La nuova riforma elettorale garantisce un controllo da parte di Pechino sui candidati hongkonghesi che saranno scelti in base al loro «patriottismo». La Cina ha anche il potere di veto e sceglierà un comitato che avrebbe il compito di eleggere gran parte dei membri del Consiglio legislativo dell’ex colonia britannica
Hong Kong ha una nuova legge elettorale. I membri del Congresso Nazionale del popolo cinese hanno votato e approvato, senza voti a sfavore e con una sola astensione, le modifiche al sistema elettorale dell’ex colonia britannica.
I nuovi emendamenti prevedono il potere di veto da parte della Cina sui candidati e stabiliscono di eleggere figure politiche «patriottiche». Infatti, stando a quanto dichiarato al termine del voto da Wang Chen, portavoce parlamentare, la città dovrà essere «saldamente nelle mani di forze patriottiche e che amano Hong Kong». Chen ha specificato che ci sarà anche un comitato elettorale controllato da Pechino che avrebbe il compito di «eleggere una gran parte dei membri del Consiglio legislativo».
Il portavoce ha affermato che «il caos nella società di Hong Kong mostra che ci sono evidenti scappatoie e difetti nell’attuale sistema elettorale», dando un’opportunità alle «forze anti-Cina a Hong Kong» di prendere il potere. Una dichiarazione esplicita della volontà cinese di essere l’unica voce in capitolo nell’ex colonia.
La nuova riforma elettorale aprirà la strada per un «sistema di controllo delle qualifiche» che di fatto mina le fondamenta democratiche dell’hub cinese, il quale fino adesso ha seguito la nota linea di «un paese due sistemi» proposta da Deng Xiaoping nel 1979.
Il capo del governo di Hong Kong, Carrie Lam, ha espresso soddisfazione per la nuova riforma, aggiungendo che il governo intensificherà gli sforzi per «migliorare» la comprensione della sicurezza nazionale da parte della popolazione.
L’attacco alla democrazia
La nuova legge elettorale è considerata un attacco alla democrazia honkonghese e viene dopo la promulgazione della legge sulla sicurezza nazionale approvata dal partito centrale e che ha causato una vasta ondata di proteste nel 2019.
La legge sulla sicurezza ha permesso l’arresto di decine di attivisti pro democrazia e ha inasprito la repressione nei confronti dei giovani honkonghesi. Infatti, il testo permette di punire gli atti di sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere compiuti nell’ex colonia britannica. Una chiara disposizione che ha l’obiettivo di reprimere il dissenso interno.
Il mese scorso è stata annunciata anche una proposta di legge che mira a controllare i funzionari pubblici in base alla loro fedeltà politica nei confronti di Pechino.
I cittadini hongkonghesi quando hanno avuto scelta hanno sempre garantito ampie percentuali di voto ai candidati pro-democrazia, ma questo fragile status di autonomia si è sgretolato negli ultimi mesi attirando anche varie critiche internazionali nei confronti del governo centrale. Infatti, a pochi giorni dal suo insediamento alla Casa bianca, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha telefonato al suo omologo cinese chiedendo la fine della repressione nei confronti dei cittadini e attivisti di Hong Kong.
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