Nel 2001 Bill Emmott era il direttore del settimanale britannico The Economist. Silvio Berlusconi si preparava a tornare a palazzo Chigi e, in piena campagna elettorale, la rivista aveva deciso di “avvertire” gli italiani che l’ex Cavaliere era «unfit to lead Italy», «inadatto a guidare l’Italia». Un titolo di prima pagina che aveva generato numerose polemiche e che, letto a quasi vent’anni di distanza, non sembra aver prodotto alcun effetto.

Siamo nel 2021 e Berlusconi è ancora un protagonista delle cronache politiche.

Credo che sia notevole come Berlusconi sia riuscito a diventare il grande sopravvissuto della politica italiana. Chiaramente essere miliardario e poter disporre delle sue risorse, tra cui i media, aiuta. Ma vent’anni fa, quando abbiamo pubblicato il titolo “Unfit to lead Italy”, sarei rimasto stupito se mi avessero anticipato che nel 2021 Berlusconi sarebbe stato ancora un attore rilevante.

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Eppure è così. Come è stato possibile secondo lei?

La sua strategia di sopravvivenza ha molto a che fare col denaro, ma ha anche dimostrato molta flessibilità, oltre alla capacità di comprendere l’evoluzione del potere e di come incidere politicamente. Ha deciso di voler essere regista politico e ago della bilancia e ha adeguato il suo modus operandi a questa scelta.

Più camaleonte, quindi, che caimano?

Sa essere estremamente flessibile. Quello che ci ha sempre colpiti come osservatori stranieri era la sua mancanza di ideologia o princìpi. Non ha mai avuto un vero programma politico se non quello di difendere sé stesso e i suoi interessi economici, né un’agenda politica se non quella di rimanere al potere e farne uso. Non bisogna dunque stupirsi del fatto che una persona priva di un’agenda politica sia capace di essere così flessibile.

Crede che sia in atto una sua riabilitazione politica?

No. Se si elencano i suoi peccati, i suoi crimini finanziari, la sua volgarità, la sua misoginia, i suoi comportamenti con i leader internazionali, non credo sia stato riabilitato. Ma quel suo modo di essere è divenuto meno importante e di conseguenza ora viene ignorato. Anche per lui è meno rilevante: in passato ha usato la sua notorietà e il suo rapporto con donne sempre più giovani in maniera intenzionale nelle sue campagne elettorali. Oggi non lo vediamo più in televisione con gruppi di diciassettenni come eravamo abituati a fare negli anni 2000 perché non è più importante per lui: è come se si fosse riabilitato da sé. Non è più interessante neanche per gli osservatori stranieri, visto che non è più in corsa per essere presidente del Consiglio. Potrebbe tornare a esserlo se fosse realmente in corsa per la presidenza della Repubblica.

Pensa abbia delle possibilità di essere eletto?

Credo che abbia dimostrato la sua coerenza nel voler infrangere le regole. Ha già disatteso la convenzione che prevede che non si faccia esplicitamente campagna elettorale per essere eletto presidente della Repubblica. Ha mostrato di essere ancora un trasgressore alla maniera di Donald Trump o Boris Johnson. Lui è il modello originale, e continua a trasgredire. Se avesse davvero possibilità di essere eletto sarebbe molto dannoso per la reputazione internazionale dell’Italia. Sarebbe come tornare di dieci o vent’anni e questo danneggerebbe il paese. Certo, Trump e Johnson ci hanno insegnato che non è saggio dire “mai” ed “è impossibile”, ma non credo che abbia davvero possibilità di essere eletto.

Però lui sembra crederci parecchio.

Credo stia facendo di tutto per creare almeno una piccola possibilità di essere eletto. Vista la sua età, è la sua ultima occasione. Quindi dal suo punto di vista conviene tentare.

Che ruolo ha avuto la stampa estera nella carriera di Berlusconi? Non crede che lo abbia favorito?

Innanzitutto, credo che il ruolo della stampa estera, tra cui l’Economist, in quegli anni, fosse quello di uno strumento usato da partiti e organi di stampa nel dibattito politico italiano. Siccome i media italiani nei primi anni erano riluttanti a opporsi a lui o a chiedergli conto delle sue responsabilità a causa del suo potere, hanno usato la stampa estera e noi abbiamo dato il nostro contributo. Credo che il modo in cui abbiamo raccontato Berlusconi e reagito a lui abbia aiutato a compromettere la sua reputazione in Italia. Credo anche che quest’opinione critica, ampiamente condivisa all’estero, abbia aiutato a bucare l’illusione che era così bravo a creare. Siamo stati uno degli elementi che hanno dato origine delle manifestazioni che poi sono arrivate nel 2011, quando ha lasciato palazzo Chigi. Avrebbero avuto luogo in ogni caso, ma abbiamo contribuito a dare fiducia soprattutto ai più giovani.

Dopo dieci anni, però, siamo ancora qui a parlare di Berlusconi...

Credo che sia ancora rilevante perché continua ad avere il 10-12 per cento dei voti. Ci sono due ragioni per questo. Da un lato è riuscito a mantenere il controllo del suo “fan club”, Forza Italia – il suo partito personale che è ben organizzato nel paese – e non ha permesso che ci fosse un suo successore. Dall’altro è un miliardario con una forte influenza sui media. Il termine di paragone è Matteo Renzi: anche lui ha un partito personale che non ha altro scopo se non gli interessi di Matteo Renzi, ma raccoglie solo il 3 per cento dei consensi. Berlusconi è stato al potere più a lungo, ha avuto più tempo per creare seguito, ma la differenza di fondo è il fatto che ha denaro e media.

Cosa pensa della copertura mediatica internazionale che sta accompagnando il governo di Mario Draghi?

Draghi è arrivato con una reputazione già molto forte. Grazie alle conoscenze maturate durante il suo periodo alla Bce aveva già relazioni preesistenti con Economist, Financial Times, New York Times e così via. È difficile parlarne male perché è una persona piena di integrità. Se dovessi però muovere una critica alla stampa internazionale sarebbe quella di non aver colto, magari anche a causa della modalità in cui lo racconta la stampa italiana, il fatto che Draghi gestirà uno scampolo di legislatura molto breve. Gli articoli elogiativi rappresentano una valutazione a brevissimo termine, visto che dopo febbraio si potrebbe andare a elezioni in qualsiasi momento e a quel punto potrebbe andare al potere qualcun altro. Si tratta dunque di un’analisi molto superficiale del suo contributo, che pure è significativo, considerato che gestisce il Pnrr.

Crede che gli italiani diano particolare peso alla stampa straniera?

Credo che la copertura della politica italiana sia eccessivamente drammatica e molto costruita sulle singole persone. Si parla solo di persone, non di linea politica o aspetti pratici. Questo fatto ha portato a un’oscillazione emozionale tra due estremi, uno eccessivamente ottimistico e l’altro eccessivamente pessimistico, dei media italiani. Il panorama mediatico italiano è anche molto politicizzato, e questa è la ragione per la quale la stampa estera è usata come uno strumento. I media internazionali sono un mezzo comodo, un ingrediente utile in queste montagne russe emozionali che sono la cifra stilistica del racconto della politica in Italia.

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Un’emozione forte di durata brevissima.

Esatto, credo che ci sia grande enfasi sul breve periodo. Potremmo ragionare da psicanalisti e attribuire questo fatto allo scetticismo degli italiani nei confronti del concetto di stato e governo e alla loro idea che un lungo termine non possa esistere perché il cinismo nei confronti di questi elementi fondanti è eccessivo per far sì che si realizzi, ma forse ci spingiamo troppo oltre.

 

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