- Rafforzare la governance di base che, durante i giorni più bui dell’emergenza Covid-19, si è rivelata cruciale per la salvezza di Wuhan e la stabilità dell’intera Cina.
- L’indicazione arriva da una direttiva, varata l’11 luglio scorso dal Comitato centrale del Partito comunista cinese (Pcc) e dal Consiglio di stato (il governo).
- La vittoria contro il virus non solo è entrata a far parte di quel mix di marxismo sinizzato, confucianesimo e nazionalismo che costituisce l’ideologia informale della Nuova era, ma ha anche testato la penetrazione del Pcc fino ai livelli più bassi dell’amministrazione.
Rafforzare la governance di base che, durante i giorni più bui dell’emergenza Covid-19, si è rivelata cruciale per la salvezza di Wuhan e la stabilità dell’intera Cina. L’indicazione arriva da una direttiva, varata l’11 luglio scorso dal Comitato centrale del Partito comunista cinese (Pcc) e dal Consiglio di stato (il governo), che punta «a istituire nei prossimi cinque anni un sistema di governo di livello primario, guidato dalle strutture del partito, con compiti e obiettivi fissati per legge dal governo, la collaborazione delle organizzazioni di massa e la partecipazione della popolazione». Questo modello – riferisce l’agenzia Xinhua – «dovrà combinare autogoverno, stato di diritto e governo virtuoso», seguendo dunque sia la legge dello stato sia i valori tradizionali. «Dopo altri dieci anni, la modernizzazione del sistema e la capacità di governo di livello primario saranno raggiunte e i benefici della governance di base con caratteristiche cinesi pienamente dimostrati». Che a promuovere l’autogoverno sia un partito che negli ultimi anni ha accentrato nella figura del segretario generale (Xi Jinping) una quantità di potere senza precedenti dai tempi di Mao può far sorridere. Tuttavia uno dei tratti più salienti dei primi due mandati di Xi è stato proprio l’aggiornamento del Pcc (95 milioni di iscritti), per mantenerlo al comando come partito unico.
Quella che la propaganda esalta come «guerra popolare» contro il nuovo coronavirus, si è rivelata in questo senso un’esperienza feconda per il partito che in queste settimane sta festeggiando in gran pompa un secolo di vita, che nel ventennio Jiang Zemin-Hu Jintao aveva allentato la presa sulla società, e che Xi vuole rimettere al centro della vita pubblica dei cinesi. «Il governo, l’esercito, la società e le scuole, da nord a sud, da levante a ponente il Partito dirige tutto», ha proclamato il presidente cinese in apertura del XIX Congresso nazionale del Pcc.
La vittoria contro il virus (che in Cina ha fatto ufficialmente 4.636 morti, 4.512 dei quali nella provincia dello Hubei) non solo è entrata a far parte di quel mix di marxismo sinizzato, confucianesimo e nazionalismo – continuamente rielaborato e propagandato a media unificati e che sempre di più attecchisce tra i millennial – che costituisce l’ideologia informale della Nuova era, ma ha anche testato la penetrazione del Pcc fino ai livelli più bassi dell’amministrazione, all’interno delle griglie in cui sono divisi i quartieri delle città e i villaggi del Paese più popoloso del mondo.
Laboratorio Wuhan
Per comprendere questa svolta organizzativa, dobbiamo riavvolgere il nastro della storia al 25 gennaio 2020, quando le strade della capitale cinese dell’auto rese spettrali dall’epidemia iniziarono a essere pattugliate da squadre di volontari guidate dai membri del sistema di “gestione reticolare” (wănggé huà guănlĭ). Assegnati ognuno a una maglia, gli “impiegati della rete” (wănggé yuán), hanno organizzato corsi di prevenzione, distribuito medicinali e materiale protettivo e contribuito al mantenimento dell’ordine pubblico. Hanno bloccato chi voleva correre in ospedale con mezzi privati e imposto l’utilizzo di “Wuhan wei linli” (Vicini di Wuhan online), la app attraverso la quale le autorità hanno tenuto sotto controllo 24 ore su 24 le persone infette e fornito agli impiegati della rete le istruzioni per organizzare tamponi e quarantene. La stessa app indicava agli impiegati della rete come far accorrere il personale specializzato, organizzare la disinfestazione di uno stabile, mettere in quarantena i contatti recenti.
