Primi segnali (di forza) della Cina a Washington: il dragone è pronto a difendere i propri interessi contro la minaccia dei dazi, ma non esclude il dialogo con il nuovo presidente americano. Allo stesso tempo Xi Jinping dà segno di voler rafforzare l’asse con Putin. Il banco di prova dell’Ucraina: «Negoziato unica via»
La Cina manda i primi segnali alla nuova amministrazione Usa guidata da Donald Trump, in un misto di fermezza e cauta apertura. Pechino ha avvertito Washington che difenderà i propri interessi in caso di dazi ai prodotti Made in China, ma allo stesso tempo cerca il dialogo con la squadra del nuovo presidente degli Stati Uniti. Il primo colloquio telefonico tra Trump e il presidente cinese, Xi Jinping, è andato bene, ha detto il nuovo inquilino della Casa Bianca, riferendosi alle conversazioni di settimana scorsa, prima dell’insediamento, durante il quale i due leader hanno trattato le questioni di TikTok, degli scambi commerciali e di Taiwan. Trump non ha escluso la possibilità di arrivare a un accordo sul commercio, e ha detto che preferirebbe non dovere ricorrere all’imposizione di dazi, ma ha anche avvertito che le tariffe hanno un «enorme potere» sulla Cina.
Da Pechino, la diplomazia smorza i toni e sottolinea che la cooperazione economica e commerciale con gli Usa è «reciprocamente vantaggiosa» e che «eventuali divergenze debbano essere risolte attraverso il dialogo e le consultazioni». Per la Cina, ha insistito la portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, «non ci saranno vincitori in una guerra commerciale e tariffaria» che «non è nell’interesse di nessuna delle due parti o del mondo». Il messaggio è chiaro.
La telefonata con Putin
Una posizione, quella di Pechino esposta anche dal vice premier Ding Xuexiang, uno dei sette uomini più potenti della Cina, durante il suo intervento al World Economic Forum di Davos. Lo stesso Xi, però, non ha fatto mistero delle sue preoccupazioni, in quello che appare un velato, ma chiaro riferimento al nuovo inquilino della Casa Bianca. Nel colloquio con il presidente russo, Vladimir Putin, Xi non ha mai citato direttamente Trump o gli Stati Uniti: al leader del Cremlino ha mandato, invece, tra le righe, un messaggio chiaro. Occorre «guidare le relazioni Cina-Russia a una nuova altezza nel 2025», ha scandito, «e rispondere alle incertezze esterne con la stabilità e la resilienza dei legami Cina-Russia».
Proprio la guerra in Ucraina potrebbe costituire un primo banco di prova delle relazioni tra Cina e Stati Uniti. «Lavoreremo con loro», ha detto della Cina il presidente Usa in collegamento con la platea di Davos. Pechino è stata oggetto di più richiami da parte degli Usa e dell’Occidente per convincere Putin a porre fine alla guerra; allo stesso tempo è sotto osservazione per le forniture di materiali dual-use a Mosca, che aiuterebbero la Russia nel conflitto. Alle parole di Trump la Cina ribadito le sue posizioni. «Il dialogo e il negoziato sono l’unica via percorribile per risolvere la crisi in Ucraina», ha detto oggi la portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, e «la Cina continuerà a promuovere i colloqui di pace ed è pronta a mantenere la comunicazione con le altre parti», ha aggiunto.
Una strada in salita
La strada della diplomazia appare, però, in salita. Da oggi, la Cina dovrà fare i conti con uno dei personaggi a lei più sgraditi di tutto il panorama politico statunitense: Marco Rubio. Il nuovo segretario di Stato Usa è stato sanzionato due volte da Pechino, per le sue posizioni sia sulla repressione dei movimenti pro-democrazia di Hong Kong, sia sulle violazioni dei diritti umani ai danni degli uiguri, la minoranza etnica che vive nella regione autonoma nord-occidentale dello Xinjiang. Le sanzioni inflitte sono soprattutto simboliche, ma comprendono anche un divieto di viaggio in Cina, inconveniente non certo trascurabile per il capo della diplomazia del principale rivale geopolitico di Pechino.
I primi screzi con Rubio nella nuova veste sono già cominciati. Pechino ha criticato il segretario di Stato dell’amministrazione Trump per il colloquio con il suo omologo filippino, Enrique A. Manalo, in seguito all’ultimo incidente avvenuto nel Mare Cinese Meridionale, le cui acque sono rivendicate da Pechino per la quasi totalità, a scapito di molte nazioni litoranee. Per evitare imbarazzi diplomatici, la Cina avrebbe cambiato il modo in cui scrive in cinese il nome di Rubio, sostituendo il carattere della prima parte del suo cognome (che in cinese suona come “Lu”): non è mancato chi ci ha visto un segnale di possibile apertura.
Pechino, ufficialmente, rimane fredda sul nuovo capo della diplomazia a stelle e strisce. «Invece di come il suo nome è tradotto in cinese, è il suo nome inglese che è più importante», ha commentato la portavoce Mao Ning, e le sanzioni «sono mirate alle parole e alle azioni che minano i legittimi diritti e interessi della Cina». È chiaro, però, che occorrerà trovare un nuovo equilibrio. La Cina, ha detto il portavoce Guo Jiakun, «è pronta a raggiungere maggiori progressi nelle relazioni con gli Stati Uniti da un nuovo punto di punto di partenza».
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