La reporter Zhang Zhan è sotto accusa per avere pubblicato notizie sgradite al regime all’inizio della pandemia mentre i dodici attivisti sono accusati di avere provato a espatriare illegalmente
Un tribunale cinese ha condannato a quattro anni di detenzione la giornalista indipendente, Zhang Zhan, accusata di «avere provocato problemi all’ordine pubblico». L’accusa contro Zhan nasce dal suo impegno nel raccontare a febbraio l’inizio della pandemia da Covid-19 e le difficoltà affrontate dalla popolazione di Wuhan, la città cinese primo epicentro dell’ondata di contagi che ha colpito il mondo. Dal lavoro di inchiesta della giornalista erano emersi i ritardi e i problemi incontrati dal regime di Pechino nella gestione dell’epidemia. Il lavoro di Zhan era diventato molto popolare ed era stato condiviso sui social da diversi utenti contribuendo a dare un’immagine dell’intervento delle autorità cinesi molto diversa della da quella proposta dai governanti. Il reato per cui è stata condannata Zhan è infatti uno degli strumenti giudiziari utilizzati normalmente dal regime cinese per reprimere i dissidenti.
«Legata e costretta a nutrirsi»
Uno degli avvocati della giornalista ha descritto la donna «molto provata dopo la sentenza». Il legale ha poi confermato la notizia riportata da Amnesty International secondo cui Zhan aveva iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione. L’avvocato ha inoltre raccontato come le autorità abbiano impedito alla donna di proseguire il suo sciopero della fame legandola e costringendola a nutrirsi tramite un tubicino che le entra nelle narici. Un trattamento che sta causando alla giornalista continui mal di testa e problemi alla gola da diverse settimane. Zhan aveva fatto sapere di essere intenzionata a non nutrirsi più in caso di condanna e di essere pronta ad arrivare «fino alla fine».
Non è un caso isolato
Zhan non è la prima reporter a finire nel mirino delle autorità cinesi per avere riportato notizie scomode sulla gestione della pandemia. Anche i due giornalisti, Fang Bin e Li Zihua, risultano al momento scomparsi dopo essere stati prelevati da alcuni uomini tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. Molte associazioni per i diritti umani ritengono che dietro il loro rapimento ci sia il regime di Pechino e che i due giornalisti siano ora detenuti in attesa di processo.
Il processo ai dodici di Hong Kong
Sempre oggi, 28 dicembre, le autorità cinesi hanno annunciato l’inizio del processo contro dodici attivisti pro democrazia di Hong Kong. Gli hongkonghesi sono accusati di avere provato a varcare illegalmente i confini cinesi dopo essere stati catturati il 23 agosto mentre tentavano di raggiungere a bordo di una barca Taiwan. I dodici attivisti sono già sotto accusa a Hong Kong perché accusati di avere violato la legge sulla sicurezza nazionale che punisce duramente che mette in discussione l’autorità cinese sulla regione. L’inizio del processo ha scatenato le proteste del movimento pro democrazia di Hong Kong e anche l’irritazione di diversi diplomatici occidentali che non sono stati autorizzati a entrare durante la seduta giudiziaria.
L’inizio del processo contro i dodici di Hong Kong è solo l’ultima in ordine cronologico delle azioni repressive messe in atto dal regime di Pechino contro i dissidenti della regione. Tra gli altri soggetti colpiti da Pechino ci sono l’editore Jimmy Lai, accusato di avere infranto la legge di sicurezza nazionale, e l’attivista Joshua Wong condannato a tredici mesi e mezzo di carcere per avere organizzato un raduno antigovernativo nel 2019.
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