Se n’è parlato. Ma, a mio modo di vedere, non col giusto risalto data la gravità dell’episodio, che ha visto la Gran Bretagna attraversata da una caccia all’uomo, che, anche nei modi, ha molte assonanze con la caccia all’ebreo scatenata in Daghestan agli esordi del conflitto a Gaza.

Tanto per ricordare che la nostra “civilissima” Europa non è poi così dissimile da aree del mondo che noi, ancora in preda a un eurocentrismo post-illuminista, consideriamo sottosviluppate.

Anche in questo caso, si è trattato di una fake news diventata virale grazie a un sapiente uso dei social network, questa volta orchestrati dall’attivista dell’estrema destra inglese Stephen Christopher Yaxley-Lennon, alias Tommy Robinson, influencer "nero” forte del suo quasi milione di follower.

I fatti sono noti: diverse città del paese sono state avvolte in un clima da guerriglia urbana, con negozi incendiati, vetrate distrutte, poliziotti feriti a seguito delle invenzioni propinate su un tragico omicidio a Southport.

Islamofobia

Va chiarito un punto: non si tratta di generica xenofobia, ma di islamofobia. Questo male che affonda le radici nell’antica lotta fra l’Europa cristiana e il Medio Oriente musulmano, che per secoli si sono contesi intere aree del pianeta, con epicentro la città santa di Gerusalemme.

Scontro egemonico fra civiltà imperiali, che, dalle nostre parti, ha alimentato l’immaginario dell’islam come religione della spada e del musulmano come feroce saladino pronto ad assalire l’Europa spinto dalla sua sete di conquista.

Un sentimento di paura, che, quasi per associazione di idee, si è nel tempo intersecato con un sentimento suprematista da apartheid sudafricana, per cui i neri sono considerati alla stregua di animali in preda a istinti primari. Che poi, ognuno definisce i colori a modo suo, come ci ha insegnato Wittgenstein. 

Immagini sedimentatesi in dati culturali e persino psicologici, deflagrate nuovamente nel mondo post 11 settembre e spinte dall’ondata migratoria successiva alla destabilizzazione creata nel Mediterraneo dalle rivolte arabe del 2011.

La propaganda della destra

Momenti dove erano chiaramente riconoscibili gli antichi argomenti sotto le nuove spoglie di bislacche teorie della sostituzione, più che altro utili per fare la fortuna di scrittori e case editrici.

Raramente si sono raggiunte simili indecenze, da noi propinate in lungo e in largo da esponenti della destra parlamentare, che svolgono nel nostro paese il ruolo incendiario di un Nigel Farage in Gran Bretagna.

Ovviamente, all’abbisogna pronti a riciclarsi come camera di compensazione di una rabbia sociale che altrimenti sarebbe ben più distruttiva. È vero piuttosto il contrario: la loro costante e becera propaganda legittima la protesta violenta, che può permettersi di essere tale anche per l’appoggio popolare che spesso la circonda.

Non sono razzista, ma… La violenza è da respingere, ma… In questo scenario, che sfrutta un immaginario collettivo sedimentato in secoli di storia, c’è chi ha avuto l’ardire di puntare il dito contro la presunta acquiescenza del governo Sunak nei confronti dell’azione di guerra israeliana a Gaza.

Vicinanza strumentale

Come se la storia di questo primo quarto di nuovo millennio non fosse scandita da una miriade di episodi simili e come se l’islamofobia non fosse da anni un costante serbatoio di voti per l’estrema destra razzista e xenofoba.

Quando si dice, buttarla in vacca, oltre che avallare, magari inconsapevolmente, la strategia politica di questa destra, che, se mai si è avvicinata a Israele e all’identità ebraica, lo ha fatto in termini biecamente strumentali, senza nemmeno tentare di recidere i legami con il proprio recentissimo passato nazo-fascistoide.

Lo avevano, invece, ben capito gli organizzatori della marcia contro l’antisemitismo svoltasi a Londra il 22 novembre scorso, che hanno chiesto al su citato Yaxley-Lennon di non partecipare perché non gradito.

Si ricordavano bene del suo infame articolo del 2022, Tommy’s Statement: The Jewish Question. Partendo con un attacco viscerale all’Anti Defamation League, Robinson finiva con lo strizzare l’occhio alle tradizionali teorie cospirazioniste sugli ebrei che controllano Hollywood e i media globali.

Ciò che dimostrano gli eventi britannici è, piuttosto, il fatto che antisemitismo e islamofobia sono vasi comunicanti. Con una differenza: se dopo la Shoah è tabù dichiararsi antisemiti anche se si parla come loro, ci si veste come loro, ci si comporta come loro, ti puoi allegramente candidare alle elezioni con un programma islamofobo. Forse è venuto il tempo di dare riconoscimento giuridico anche a questa forma di odio dell’altro.

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