- Dobbiamo essere più saldamente atlantici e intransigenti o sfruttare la storica reputazione di filorussi per mediare con Mosca? Nessuno ha titolo per elaborare la strategia.
- L’Italia si ripara sempre dietro la politica europea: non c’è veramente bisogno di un protagonismo nazionale, basta allinearsi con la posizione di Bruxelles, della Commissione e del Consiglio
- Ma in assenza di una chiara strategia nazionale, la politica estera italiana (anche in questa crisi) finisce per essere influenzata dai grandi interessi economici.
Comincia a diventare un po’ imbarazzante l’assenza di leadership italiana nella gestione della tragedia ucraina. Non è una questione di orgoglio patrio, ma di efficacia: bisogna fermare le bombe e salvare vite e l’Italia di Mario Draghi non sta dando un contributo percepibile.
Al di là delle responsabilità dei singoli, c’è un problema strutturale: l’Italia ha rinunciato da tempo a elaborare una strategia coerente che tuteli l’interesse nazionale o i valori universali che il paese sposa, a seconda di quale priorità si scelga.
Provate a chiedervi: chi decide la linea da tenere verso Vladimir Putin e l’Ucraina resistente? La risposta non c’è. In queste situazioni complesse ci sono interessi confliggenti, tutti legittimi: bisogna aiutare la resistenza ucraina a combattere, ma bisogna anche fare di tutto per fermare il conflitto (e mandare armi può prolungarlo), è necessario tutelare le famiglie italiane che hanno bisogno del gas per il riscaldamento e le imprese che altrimenti fermerebbero la produzione, ma dobbiamo pure togliere a Putin l’arma di ricatto dei tubi. Come si arriva alla sintesi?
Dobbiamo essere più saldamente atlantici e intransigenti o sfruttare la storica reputazione di filorussi per mediare con Mosca? Nessuno ha titolo per elaborare la strategia.
Pensiero debole
Il premier si appoggia a un consigliere diplomatico, l’ambasciatore Luigi Mattiolo che non sembra avergli dato suggerimenti efficaci, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha l’umiltà di affidarsi alla struttura della Farnesina, da sempre più esecutiva che propulsiva.
Certo, ci sono i think tank autorevoli, come l’Ispi e lo Iai, ma è in momenti come questo che si avverte la mancanza di un Consiglio per la sicurezza nazionale equivalente a quello degli Stati Uniti, che ha il mandato di avere sempre una visione del mondo quando serve.
L’Italia si ripara sempre dietro la politica europea: non c’è veramente bisogno di un protagonismo nazionale, basta allinearsi con la posizione di Bruxelles, della Commissione e del Consiglio. Ma quella posizione è la sintesi del pensiero elaborato nelle capitali nazionali, Berlino e Parigi ma anche Varsavia, e il nostro pensiero è troppo debole.
In politica il vuoto non esiste: in assenza di una chiara strategia nazionale, la politica estera italiana (anche in questa crisi) finisce per essere influenzata dai grandi interessi economici. Prima di tutti quelli energetici: non è una coincidenza che Eni, ma anche Leonardo e altre grandi aziende siano così presenti come sponsor e partner in tutti i progetti culturali legati a geopolitica e relazioni internazionali.
I risultati della sudditanza agli azionisti di queste società (a controllo pubblico ma a maggioranza privata) sono sotto gli occhi di tutti, dopo un decennio di crescente dipendenza dalla Russia nonostante l’annessione della Crimea nel 2014.
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