- Il presidente americano parla di crimini di guerra commessi a Bucha, esortando gli europei titubanti a fare di più per colpire la Russia. In questa guerra ha già dimostrato che le sue parole vanno prese alla lettera.
- Con una formula prudente, Luigi Di Maio ha detto che l’Italia non metterà «nessun veto» a un eventuale embargo a livello europeo, sapendo bene che una decisione comune non potrà che passare da Berlino.
- Nella crisi ucraina, Biden è stato vittima di un equivoco analogo. Gli scenari esposti sono stati presi per artifici retorici, quando invece erano soltanto le previsioni di chi vede qualcosa in più degli altri, compresi gli alleati beninformati che al dunque tentennano.
Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha detto che a Bucha sono stati commessi «crimini di guerra», invitando tuttavia a raccogliere scrupolosamente le prove di ciò che l’evidenza suggerisce per sostenere un regolare procedimento giudiziario contro Vladimir Putin, quando verrà l’ora di fare i conti.
Per il momento, gli abomini che si sono lasciati alle spalle i soldati russi nelle periferie di Kiev aggiungono nuove ragioni per «continuare a dare agli ucraini le armi di cui hanno bisogno per continuare a combattere» e per sanzionare più intensamente la Russia.
La prudenza tedesca
Il messaggio è rivolto in particolare ad alcuni alleati europei che condannano con convinzione le atrocità, ma quando si tratta di prendere iniziativa spiegano che «al momento non è possibile tagliare le forniture di gas», come ha fatto ieri il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner.
Con una formula prudente, Luigi Di Maio ha detto che l’Italia non metterà «nessun veto» a un eventuale embargo a livello europeo, sapendo bene che una decisione comune non potrà che passare da Berlino.
Certo, non tutti i paesi hanno la libertà strategica della piccola e risoluta Lituania, che dopo aver chiuso con il gas russo ieri ha cacciato l’ambasciatore e declassato i rapporti diplomatici con Mosca, ma nella logica incrementale della comunicazione di Biden il passaggio al «criminale di guerra» non va sottovalutato.
È vero: il presidente non si è spinto fino a pronunciare la parola «genocidio», come ha fatto Volodymyr Zelensky, ma a quello ci ha pensato Timofey Sergeytsev, aedo del Cremlino che in un lungo articolo sulla pravdesca agenzia Ria Novosti ha spiegato nel dettaglio che la «denazificazione» implica necessariamente la «de-ucrainizzazione», qualcosa di simile a una pianificata epurazione di un intero popolo colpevole.
Sergeytsev è lo stesso che in un libro di qualche anno fa spiegava che l’occidente ha un piano per la «degradazione controllata dell’umanità». A volte sono gli stessi avversari a rivelare apertamente l’atrocità dei propri piani a chi ha la pazienza di leggere o ascoltare i loro sproloqui.
Errori di interpretazione
Le parole di Biden sulla guerra in ucraina sono state spesso prese sul serio ma non alla lettera. Si pensava che le previsioni che snocciolava prima dell’invasione fossero esagerazioni, iperboli retoriche concepite per fomentare un clima più belligerante di quanto i fatti sul campo potessero giustificare. Perfino Zelensky all’inizio dubitava, dicendo che «troppe informazioni» servivano soltanto a seminare paure sproporzionate.
Quaranta giorni di guerra hanno mostrato che le parole del presidente sono invece descrizioni di ciò che sta per accadere fondate su solide informazioni fornite dall’intelligence più preparata del pianeta. E come tali vanno lette.
Quando ha definito Putin un «macellaio» si è detto che era caduto in uno dei suoi tipici eccessi verbali; le immagini dei cadaveri di Bucha testimoniano che non era così. Il passaggio sul regime change nel discorso di Varsavia ha mandato in fibrillazione anche lo stesso apparato, con la Casa Bianca e la segreteria di Stato che si sono affrettate a chiarire e perimetrare l’aggiunta a braccio del presidente.
È stato poi lo stesso Biden a spiegare che non si rimangiava nulla di quello che aveva detto, semplicemente si trattava dell’espressione del suo disgusto morale verso Putin, non dell’annuncio di una nuova linea politica.
Il passaggio alla formula del «criminale di guerra» rende anche quel richiamo al presidente che «non può rimanere al potere» una descrizione di uno stato di fatto più che una svirgolata verbale dettata da troppa emotività.
La lezione di Trump
Quando Donald Trump è stato eletto alla Casa Bianca i repubblicani che volevano farselo andar bene a forza dicevano che le sue sparate andavano prese sul serio, ma non alla lettera. Questo errore di interpretazione è culminato con l’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio 2021, quando ancora qualcuno si ostinava a credere che non intendesse davvero aizzare i manifestanti a prendere d’assedio il Congresso.
Nella crisi ucraina, Biden è stato vittima di un equivoco analogo. Gli scenari esposti sono stati presi per artifici retorici, quando invece erano soltanto le previsioni di chi vede qualcosa in più degli altri, compresi gli alleati beninformati che al dunque tentennano.
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