- Cinque anni dopo il suo ingresso nel porto greco del Pireo, la Cina è pronta a rafforzare la sua presenza in uno degli scali più importanti a livello europeo, il Pireo, già per il 51 per cento in mano cinese.
- La Cina però non è l’unica ad aver messo gli occhi sui porti del Mediterraneo. Anche la Turchia ha capito da tempo il valore delle infrastrutture portuali del mare nostrum e ha fatto dell’espansione nel bacino del Mediterraneo una priorità geopolitica.
- Nel porto di Taranto infatti non è presente solo la Cina. Di recente anche la compagnia turca Yilport, 13esimo operatore mondiale nel campo terminalistico, ha ottenuto una concessione di 49 anni per il Terminal San Cataldo, mettendo sul tavolo 400 milioni di euro di investimenti per lo sviluppo dell’area.
Cinque anni dopo il suo ingresso nel porto greco del Pireo, la Cina è pronta a rafforzare la sua presenza in uno degli scali più importanti a livello europeo. La compagnia di navigazione statale cinese Cosco (China Ocean Shipping Company) ha appena ricevuto il via libera della Corte dei conti greca per la rilevazione di un’ulteriore quota del 16 per cento dell’Autorità portuale del Pireo, già per il 51 per cento in mano cinese.
Ma il controllo del Pireo, definito dal presidente Xi Jinping «la testa del dragone in Europa», non è che un tassello della più grande strategia di espansione cinese nel Vecchio continente e nel bacino del Mediterraneo. Alla base degli investimenti nel trasporto marittimo della Cina vi è l’implementazione della Nuova via della seta (o Belt and Road Initiative, Bri), progetto che mira ad aumentare gli interscambi commerciali tra est e ovest incentivando allo stesso tempo la crescita dell’influenza cinese nei paesi in cui investe. Come dimostra chiaramente il caso del Pireo.
La Cina però non è l’unica ad aver messo gli occhi sui porti del Mediterraneo. Anche la Turchia ha capito da tempo il valore delle infrastrutture portuali del mare nostrum e ha fatto dell’espansione nel bacino del Mediterraneo una priorità geopolitica. Ankara e Pechino si sono così ritrovate a perseguire un obiettivo comune, seppure su direttrici diverse, a discapito degli interessi europei e italiani.
Le mire della Cina
L’interesse di Pechino per lo scalo greco risale al 2009, ma è nel 2016 che il desiderio di controllare il Pireo prende realmente forma: sfruttando a proprio vantaggio la crisi del debito greco e il programma di privatizzazione messo in campo del governo per far fronte alle richieste dei creditori e delle istituzioni internazionali ed europee, la Cosco è riuscita a mettere le mani sul Pireo acquisendo di fatto il controllo dell’Autorità portuale fino al 2052. Un investimento costato inizialmente alla compagnia cinese 293,7 milioni di euro, a cui si aggiungono gli 88 milioni necessari per l’acquisizione dell’ulteriore 16 per cento dell’Autorità portuale del Pireo.
La notizia di quest’ultima operazione non è certo positiva per Atene, che vedrà diminuire ulteriormente il suo potere decisionale all’interno dell’ente: nel Consiglio di amministrazione siederà infatti solo un rappresentante del governo su undici, seppure con diritto di veto, mentre la Cosco aumenterà la sua presa sullo scalo del Pireo.
Nel frattempo, la compagnia cinese ha anche ottenuto una proroga di cinque anni degli investimenti da 300 milioni che si era impegnata ad attuare al momento dell’ingresso nell’Autorità. Per la Corte dei conti ellenica, i ritardi fino a oggi accumulati sarebbero stati causati da controversie legali intentate contro la compagnia, per cui non sono imputabili all’azienda cinese. Nonostante ciò, i risultati raggiunti dalla Cosco sono più che positivi: se nel 2009 il Pireo movimentava solo 700mila Teu (unità di misura per i trasporti navali), nel 2020 il traffico è arrivato a toccare i 5,4 milioni di Teu, con una crescita del 600 per cento.
Tuttavia lo scalo ellenico, per quanto strategico, è solo una delle infrastrutture marittime su cui la Cina ha messo le mani.
