- Possono un post antiregime pubblicato da un tycoon sotto inchiesta e un ambiguo elogio funebre scritto da un ex premier intaccare l’autorità di Xi Jinping? Evidentemente no.
- Eppure, mentre si avvicina il XX Congresso, due “interferenze” nella blindatissima narrazione ufficiale approntata dal Partito comunista per il centenario della sua fondazione (23 luglio 1921) hanno aperto squarci di luce sui limiti di un potere – quello di Xi – straripante, ma forse non ancora metabolizzato da una leadership educata da Deng Xiaoping a governare la Cina collettivamente.
- Le big di internet mugugnano per le misure anti-monopolio e l’ex premier Wen in un elogio funebre sogna un paese umano e libero.
Possono un post antiregime pubblicato da un tycoon sotto inchiesta e un ambiguo elogio funebre scritto da un ex premier intaccare l’autorità di Xi Jinping? Evidentemente no. Eppure, mentre si avvicina il XX Congresso, due “interferenze” nella blindatissima narrazione ufficiale approntata dal Partito comunista per il centenario della sua fondazione (23 luglio 1921) hanno aperto squarci di luce sui limiti di un potere – quello di Xi – straripante, ma forse non ancora metabolizzato da una leadership educata da Deng Xiaoping a governare la Cina collettivamente.
I dirigenti dei colossi dell’economia digitale (un terzo del prodotto interno lordo) vivono con malcelata insofferenza la recente applicazione delle norme anti-monopolio. Dopo il silenzio imposto a Jack Ma, lo stop all’Ipo di Ant Group e la multa di 2,8 miliardi di dollari per la sua Alibaba, anche il padrone di Meituan (numero uno delle consegne a domicilio in attesa di sanzione per “abuso di posizione dominante”) è uscito allo scoperto. A differenza di Ma, il quarantaduenne Wang Xing alle critiche esplicite al governo ha preferito l’allegoria, postando un poema di epoca Tang (618-907): 28 caratteri di Zhang Jie contro i roghi di libri e l’esecuzione di eruditi ordinati da Qin Shi Huang (259-210 a.C.), primo imperatore della Cina, per controllare il pensiero dei sudditi.
Sia che abbia voluto ricordare le persecuzioni di intellettuali durante la Rivoluzione culturale - parzialmente rivalutata dalla Nuova era di Xi - sia che alludesse alla campagna dell’Amministrazione del cyberspazio (Cac), che ha appena ufficializzato la cancellazione di oltre 2 milioni di thread di «nichilismo storico», ovvero discussioni sui social non in linea con la versione ufficiale degli eventi del Partito, il post di Wang è stato subito oscurato. Poco dopo, le azioni Meituan a Hong Kong sono crollate del 9,8 per cento, mandando in fumo 16 miliardi di dollari di valore di mercato. Un effetto simile ha avuto la punizione contro Alibaba che, per la prima volta negli ultimi nove anni, nel quarto trimestre 2020 ha registrato perdite per 1,2 miliardi.
Oltre che a spezzare monopoli diventati intollerabili, Xi punta a riportare sotto il controllo del Partito anche compagnie private dinamiche e profittevoli, alle quali era stata concessa carta bianca. La sua nuova era sta spingendo per l’integrazione tra Partito e settore privato (che genera il 60 per centro del Pil nazionale e impiega l’80 per cento dei lavoratori urbani) come risposta di governance ai problemi di un’economia e di una società sempre più complesse. He Xuan – docente di economia alla Guangdong University of Foreign Studies – sostiene che molte aziende danno il benvenuto al Partito, perché è in grado di supplire alle loro carenze organizzative e manageriali, di “risolvere” i conflitti di lavoro e tenere aggiornati i dirigenti sulla politica economica di Pechino. E così, nel 92 per cento delle 500 maggiori società cinesi sono state istituite cellule di Partito, mentre le piccole (spesso a conduzione familiare) e medie imprese restano più refrattarie al controllo dall’alto (48 per cento). Con questo processo – formalizzato da una legge che rende obbligatoria la presenza del Pcc in ogni azienda – il Partito di Xi conferma e rafforza la sua natura leninista, attraverso la penetrazione in ogni ganglio dello stato, dell’economia e della società.
Il sostegno alle riforme liberali sul quale – ufficialmente – si era basato negli ultimi decenni il cosiddetto engagement dell’occidente con la Rpc è stato ribaltato dal segretario generale, Xi Jinping, che al XIX Congresso proclamò: «Il governo, l’esercito, la società e le scuole, da nord a sud, da levante a ponente il Partito dirige tutto».
Il malcontento
Tuttavia questa svolta autoritaria e veriticistica, all’interno del Partito, non può aver messo d’accordo tutti.