Punto terminale dell’immensa burocrazia cinese, il sistema di governo reticolare ha permesso alle comunità di base dello Hubei di combattere l’epidemia evitando di diffondere il contagio all’esterno. I cittadini, diretti e controllati dal governo, si sono difesi da soli dal coronavirus. A far rispettare lockdown e quarantene sono stati quegli stessi wănggé yuán che in tempi normali sono addetti a fornire le prestazioni di welfare di base o a controllare l’applicazione della politica di pianificazione familiare. Nell’emergenza si sono dimostrati più efficaci e persuasivi di qualsiasi autorità in divisa, perché più vicini alla gente comune.
Il funzionamento della gestione reticolare è abbastanza semplice: ogni governo locale divide il territorio sotto la sua giurisdizione in maglie (che possono raggiungere un’estensione fino a dieci chilometri quadrati), a ognuna delle quali viene assegnato un wănggé yuán, retribuito e non necessariamente iscritto al Partito (anche se politicamente e moralmente scrutinato dai funzionari del Pcc al momento dell’assunzione). La nuova direttiva prevede che, nei prossimi cinque anni, il sistema sarà rafforzato «sotto la leadership unita del partito» attraverso l’impiego massiccio della tecnologia e dell’informatica.
Prevenire le rivolte
«La capacità di governo di un paese si può misurare esaminando cosa succede alla base – dichiarò Xi un anno fa, durante un viaggio nel nord-est della Cina –. Se la base non è stabile, il terreno si muove e le montagne tremano».
Nel suo paper The grid management system in contemporary China, Jean Christopher Mittelstaedt ha calcolato che il Jiangsu è suddiviso in 120mila maglie, con 300mila impiegati della rete complessivamente. In questa provincia di poco più di 80 milioni di abitanti a ogni wănggé yuán tocca la supervisione di 670 residenti: sono «il livello di governo più basso, quello a contatto diretto con la popolazione».
«Le informazioni sulle famiglie, le organizzazioni, le attività commerciali e gli incidenti – scrive Mittelstaedt – vengono raccolte e conservate in un database centralizzato ospitato nel (locale) centro di gestione della rete», collegato ai diversi apparati della pubblica amministrazione. I membri della rete – sottolinea lo studioso dell’Università di Oxford – «servono la comunità e l’amministrano come agenti del partito-stato». Forniscono servizi di base e controllano la popolazione, contribuendo al mantenimento della stabilità sociale (wéiwĕn). Le due funzioni sono inscindibili: possiamo parlare tanto di governo, quanto di gestione (o controllo) reticolare.
Secondo Tang Beibei, questo sistema mette in evidenza la capacità del Partito di cooptare i membri della classe media. Nel suo lavoro Grid Governance in China's Urban Middle-class Neighbourhoods, Tang ne ha dimostrato l’efficacia nella mobilitazione della popolazione e nella risoluzione dei conflitti, «prima che sfocino rivolte sociali su larga scala».
L’idea non è del tutto nuova, già in epoca imperiale era previsto un “amministratore” per ogni dieci famiglie, ma le prime sperimentazioni dell’attuale sistema di gestione reticolare iniziarono a metà degli anni Duemila, a Pechino e nella provincia dello Zhejiang. All’inizio dello scorso decennio si delinearono due impostazioni differenti. Quella favorita dall’allora ministro della sicurezza interna e membro del Comitato permanente dell’ufficio politico, Zhou Yongkang, puntava soprattutto al controllo dei cittadini, al contrario Xi Jinping era fautore di un impiego della rete prevalentemente per la fornitura di servizi di base.
Nel 2015 il Comitato centrale invitò a superare le differenti interpretazioni, anche nell’applicazione a livello locale (tutt’altro che uniforme), creando un «network di pubblica sicurezza di prevenzione e controllo che abbia piena copertura nazionale entro il 2020». Oggi i media cinesi ne parlano come di uno strumento «per permettere alle piattaforme digitali, ai volontari, e alla polizia di riscontrare e affrontare assieme e in maniera efficace i problemi sociali a beneficio dei residenti, in modo che il controllo sui servizi forniti a la società nel suo complesso possano essere migliorati».
Ma secondo Mittelstaedt il sistema «non incoraggia i cittadini a risolvere le dispute, perché il coinvolgimento dello stato è evidente, invasivo e top-down».
E, aggiunge il ricercatore, la sua efficacia «dipende da una raccolta di dati massiccia e accurata. All’interno delle maglie, questo processo ricade sulle persone piuttosto che sulle ultime tecnologie di sorveglianza. I membri della rete pattugliano le strade, ispezionano siti, misurano l’opinione pubblica, stilano rapporti, e infine li caricano in database. Sono questi individui che costituiscono le fondamenta del sistema di gestione reticolare».
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