A subire il colpo sono le raffinerie italiane che esportano verso il sud-est asiatico, mentre festeggiano gli armatori che hanno navi liberi e disponibili. Non preoccupa il petrolio, bensì una spinta inflazionistica sui beni di consumo
In mezzo al Mar Rosso spiccano i colori verde, rosso, blu e nero. Sono le navi mercantili rimaste bloccate in attesa del salvataggio della Ever Given, il cargo rimasto impantanato nel canale di Suez. Trasportano merci di ogni tipo: petrolio, giocattoli cinesi, farmaci, pezzi dell’industria automobilistica, beni alimentari e prodotti semi lavorati e tecnologici. Chi più ne ha più ne metta. L’attesa dura già da quattro giorni e c’è chi mette in guardia sui potenziali risvolti economici derivati da questo incidente.
Matteo Terrevazzi è un economista energetico italiano, vive ad Abu Dhabi con la sua famiglia. Da dietro la telecamera spiega che il problema di questo “pit-stop” temporaneo «non è tanto l’approvvigionamento del petrolio, a quello ci pensano le pipeline saudite che in qualche modo by passano il canale, quanto l’industria della raffineria». Infatti, Suez non spicca tra i luoghi di passaggio in cui viene trasportato un grande quantitativo di barili di petrolio, è attraversato da poco più di 4,5 milioni di barili ogni giorno. Nulla in comparazione con lo stretto di Hormuz o di Malacca.
Inoltre, il mercato del petrolio è abituato e preparato agli shock. «Il sistema europeo per legge dovrebbe avere 90 giorni di riserva di greggi». Tutti tranquilli, quindi, non rischiamo di trovarci senza benzina.
«Sono i prodotti petroliferi come il gasolio e la benzina che dall’Europa, paese in cui c’è un surplus di produzione, vanno verso l’Asia» a entrare in crisi. Le raffinerie più penalizzate sono quelle mediterranee di Spagna, Francia e Italia che si basano su un traffico di commercio nord-sud. «Parliamo della Saras in Sardegna, delle raffinerie dell’Eni in Sicilia e Puglia» spiega Terrevazzi. Grandi multinazionali che ora si trovano con dei beni imbarcati e dovranno reinventarsi facendo il giro più lungo passando per il capo di Buona Speranza.
Questo comporta che le aziende non venderanno i prodotti agli stessi margini di profitto. Se il blocco persiste, «dovranno quindi rallentare la produzione o cercare di vendere i prodotti in aree in cui hanno meno guadagno» spiega l’economista, e alla fine si troveranno a dover gestire, per un qualche periodo di tempo, un impatto sulla loro profittabilità.
Per quanto riguarda il mercato del gas, non ci sono grosse tensioni o preoccupazioni. Anche questo è un mondo che va da nord a sud, «c’è un’alta produzione egiziana e algerina verso l’Asia, ma a livello di bilancio mondiale un blocco di una settimana non dovrebbe avere ripercussioni grosse nel mercato».
Le navi libere
La situazione più interessante è che ora le aziende si trovano con meno navi a disposizione. «Se i cargo ci mettono due settimane in più a raggiungere i porti di arrivo, in quel periodo di tempo lo stesso carico di merce deve essere portato da due navi anziché una. I cargo che ora cambiano rotta o che sono ancora bloccati, li avresti potuti avere in un porto disponibile per caricare e scaricare container» dice Terrevazzi. Questo significa che nei porti europei rischiamo di trovarci migliaia di container impilati vuoti, che hanno lasciato le merci cinesi e non ne hanno più da caricare. Si rischia «un blocco delle ottimizzazioni che ha creato la globalizzazione negli ultimi trent’anni – continua – è un mondo sul filo del rasoio, un mercato estremamente ottimizzato e che si gioca su un profitto marginalissimo per ogni singolo prodotto».
Il guadagno, quindi, arriva da un’economia di scala che se si interrompe rischia di far saltare il banco. Un ulteriore elemento di debolezza, deriva dalla pandemia che ha allungato i tempi di carico e scarico con le nuove procedure sanitarie e di sanificazione dei mezzi.
«Ci saranno, quindi, forti spinte inflazionistiche sui costi delle navi, avere un mercantile che non è bloccato ed è disponibile ha un costo ed è un’opportunità» spiega l’economista. Questo si traduce in un grande profitto per gli armatori, in particolare quelli scandinavi.
Gli impatti sul medio-lungo periodo
Il quadro complessivo che provoca spauracchio è «che il blocco temporaneo associato a tanti altri elementi critici che sta vivendo in questo momento l’economia, rischia di aumentare i prezzi dei beni: da quelli degli alimenti a quelli della componentistica delle auto». Terrevazzi sostiene che se il blocco non si supera in 7-10 giorni vedremo effetti inflazionistici anche nei carrelli della spesa italiani. Nulla di estremamente preoccupante, ovviamente, non ci sarà assolutamente una recessione, ma dieci giorni di blocco iniziano a pesare sull’economia, perché «l’effetto trascinamento dei prezzi è più che esponenziale» spiega. È convinto che «l’incidente porterà a un ripensamento ulteriore della globalizzazione». Le aziende cercheranno di avere più scorte, cosa che è già successa con la pandemia. Si allungheranno gli inventari e questo comporta tutta una serie di costi in più sul prodotto finale che sarà venduto al cliente.
Le responsabilità del governo egiziano
Quello che fa scalpore è l’inadeguatezza delle autorità egiziane nel gestire una situazione di emergenza di questo tipo. Non si tratta del primo pantano da risolvere. È già accaduto nel 2008 con una petroliera russa e nel 2017 con un cargo giapponese. La foto circolata su Twitter, che ritrae una piccola ruspa intenta a dragare il terreno sotto la nave imponente ha suscitato l’ironia degli utenti. «È come il secchiello per costruire i castelli» dice Terravazzi. «È evidente che non c’era un piano di emergenza e ora si sta facendo un all-in chiamando i migliori dragatori e aziende di operazioni di soccorso» aggiunge. Anche la comunicazione è stata sbagliata fin dall’inizio: «si è parlato di un blocco di poche ore, poi diventato giorni e ora rischia di diventare settimane. C’è una responsabilità evidente delle autorità egiziane» conclude. L’incidente impatterà sulla reputazione dell’autorità nazionale gestore del canale di Suez, che ora non solo si ritrova a elargire risarcimenti milionari, ma dovrà anche creare un piano di risposta emergenziale per essere affidabile. Ciò comporta un aumento dei costi ulteriori derivato dall’acquisto di attrezzature per il dragaggio in caso di altri eventi simili. In poche parole, l’Egitto ne esce sconfitto e l’economia mondiale ha ricevuto, per ora, un debole destro in faccia.
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