Protetto dal patto non scritto secondo il quale i membri e gli ex membri del comitato permanente dell’Ufficio politico non possono essere perseguiti, il mese scorso Wen Jiabao ha fatto pubblicare sul Macao Herald un suo ricordo della madre, Yang Zhiyun, recentemente scomparsa all’età di 99 anni. Un inedito per i leader del Partito, le cui memorie sono sempre politiche. Impossibile cogliere critiche aperte a Xi, ma nel testo – condiviso centinaia di migliaia di volte su WeChat prima che fosse censurato – Wen ricorda per due volte il suo “pensionamento” dopo dieci anni (2003-2013) da premier, un riferimento indiretto a quel limite di due mandati per le più alte cariche dello stato cancellato con la riforma costituzionale del 2018 voluta da Xi. Inoltre l’ex “premier del popolo” – protégé dell’ex segretario generale riformista Hu Yaobang, costretto alle dimissioni alla vigilia del movimento di Tiananmen - utilizza per dieci volte il termine “paese” e mai “Partito”. E anche dall’elogio funebre di Wen riaffiorano le ferite della Rivoluzione culturale (1966-1976), suturate alla bell’e meglio dalla “Risoluzione su alcune questioni della storia del nostro partito dalla fondazione della repubblica popolare nel 1949” del 1981. Secondo Wen del decennio maoista della fuga nell’utopia non c’è nulla da recuperare: per lui e per la sua famiglia fu «un grande disastro». Wen conclude auspicando un paese in cui regni «il rispetto per la moralità e l’umanità» e dove spiri sempre «un’aria di giovinezza, libertà e duro lavoro».
Apparentemente, la leadership di Xi è più forte che mai. Secondo uno studio pubblicato negli ultimi giorni dal Journal of Contemporary China, la rapida uscita dall’epidemia di Sars CoV-2 ha accresciuto la fiducia nel governo nel 30 per cento dei cinesi, mentre per il 63 per cento è rimasta immutata. La Campagna anti-malaffare lanciata nel 2013 dalla Commissione centrale di vigilanza del Partito (Ccdi) è diventata permanente, e continua a «purificare» il Partito da corrotti e avversari della linea di Xi. Negli ultimi giorni è stato arrestato e incriminato – per aver frequentato club notturni e partecipato a banchetti - un alto funzionario della stessa Ccdi, Dong Hong. Dong è stato il braccio destro del vice presidente Wang Qishan quando quest’ultimo (tra il 2012 e il 2017) ha diretto la Ccdi. Wang è una delle figure più autorevoli della leadership del Partito e tra i pochi con grande consuetudine con le amministrazioni Usa. Voci riferiscono di dissidi tra Wang e Xi.
L’ultimo successo
L’ultima dichiarazione di fedeltà al segretario generale è arrivata da Wang Chen, vice presidente del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo (il parlamento di Pechino) e numero nove dei 25 membri dell’Ufficio politico. Wang ha definito il pensiero di Xi Jinping sul governo del Paese attraverso la legge «l’ultimo successo (dopo quelli di Mao e Deng, nda) nella sinizzazione delle teorie giuridiche di Marx». Il tentativo è quello di inscriverlo nei preamboli di tutte le norme: per i posteri, ma anche per preparare un’eventuale successione che non comporti l’uscita di scena di Xi.
Un cambio al vertice che non si realizzerà col XX Congresso. Il XIX (18-24 ottobre 2017) ha interrotto la tradizione di indicare un “erede designato” a metà del mandato del segretario generale (decennale per consuetudine) e presidente della repubblica (dieci anni stabiliti dalla costituzione, prima della riforma del 2018). Ma, ciò che più conterà, sarà se il prossimo Congresso darà un’indicazione chiara sulla successione, in modo da non rompere del tutto con le precedenti transizioni di leadership, ordinate e istituzionalizzate, che – assieme alla duttilità ideologica del Partito – hanno costituito fattori chiave di resilienza dell’autoritarismo cinese.
Tra il centenario del Partito e il Congresso ci sarà un altro passaggio delicato, le Olimpiadi invernali del 2022 (4-20 febbraio), che dovranno essere protette da qualsiasi tentativo di boicottaggio internazionale (non a caso si sta discutendo di tenervi alla larga i supporter stranieri, ufficialmente causa Covid). Quelle di Pechino del 2008 segnarono uno dei momenti di maggiore successo del soft power cinese. Per sovrintendere alla loro organizzazione il Partito aveva scelto l’uomo che quattro anni più tardi sarebbe stato eletto segretario generale. Oggi Xi ha impegni più urgenti dei giochi, primo fra tutti quello di giustificare agli occhi dei compagni di Partito il suo continuo accentramento di potere, in una situazione economica che si è fatta più difficile e in un quadro internazionale sempre più ostile.
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