della polizia, alle rivolte e alla pandemia, la sua candidatura appare come qualcosa che appartiene a un passato lontano, fuori tempo. In questo momento siamo tutti concentrati sulle ultime fasi della corsa tra Trump e Biden. Se Trump vincesse io e la mia famiglia potremo cercare una casa in Italia. Conosce qualcuno che affitti? Ironia a parte, non è insolito che certe idee di sinistra ottengano un largo consenso nelle prime fasi del ciclo elettorale. Gli afroamericani ad esempio sono piuttosto pratici e molti, semplicemente, non sono riusciti a immaginare Sanders come un candidato capace di ottenere il supporto da ambo le parti politiche.


Black lives matter ha avuto un ruolo molto importante nell’attirare l’attenzione del mondo sul razzismo e sulla violenza della polizia vero i neri negli Stati Uniti. In che modo il movimento sta influenzando la politica educando e facendo crescere la consapevolezza tra gli afroamericani?

A mio parere il movimento è importante e potente quanto la democrazia stessa. Con l’aiuto dei social media, o meglio dovrei dire “armato” dei social media, Blm ha fatto luce sull’ingiustizia sociale. Esattamente come i sit-in e le marce degli anni Sessanta avevano portato alla luce l’oppressione sociale e la violenza. Nonostante siano stati definiti come agitatori, il movimento è stato una forza che ha unito le razze e le generazioni. Le proteste sono state catartiche per molti di noi.


Qual è il vero gap di identità e prospettive tra la ricca e istruita comunità afroamericana e quella meno privilegiata?

Ci sono stati dei momenti, negli ultimi trent’anni circa, in cui la middle class black che stava crescendo può essersi sentita divisa dai loro fratelli e dalle sorelle con redditi più bassi. Ma la questione della brutalità della polizia ha messo in evidenza un fronte comune. Stiamo camminando insieme come non ho mai visto prima nella mia vita ed è meraviglioso. Certo, gli afroamericani hanno ancora un bel po’ di strada da fare prima di potersi dire davvero uniti. Una delle conseguenze negative del movimento per i diritti civili è quella di aver smantellato le comunità. La fuga di cervelli dopo il Civil Rights Act è stata significativa, così quella delle risorse finanziare che è seguita subito dopo. Così oggi molti neri della classe medio alta non hanno idea di ciò che succede nei loro vecchi quartieri, dove sono cresciuti i loro genitori e che ora sono lasciati allo sbando. Possono ancora alzarsi la domenica mattina, andare dal parrucchiere di quartiere o alla messa, ma per il resto vivono vite separate, distanti. Vite che non sono molto diverse dai quelle dei professionisti bianchi. La brutalità della polizia però, ha generato una specie di resa dei conti nella coscienza dei neri benestanti. Molti stanno ripensando ai loro valori originali, stanno sentendo la necessità di avere qualcosa di più di un’auto di lusso, di un’istruzione nelle università della Ivy League o di vacanze a Martha’s Vineyard. Stiamo gradualmente cercando un senso di comunità, non basata sulla ricchezza e l’educazione scolastica, ma sulla nostra lotta comune che ora sappiamo andare oltre il reddito.


Come viene percepita Kamala Harris? Ci sono state molte polemiche sul suo ruolo e sul suo passato.

In larga parte credo che gli afroamericani siano orgogliosi della Harris. È stata magistrato e procuratore generale e sappiamo che il sistema giudiziario non è mai stato morbido nei confronti dei neri in questo paese. Ma lei accoglie la sua eredità e si sente parte della nostra comunità: ha frequentato un college storicamente nero alla Howard University ed è un membro orgoglioso della Sorellanza Nera Alpha-Kappa-Alpha. La Harris vanta solide credenziali in qualunque discussione sulla razza in America. Ci stiamo mobilitando per lei, ci stiamo stringendo intorno a lei. Kamala Harris sarà (e dico sarà) una magnifica sostenitrice per l’HBCUs (l’associazione delle università storicamente afroamericane ndr). A essere onesto credo che nessuna delle precedenti amministrazioni abbia guardato ai college e alle università storicamente afroamericane come qualcosa di più di una foto ricordo, per convenienza politica. C’è bisogno di molto di più di discorsi politici per rimanere vivi e vitali. Le università hanno bisogno di risorse.


Quanto sono coinvolte le università black con le comunità, le chiese e la politica?

I black college sono la linfa vitale della nostra comunità. Non solo per i grandi nomi come W. E. B. Dubois o Martin Luther King Jr, Spike Lee, Toni Morrison o Alice Walker che devono molto del loro successo ai college. Sono più che semplici istituzioni black, sono istituzioni americane. Dei quasi cento presenti in tutto il paese, almeno la metà sono state finanziate da istituzioni pubbliche e i contribuenti, bianchi e neri nella stessa percentuale, hanno un partecipato al loro successo.

Sta lanciando un progetto ambizioso: Detour - Best Stories in Black travel. Sarà un portale web multimediale che raccoglierà i migliori scrittori, giornalisti, storici, illustratori e fotografi, registi per raccontare la storia degli afroamericani con autenticità, precisione e approfondimento. Sembra bellissimo, come è nato?

È facile essere negativi in questi giorni, ma mi rifiuto di soccombere sotto la maledizione del disincanto e dell’impotenza. Questo è il concetto dietro il progetto Detour. Ho passato molta parte della mia carriera a scrivere di Black eccezionali per il New York Times, Time, Business Week, WSJ Magazine.
Detour, che lancerò nella prossima primavera, intende essere un antidoto, una correzione alla falsa narrazione dei black nel mondo. I nostri contributi attraverso tutto il globo e attraverso i secoli nell’arte, nella cultura, nella scienza, nell’intrattenimento, la politica e lo sport sono stati niente di meno che straordinari. Queste storie non son state narrate e quando lo sono state è stato spesso attraverso la lente distorta della superiorità bianca.  Mi piacerebbe molto che Detour pubblicasse e creasse un legame tra gli Italiani neri e la più allargata comunità nera globale.

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