Grazie alle compagnie statali Cosco, China Merchant Group (Cmg) e Qingdao Port International Development (Qpi), Pechino può vantare una presenza a Rotterdam, Anversa, Zeebrugge, Bilbao, Valencia, Marsiglia, Vado Ligure, Ambarli (Turchia), Port Said, Alessandria d’Egitto e Cherchell (Algeria). Ad agevolare una ulteriore penetrazione cinese nei porti europei e del Mediterraneo è anche la presenza della Cmg all’interno della compagnia terminalistica Terminal Link, detenuta per il 49 per cento dalla compagnia cinese e per il 51 per cento dalla francese Cma Cgm. La Cina può così contare su quote degli scali di Montoir, Dunkirk, Marsiglia-Fos e Le Havre in Francia, Anversa in Belgio, Marsaxlokk a Malta, Salonicco, Casablanca e Tanger Med in Marocco. Pechino però ha messo gli occhi anche sul Container Terminal Tollerort, il più piccolo terminal per container del porto di Amburgo.
La Cosco è infatti in trattativa per rilevare una quota di minoranza dalla compagnia Hamburger Hafen und Logistik Ag (Hhla) e se l’operazione andasse a buon fine diventerebbe il primo operatore non tedesco attivo nello scalo di Amburgo.
Intanto Pechino sta consolidando la sua presenza anche nel porto di Taranto grazie alla concessione quarantennale di un’area di 200mila metri quadri al gruppo Ferretti, leader mondiale nella progettazione, costruzione e vendita di yacht a motore e da diporto di lusso. L’azienda, che vanta un management e un know-how italiano, è detenuta per l’86 per cento dalla cinese Weichai, anch’essa di proprietà statale.
Il caso Taranto
Nel porto di Taranto però non è presente solo la Cina. Di recente anche la compagnia turca Yilport, 13esimo operatore mondiale nel campo terminalistico, ha ottenuto una concessione di 49 anni per il Terminal San Cataldo, mettendo sul tavolo 400 milioni di euro di investimenti per lo sviluppo dell’area.
Una prospettiva sicuramente interessante per uno scalo che vanta una posizione strategica nel Mediterraneo, ma che negli ultimi anni ha registrato un progressivo calo del traffico a causa della crisi dell’industria siderurgica.
La Yilport quindi si propone di rendere lo scalo tarantino nuovamente competitivo puntando su terminalistica e logistica per poi stringere accordi con altre compagnie in settori complementari come il servizio di terra o il commercio. Non sorprende quindi che fin dal primo momento diversi giornali avessero iniziato a parlare di una possibile partnership tra la turca Yilport e la cinese Cosco, attiva nei settori dei container, della riparazione navi e del turismo.
Entrambe le compagnie fanno tra l’altro parte della Ocean Alliance, un’alleanza nata per far fronte ai danni causati dal Covid-19 e che riunisce al suo interno Cosco, Evergreen, Orient Overseas Container Line e la francese Cma Cgm, di cui la Yilport detiene il 24 per cento delle quote. La Cma Ggm è stata non a caso la prima compagnia a commissionare una movimentazione al porto di Taranto da quando l’azienda turca ha iniziato a operare all’interno del molo polisettoriale tarantino, permettendo alla Yilport di dare prova dei risultati fino ad ora raggiunti.
La notizia della possibile collaborazione tra la Yilport e la Cosco a Taranto è stata invece smentita fin da subito dall’azienda turca, ma la convergenza di interessi delle due compagnie nello scalo tarantino resta. In futuro quindi si potrebbe assistere a una partnership tra le due aziende a Taranto o in altri porti del Mediterraneo che metta insieme logistica turca e commercio cinese al fine di creare delle enclavi da usare come trampolino di lancio per espandere la propria influenza.
Tra l’altro, oltre che a Taranto, la Yilport è anche presente nel porto maltese di Marsaxlokk, che rientra nella lista degli scali in cui la Cina è riuscita a mettere piede tramite la Terminal Link. Un’ulteriore dimostrazione di quanto sia importante per Turchia e Cina aumentare la propria presenza nel Mediterraneo attraverso gli investimenti nelle infrastrutture portuali.
A danno ovviamente degli interessi geoeconomici e geopolitici dell’Italia e dell’Unione europea, dimostratasi incapace di mettere un freno all’espansione cinese nel Vecchio continente. L’Antitrust comunitario infatti è riuscito ad adottare uno scudo per limitare le scalate in Europa delle società straniere che ricevono aiuti dallo stato di appartenenza soltanto a maggio di quest’anno, decisamente in ritardo rispetto ai progetti espansionistici cinesi. Come dimostra chiaramente il caso del Pireo, ormai quasi completamente nelle mani della Cina.
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